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Entrò nella luce e ne fu consumata.

Tremante, scossa dai singhiozzi, Egwene uscì dall’arco... lo stesso dal quale era entrata, ricordò all’improvviso nel trovarsi di fronte Sheriam. Sentì acqua fredda e chiara cancellare le lacrime: Elaida le vuotava lentamente sulla testa un calice d’argento. Egwene continuò a piangere... non credeva che sarebbe mai riuscita a smettere.

«Sei mondata» intonò Elaida «da qualsiasi peccato tu abbia commesso e da quelli commessi contro di te. Sei mondata da qualsiasi crimine tu abbia commesso e da quelli commessi contro di te. Vieni a noi pulita e pura, nel cuore e nell’anima.»

"Luce santa, fosse vero” pensò Egwene, mentre l’acqua le scorreva lungo il corpo. “L’acqua potrà mai lavare quel che ho fatto?"

«Si chiamava Joiya» disse a Sheriam, tra i singhiozzi. «Joiya. Niente merita ciò che ho appena... che ho...»

«Bisogna pagare un prezzo, per diventare Aes Sedai» replicò Sheriam; ma negli occhi aveva di nuovo una luce di simpatia, più intensa di prima. «Bisogna sempre pagare un prezzo.»

«Era reale? L’ho sognato?» Il pianto inghiottì quel che Egwene avrebbe voluto dire: l’ho lasciato morire? Ho abbandonato mia figlia?

Sheriam le circondò le spalle e la guidò intorno agli archi. «Ogni donna da me vista uscire di qui mi ha rivolto la stessa domanda. La risposta è: non lo sa nessuno. Ma è stata fatta un’ipotesi: coloro che non tornano, hanno trovato un luogo più felice e lì hanno scelto di restare per tutta la vita.» Indurì il tono di voce. «Se è un mondo reale e se sono rimaste lì per propria scelta, allora mi auguro che la loro vita sia tutt’altro che felice. Non ho simpatia per chi si sottrae alle proprie responsabilità.» Ammorbidì un poco il tono. «Secondo me, non si tratta di un mondo reale. Ma è reale il pericolo. Ricordalo.» Si fermò davanti al secondo arco. «Sei pronta?»

A disagio, Egwene annuì. Sheriam ritrasse il braccio.

«La seconda volta è per quello che è. La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare.»

Egwene tremava. Ma la nuova esperienza, si disse, non poteva essere peggiore di quella appena affrontata. No di certo. Entrò nel bagliore.

Si guardò la veste, seta azzurra con motivi a perline, lacera e impolverata. Alzò la testa e vide tutt’intorno le macerie di un grande edificio. Il Palazzo Reale dell’Andor, a Caemlyn. Lo riconobbe ed ebbe voglia di gridare.

"La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare."

Il mondo non era come lo voleva lei, non poteva pensarci senza avere voglia di piangere, ma da tempo aveva esaurito le lacrime e il mondo era rimasto uguale. Si era aspettata di vedere rovine.

Incurante di altri strappi nella veste, ma attenta come un topolino a eventuali rumori, si arrampicò sopra un cumulo di macerie e scrutò le vie curve della Città Interna. Da ogni parte vedeva rovine e devastazione, edifici che parevano squarciati da creature impazzite, fitte colonne di fumo che si alzavano dagli incendi. C’era gente, nelle vie: bande di uomini armati che giravano in cerca di preda, che frugavano. E Trolloc. Gli uomini si ritraevano davanti ai Trolloc, i Trolloc ringhiavano e sghignazzavano, con risate aspre e gutturali. Ma si conoscevano, facevano parte dello stesso gruppo.

Lungo la strada giunse un Myrddraal, a passo deciso, col mantello nero che si muoveva appena, anche se il vento soffiava raffiche piene di terriccio e di detriti. Sotto il suo sguardo, uomini e Trolloc si fecero piccoli per il terrore. «Cercate!» disse il Myrddraal, con voce che pareva lo sbriciolio di cose morte da secoli. «Non restate qui a tremare. Trovatelo!»

Egwene tornò al riparo del mucchio di macerie, cercando di fare meno rumore possibile.

"La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare."

