Egwene guardò con desiderio i vestiti. Pregò la Luce che ci fosse davvero un imprevisto, qualcosa che le permettesse di nascondere i fogli senza rifiutare la prova.
«No» rispose Alanna. «È come se un moscerino ti ronzasse intorno alla testa mentre cerchi di riflettere, ma senza interferire. Non ne avrei parlato, però è la prima volta che si verifica, a quanto mi risulta.» Scosse la testa. «Ora la risonanza è scomparsa.»
«Forse» commentò Elaida, ironica «altre hanno ritenuto che non valesse la pena menzionare una cosa di così scarsa importanza.»
«Procediamo» disse Sheriam; dal tono, era chiaro che non avrebbe ammesso altre distrazioni. «Vieni.»
Con un’ultima occhiata ai vestiti e ai fogli, Egwene seguì Sheriam verso gli archi. Sotto i piedi scalzi la pietra le pareva fredda come ghiaccio.
«Chi porti con te, Sorella?» intonò Elaida.
Procedendo a passi misurati, Sheriam rispose: «Una candidata all’Ammissione, Sorella.» Le tre Aes Sedai intorno al ter’angreal non si mossero.
«È pronta?»
«È pronta a lasciarsi alle spalle quel che era e, passando attraverso le paure, a guadagnarsi l’Ammissione.»
«Conosce le proprie paure?»
«Non le ha mai affrontate, ma ora è disposta a farlo.»
«Lasciamo allora che affronti quel che teme.» Malgrado il tono formale, nella voce di Elaida c’era una nota di soddisfazione.
«La prima volta» disse Sheriam «è per quel che fu. La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare.»
Egwene inspirò a fondo, mosse un passo; varcò l’arco e fu inghiottita dal bagliore.
«È passato Jaim Dawtry. Il venditore ambulante ha portato da Baerlon notizie bizzarre.»
Egwene continuò a far dondolare la culla e alzò la testa. Vide Rand, fermo sulla soglia. Per un istante si sentì girare la testa. Spostò lo sguardo, stupita, da Rand — suo marito — alla bambina nella culla — sua figlia — e viceversa.
"La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare."
Non era un suo pensiero, ma una voce disincarnata che forse era nella sua testa e forse fuori, forse maschile e forse femminile, eppure priva d’emozioni e inconoscibile. Tuttavia non le pareva insolita.
L’istante di stupore passò: Egwene si domandò per quale motivo avesse pensato che qualcosa non quadrava. Rand era suo marito, certo, e Joiya era sua figlia... la più bella, la più dolce bimbetta dei Fiumi Gemelli. Tam, padre di Rand, aveva portato al pascolo il gregge, con la scusa di consentire a Rand di lavorare nel fienile, ma in realtà per dargli più tempo per giocare con Joiya. Nel pomeriggio sarebbero venuti in visita i suoi genitori e forse anche Nynaeve, per vedere se la maternità interferiva con i suoi studi che un giorno le avrebbero permesso di sostituirla come Sapiente del villaggio.
«Quali notizie?» domandò. Riprese a far dondolare la culla. Rand si avvicinò e sorrise alla bimbetta avvolta in fasce. Egwene ridacchiò piano fra sé: quando era con la figlia, non udiva più niente. «Rand?» ripeté. «Quali notizie? Rand?»
«Cosa?» disse Rand, tornando serio. «Ah, notizie curiose. Guerra. C’è una guerra che coinvolge tutto il mondo, secondo Jaim.» Di rado le notizie di guerre arrivavano nei Fiumi Gemelli prima che i conflitti si fossero conclusi da tempo. «Dice che tutti combattono contro un popolo chiamato Shawkin o Sanchan o qualcosa del genere. Non ne ho mai sentito parlare.»
Egwene seppe... pensò di sapere... L’impressione era già svanita.
«Ti senti male?» domandò Rand. «Non è niente che ci sconvolga, amore mio. Le guerre non toccano mai i Fiumi Gemelli. Siamo troppo lontano dal resto del mondo, perché qualcuno s’interessi a noi.»
«Non sono sconvolta. Jaim ha detto altro?»
«Cose da non credere. Jaim pareva un Coplin. L’ambulante gli ha detto che per combattere si servono delle Aes Sedai, ma che danno un premio di mille marchi d’oro a chiunque ne consegni una e che uccidono chi le nasconde. Non ha senso. Be’, non ci riguarda. Qui siamo molto lontano da loro.»
