«Cosa avresti fatto? Cosa? Niente! Non puoi farci niente. Ma loro hanno detto che potevano restituirmi Saidar, col potere del... col potere del Tenebroso.» Serrò gli occhi, da cui colavano lacrime. «Mi hanno fatto male, Madre, e mi hanno resa... Oh, Luce santa, quanto male mi hanno fatto! Elaida ha detto che mi avrebbero resa di nuovo intera, in grado d’incanalare di nuovo, se avessi ubbidito. Ecco perché ho... ho dovuto farlo!»
«Allora Elaida è davvero dell’Ajah Nera» disse Egwene, torva. Contro la parete c’era uno stretto armadio; vi era appesa una veste di seta verde, per quando lei non aveva tempo di tornare nelle proprie stanze. Accanto alla veste era appesa una stola a bande colorate. Egwene si vestì in fretta. «Cos’hanno fatto a Rand?» domandò. «Dove l’hanno portato? Rispondi, Beldeine! Dov’è Rand al’Thor?»
Beldeine si rincantucciò, con labbra tremanti, occhi vacui; alla fine si scosse quanto bastava per dire: «Nella Corte del Traditore, Madre. L’hanno portato nella Corte del Traditore.»
Egwene fu colta dai brividi. Brividi di paura. Brividi di rabbia. Elaida non aveva aspettato, neppure un’ora. La Corte del Traditore era usata per tre soli scopi: per un’esecuzione, per quietare un’Aes Sedai o per domare un uomo capace d’incanalare il Potere. Ma tutt’e tre richiedevano l’ordine dell’Amyrlin Seat. Allora chi portava la stola? Elaida, ne era sicura. Ma come poteva farsi accettare così in fretta, senza che lei fosse processata, condannata? Non poteva esserci un’altra Amyrlin, se prima non le avessero tolto stola e bastone. E non l’avrebbero trovata impresa facile. Luce santa! Rand! Si diresse alla porta.
«Cosa puoi fare, Madre!» gridò Beldeine. «Cosa puoi fare?» Non era chiaro se si riferisse a Rand o a se stessa.
«Più di quanto sospettino» disse Egwene. «Io non ho mai tenuto in mano la Verga dei Giuramenti, Beldeine.» L’ansito della Custode la seguì fuori della stanza.
I ricordi giocavano ancora a nascondino con lei, ma Egwene sapeva che nessuna donna avrebbe ottenuto lo scialle e l’anello senza pronunciare i Tre Giuramenti stringendo in pugno la Verga, il ter’angreal che l’avrebbe obbligata a mantenerli come se fossero stati incisi nelle ossa fin dalla nascita. Nessuna donna diventava Aes Sedai, senza essere legata dai Giuramenti. Eppure, in qualche modo che nemmeno immaginava, lei ci era riuscita.
Si mise a correre, con ticchettio di scarpe. Almeno ora sapeva perché i corridoi erano deserti. Ogni Aes Sedai, a parte forse quelle da lei lasciate nel magazzino, ogni Ammessa, ogni novizia, perfino tutte le cameriere, sarebbero state nella Corte del Traditore, secondo la consuetudine, per assistere all’attuazione della volontà di Tar Valon.
E i Custodi avrebbero circondato la corte per evitare che qualcuno tentasse di liberare l’uomo che sarebbe stato domato. I resti dell’esercito di Guaire Amalasan avevano fatto il tentativo, al termine di quella che alcuni chiamavano la Guerra del Secondo Drago, proprio prima che l’ascesa di Artur Hawkwing desse a Tar Valon altri motivi di preoccupazione; e lo stesso tentativo era stato fatto dai seguaci di Raolin Darksbane, molti anni prima. Lei non riusciva a ricordare se Rand avesse seguaci, ma i Custodi ricordavano cose del genere e se ne occupavano.
Se Elaida portava davvero la stola dell’Amyrlin, si disse Egwene, i Custodi le avrebbero impedito d’entrare nella Corte del Traditore. Sapeva di potersi aprire con la forza la strada. Doveva agire in fretta, per evitare che Rand fosse domato, mentre lei imprigionava con Aria i Custodi. Perfino i Custodi si sarebbero dati alla fuga, se lei avesse scagliato contro di loro fulmini e fuoco malefico, se avesse aperto il terreno sotto i loro piedi. Fuoco malefico? Ma sarebbe stato un grave errore anche infrangere il potere di Tar Valon per salvare Rand. Doveva salvare l’uno e l’altro.