Si fermò, con la paura che quel bisbiglio provenisse dalla Progenie dell’Ombra. Si diede un’occhiata alle spalle, con il terrore di vedere il Myrddraal fermo dove lei era stata l’attimo prima; entrò in fretta nel palazzo in rovina, scavalcò travi cadute, s’infilò a forza tra blocchi di muratura. Pestò un braccio femminile che sporgeva da una montagnola d’intonaco e di mattoni, resti della parete interna e forse del pavimento superiore. Prestò scarsa attenzione al braccio, come all’anello col Gran Serpente intorno a un dito: si era allenata a non vedere i morti fra i cumuli di macerie in cui era ridotta Caemlyn per opera dei Trolloc e degli Amici delle Tenebre.

Si aprì la strada attraverso una stretta breccia e si trovò in una stanza mezzo sepolta dalle macerie dei locali sovrastanti. Rand era disteso per terra, bloccato da una pesante trave che gli premeva sul ventre, con le gambe nascoste dai blocchi di pietra. Aveva il viso impiastrato di polvere e di sudore. Quando lei si avvicinò, apri gli occhi.

«Sei tornata» disse a fatica, in un mormorio stridulo. «Temevo... Non importa. Devi aiutarmi.»

Egwene si lasciò cadere per terra. «Con Aria posso sollevare facilmente la trave; ma se la sposto, ci crolla addosso tutto. Non posso sollevare le macerie, Rand.»

Lui rispose con una breve risata piena d’amarezza e di sofferenza. Sul viso gli luccicavano nuove gocce di sudore. Parlò a fatica. «Posso spostare anch’io la trave. Lo sai. La trave e le pietre. Ma, per farlo, devo lasciarmi andare e non mi fido. Non mi fido di...» S’interruppe, cercò di riprendere fiato.

«Non capisco» disse Egwene, lentamente. «Lasciarti andare? Di cosa non ti fidi?»

"La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare." Egwene si sfregò con forza le orecchie.

«La pazzia, Egwene. La tengo... realmente... a bada.» La sua risata ansimante le diede la pelle d’oca. «Ma mi occorre tutta la forza di cui dispongo» proseguì Rand. «Se mi lascio andare, anche un poco, anche per un istante, la pazzia mi prenderà. Non voglio pensare cosa farò, allora. Devi aiutarmi.»

«Come, Rand? Ho tentato in ogni modo! Dimmi come e ti aiuterò.»

Rand sollevò la mano e la lasciò cadere a breve distanza da un pugnale che giaceva nella polvere. «Il pugnale» mormorò. Riportò a fatica la mano al petto. «Qui. Nel cuore. Uccidimi.»

Egwene fissò Rand, fissò il pugnale, come se tutt’e due fossero serpenti velenosi. «No! Non lo farò! Non posso! Come puoi chiedermi una cosa simile?»

Lentamente Rand allungò di nuovo la mano verso il pugnale. Di nuovo non riuscì a toccarlo. Si forzò, gemendo; lo sfiorò con la punta delle dita. Prima che potesse ritentare, Egwene allontanò con un calcio il pugnale. Rand singhiozzò e ricadde disteso.

«Dimmi perché» protestò Egwene. «Perché mi chiedi di... di assassinarti? Ti Guarirò, farò qualsiasi cosa per portarti fuori di qui, ma non posso ucciderti. Perché?»

«Possono convertirmi, Egwene. Se mi prendono... il Myrddraal... i Signori del Terrore... possono convertirmi all’Ombra. In preda alla pazzia non posso combatterli. Non saprò cosa fanno, finché non sarà troppo tardi. Se, quando mi troveranno, in me ci sarà ancora una sola scintilla di vita, potranno convertirmi. Ti prego, Egwene. Per amore della Luce, uccidimi.»

«Non... non posso, Rand. La Luce m’aiuti, non posso!»

"La via del ritorno si presenterà solo una volta. Non esitare."

Egwene si guardò alle spalle: un arco argenteo, pieno di luce bianca, occupava gran parte dello spazio libero fra le macerie.

«Egwene, aiutami.»

"Non esitare".

Egwene si alzò, mosse un passo verso l’arco. Era proprio lì davanti a lei. Ancora un passo e...

«Ti prego, Egwene. Aiutami. Non ci arrivo. Per amore della Luce, Egwene, aiutami!»

«Non posso ucciderti» mormorò lei. «Non posso. Perdonami.»

Mosse un passo.

«Aiutami, Egwene!»

La luce la bruciò, la ridusse in cenere.

Uscì barcollando dall’arco e non si accorse neppure d’essere nuda. Fu percorsa da un brivido e si coprì la bocca, con tutt’e due le mani. «Non potevo, Rand» mormorò. «Non potevo. Ti prego, perdonami.»