Aes Sedai. Egwene si toccò la testa. “La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare."
Notò che pure Rand si toccava la testa. «I soliti dolori?» domandò.
Rand annuì, a occhi chiusi. «La polverina di Nynaeve in questi ultimi giorni non mi fa effetto, a quanto pare.»
Egwene esitò. Era preoccupata per le emicranie di Rand: da qualche tempo erano sempre più forti. Ma la cosa peggiore era ciò che sulle prime non aveva notato e che quasi rimpiangeva d’avere notato: quando Rand aveva mal di testa, subito dopo accadevano fatti bizzarri. Un fulmine a ciel sereno aveva fatto a pezzi l’enorme ceppo di quercia che Rand aveva impiegato due giorni a sradicare, quando con Tam aveva ripulito un nuovo campo. Tempeste che Nynaeve non udiva arrivare anche se ascoltava il vento. Incendi nella foresta. Più il dolore era intenso, peggiori erano gli eventi che seguivano. Per fortuna, nessuno li aveva collegati a Rand, nemmeno Nynaeve. Egwene non voleva neppure pensare quale fosse il loro possibile significato.
Sono sciocchezze belle e buone, si disse. Doveva sapere, se voleva aiutarlo. Infatti anche lei aveva un segreto, un segreto che le metteva paura e di cui cercava ancora di scoprire il significato. Nynaeve le insegnava a distinguere le erbe medicinali, in modo che un giorno la sostituisse come Sapiente. Le cure di Nynaeve spesso avevano un effetto quasi miracoloso... ferite che si rimarginavano quasi senza lasciare cicatrici, guarigione di ammalati ormai con un piede nella fossa. Eppure già tre volte Egwene aveva guarito persone che Nynaeve riteneva bell’e morte. Tre volte era rimasta a tenere per mano un ammalato durante l’ultima ora e l’aveva visto alzarsi dal letto di morte. Nynaeve l’aveva interrogata a fondo per sapere quali erbe avesse usato, in quale mistura. Ma lei non aveva ancora trovato il coraggio di confessare: non aveva fatto niente. Eppure era impossibile. Una volta poteva essere un caso, ma tre volte... Doveva scoprirlo. Doveva imparare. Si senti vibrare la testa, come se le parole le ronzassero nel cranio: se aveva potuto fare qualcosa per quelle tre persone, forse poteva aiutare anche suo marito.
«Lasciami provare, Rand» disse. Si alzò e dalla porta vide un arco argenteo davanti alla casa, un arco pieno di luce bianca. “La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare." Mosse due passi verso la porta, si fermò.
Si girò, guardò Joiya che farfugliava nella culla, guardò Rand che ancora si stringeva la testa e la fissava come se si domandasse dove andava. «No» disse. «No, questo è ciò che voglio! Perché non posso avere anche questo?» Non capiva le sue stesse parole. Certo, era ciò che voleva, e l’aveva.
«Cos’è che vuoi, Egwene?» domandò Rand. «Se posso comprarlo, lo comprerò. Se non posso comprarlo, lo costruirò con le mie mani.»
"La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare."
Egwene mosse un passo, fu nel vano della porta. L’arco argenteo la chiamava. Qualcosa aspettava dall’altra parte. Qualcosa che lei voleva più di tutto al mondo. Qualcosa che doveva fare.
«Egwene...»
Udì un tonfo e girò la testa: Rand, sulle ginocchia, piegato in due, si stringeva le tempie. Il dolore non l’aveva mai colpito con tanta forza come in quel momento. Che cosa sarebbe accaduto, dopo?
«Ah, Luce santa!» ansimò Rand. «Luce santa, che male! Che male! Egwene?»
"Non esitare."
Qualcosa aspettava. Qualcosa che lei doveva fare. Egwene mosse un passo. Era difficile, il passo più difficile della sua vita. Fuori, verso l’arco. Dietro di lei, Joiya rideva.
«Egwene? Egwene, non posso...» Rand s’interruppe, con un gemito.
"Non esitare."
Egwene irrigidì la schiena e continuò a camminare, ma non poté impedire che le lacrime le rotolassero lungo le guance. I gemiti di Rand divennero un urlo, soffocarono le risate di Joiya. Con la coda dell’occhio Egwene vide Tam arrivare di corsa.
Lui non può aiutarlo, si disse; le lacrime si mutarono in singhiozzi. Tam non poteva fare niente. Ma lei sì... lei avrebbe potuto fare qualcosa.