Molto prima del corridoio che portava nella Corte del Traditore, svoltò e salì scale e rampe che diventavano sempre più strette; alla fine spalancò una botola e sbucò sul tetto inclinato di una torre, un tetto di tegole quasi bianche. Da lì poteva guardare, al di là d’altri tetti, al di là d’altre torri, l’ampia spianata della Corte del Traditore.
La corte era gremita, a parte lo spiazzo centrale. La gente si era assiepata anche alle finestre sulla corte, affollava le balconate e perfino i tetti; ma Egwene distingueva benissimo l’uomo in catene al centro dello spiazzo. Rand. Dodici Aes Sedai lo circondavano e una tredicesima, che di sicuro portava la stola a bande colorate, era ferma di fronte a lui. Elaida. A Egwene parve di udire le parole che di sicuro Elaida diceva in quel momento.
«Quest’uomo, abbandonato dalla Luce, ha toccato Saidin, la metà maschile della Vera Fonte. Perciò lo teniamo prigioniero. Cosa ancora più abominevole, quest’uomo ha incanalato l’Unico Potere, sapendo che Saidin è contaminato dal Tenebroso, contaminato per l’orgoglio degli uomini, contaminato per i peccati degli uomini. Per questo lo teniamo in catene.»
Egwene si costrinse a scacciare di mente il resto. Tredici Aes Sedai. Dodici Sorelle e l’Amyrlin: il numero tradizionale per domare un uomo. Lo stesso numero per... Scacciò anche questo pensiero. Non aveva tempo per altro, doveva agire. Ed escogitare il modo migliore.
Da quella distanza poteva usare Aria per sollevare di peso Rand, toglierlo dal cerchio di Aes Sedai e portarlo fino a lei. Forse. Anche se avesse trovato la forza, anche se non l’avesse lasciato cadere a metà strada, uccidendolo, avrebbe impiegato troppo tempo e avrebbe reso Rand un inerme bersaglio per gli arcieri. Inoltre, il bagliore di Saidar avrebbe mostrato alle Aes Sedai — e ai Myrddraal, se per questo — dove lei si trovava.
«Luce santa» mormorò «non c’è altro modo, a meno di scatenare una guerra dentro la Torre Bianca. Forse dovrò scatenarla in ogni caso.» Raccolse il potere, si mise a dirimere e a indirizzare i flussi.
"La via del ritorno si presenterà una volta sola. Non esitare."
Da parecchio tempo non aveva udito queste parole e trasalì; scivolò sulle tegole e riuscì a malapena a fermarsi prima del bordo. Il terreno si trovava trecento piedi più in basso. Egwene si guardò alle spalle.
In cima alla torre, di piatto contro le tegole in pendenza, c’era un arco d’argento pieno di luce. L’arco tremolò, ondeggiò; la luce bianca fu attraversata da saettanti striature rosse e gialle.
"La via del ritorno si presenterà una volta sola. Non esitare."
L’arco si assottigliò fin quasi a diventare trasparente, tornò solido.
Frenetica, Egwene guardò la Corte del Traditore. Doveva esserci tempo. Doveva. Le bastavano pochi minuti, forse dieci, e un po’ di fortuna.
Voci le scavarono la testa: non la voce disincarnata, inconoscibile, che l’ammoniva a non esitare, ma la voce di donne che quasi credeva di conoscere.
«...Non possiamo bloccarlo a lungo. Se lei non esce subito...»
«Bloccatelo! Bloccatelo, maledizione, o vi sventro tutte come storioni!»
«...Sta impazzendo, Madre! Non possiamo...»
Le voci si ridussero a un mormorio, il mormorio divenne silenzio. Ma l’altra voce parlò di nuovo.
"La via del ritorno si presenterà una volta sola. Non esitare."
"Bisogna pagare un prezzo, per diventare Aes Sedai."
"L’Ajah Nera aspetta."
Con un grido di rabbia, di perdita, Egwene si lanciò contro l’arco che tremolava come nebbiolina di calore. Quasi si augurò di mancarlo e di sfracellarsi al suolo.
La luce la lacerò fibra per fibra, affettò le fibre fino a farle diventare sottili come capelli, suddivise i capelli in riccioli di nulla. Tutto andò alla deriva nella luce. Per l’eternità.
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