«Non ho rubato niente!» protestò Mat, indignato. Non aveva la minima possibilità di filarsela alla chetichella. Tutte le guardie lo conoscevano! «Non sono un ladro!»
«No, non è ciò che ti leggo in faccia. Niente furti. Ma hai l’aria del tizio che tre giorni fa voleva vendermi il Corno di Valere. Diceva che era quello, per quanto ammaccato e graffiato. Hai anche tu un Corno di Valere da vendere? O forse è la spada del Drago?»
Nel sentir nominare il Corno, Mat trasalì, ma riuscì a mantenere ferma la voce. «Ero ammalato» disse. Ora anche altri soldati lo guardavano. Senza volerlo, aveva fatto in modo che tutti sapessero che non poteva andarsene. Si costrinse a ridacchiare. «Le Sorelle mi hanno Guarito» soggiunse. Alcuni soldati corrugarono la fronte. Forse pensavano che gli altri dovevano mostrare maggior rispetto e non chiamare Sorelle le Aes Sedai. «Immagino che le Aes Sedai non vogliano che me ne vada prima d’avere ricuperato le forze» concluse. Avrebbe voluto convincerli ad accettare questa versione. Un uomo che era stato Guarito, ecco tutto. Non c’era motivo di preoccuparsi ancora di lui.
L’illiano annuì. «Hai l’aspetto di chi è stato ammalato» disse. «Forse la ragione è questa. Ma non ho mai sentito dire che le Aes Sedai si dessero tanta pena per tenere in città un ammalato.»
«La ragione è questa, infatti» dichiarò Mat, deciso. Tutti ancora lo guardavano. «Be’, devo andare. Mi hanno detto di fare passeggiate. Tante lunghe passeggiate. Per rimettermi in forze, capisci.»
Mentre si allontanava, si sentì seguito dai loro sguardi e si accigliò. Aveva solo voluto scoprire fino a che punto le Aes Sedai avevano fatto circolare la sua descrizione. Se fossero stati informati soltanto gli ufficiali delle guardie ai ponti, forse sarebbe riuscito a filarsela. Era sempre stato bravo a passare inosservato: un’abilità che si sviluppa da sola, quando tua madre sospetta sempre che combini qualche marachella e hai quattro sorelle che le riferiscono ogni tua mossa. Ma aveva ottenuto solo di farsi vedere da mezza caserma di guardie, maledizione!
I terreni della Torre erano in gran parte giardini alberati, con ericacee, betulle e olmi; ben presto Mat si trovò a camminare lungo un ampio e tortuoso sentiero di ghiaia. Pareva un viottolo di campagna, a parte le torri visibili al di sopra degli alberi. E la massa bianca della Torre stessa, dietro di lui, che pareva opprimerlo come se gli pesasse sulle spalle. Se c’erano uscite non sorvegliate, quello pareva il posto giusto dove cercarle.
Sul sentiero comparve una ragazza con la veste bianca delle novizie e procedette con decisione verso di lui. Immerso nei propri pensieri, sulle prime Mat non la vide. Ma quando fu tanto vicino da distinguerne gli occhi grandi e neri e la treccia, sorrise. La conosceva, però non si sarebbe mai aspettato d’incontrarla lì. Anzi, neppure di rivederla. Ridacchiò tra sé. Fortuna per compensare la malasorte. Ricordò pure che non le dispiacevano i ragazzi.
«Else» la chiamò. «Else Grinwell. Ti ricordi di me, vero? Mat Cauthon. Con un mio amico sono stato ospite nella fattoria di tuo padre. Ricordi? Hai deciso di diventare Aes Sedai, allora?»
Lei si fermò di colpo e lo fissò. «Cosa fai, in piedi e in giro?» replicò, gelida.
«Ah, lo sai anche tu» disse Mat. Si avvicinò, ma Else arretrò e mantenne la distanza. Mat si fermò. «Non c’è pericolo di contagio. Sono stato Guarito, Else.» Gli occhioni neri parevano più perspicaci di quanto non ricordasse e molto meno calorosi, ma forse era una conseguenza degli studi per diventare Aes Sedai. «Cosa ti prende, Else? Non mi conosci più?»
«Ti conosco» disse lei. Anche il comportamento era diverso da come lui lo ricordava: ora avrebbe potuto dare lezioni d’arroganza a Elayne. «Ho... da fare. Lasciami passare.»
Il sentiero, pensò Mat con una smorfia, era sufficiente per sei persone a fianco a fianco. «T’ho detto che non c’è pericolo di contagio.»
«Lasciami passare!»
Brontolando, Mat si spostò sul bordo del sentiero. Else gli passò accanto, dall’altro lato, tenendolo d’occhio per assicurarsi che non s’avvicinasse. Poi allungò il passo e continuò a guardarlo da sopra la spalla, finché non scomparve al di là della curva.
Voleva essere sicura che non la seguissi, pensò Mat, acido. Prima le guardie e ora Else. Non aveva molta fortuna, quel giorno.
Riprese la passeggiata e ben presto udì una serie di colpi rumorosi, come di decine di bastoni battuti insieme. Incuriosito, si diresse da quella parte, fra gli alberi.
Quasi subito si trovò in un vasto spiazzo di terra battuta, largo almeno cinquanta passi e lungo il doppio. Tutt’intorno, a intervalli sotto gli alberi, c’erano cavalletti di legno con bastoni ferrati e spade d’allenamento fatte con listelli lascamente legati, oltre a qualche spada vera, qualche ascia e qualche lancia.
Sul terreno aperto, coppie di uomini quasi tutti a torso nudo si affrontavano con spade d’allenamento. Alcuni si muovevano con scioltezza e parevano danzare, passando di posizione in posizione, dal colpo di parata al colpo di risposta, in fluido e costante movimento. Non si segnalavano per qualcosa di particolare, a parte l’abilità, però Mat fu sicuro che fossero Custodi.
Coloro che non mostravano altrettanta scioltezza erano tutti assai giovani; ciascuna coppia si addestrava sotto l’occhio attento d’un uomo più anziano che pareva irradiare grazia micidiale anche da fermo. Custodi e allievi, si disse Mat.
Non era l’unico a guardare. Neanche a dieci passi da lui, cinque o sei donne con il viso senza età delle Aes Sedai e altrettante Ammesse guardavano una coppia di allievi a torso nudo, lucidi di sudore, sotto la guida di un Custode con il fisico d’un blocco di pietra. Il Custode usava una corta pipa per dare insegnamenti agli allievi e lasciava una scia di fumo.
Mat si sedette a gambe incrociate sotto un albero, raccolse tre sassi e cominciò a lanciarli in aria e a riprenderli al volo come i giocolieri. Non che si sentisse debole, ma gli faceva piacere starsene seduto. La via d’uscita, se c’era, non sarebbe svanita solo perché lui si riposava un momento.
Prima che passassero cinque minuti, capì qual era la persona che Aes Sedai e Ammesse guardavano: uno degli allievi del Custode ben piantato, un giovanotto alto e snello, dai movimenti felini. Bello quasi come una ragazza, pensò Mat, sarcastico. Ogni donna, perfino le Aes Sedai, fissava con occhi scintillanti quel giovanotto.
Il giovane adoperava la spada quasi con l’abilità dei Custodi e di tanto in tanto si guadagnava un borbottio d’approvazione da parte del maestro. Ma non perché l’avversario, più vicino all’età di Mat e dai capelli rossodorati, fosse poco abile. Anzi, era bravo anche lui, per quanto ne capiva Mat, che di spade sapeva poco. Il giovane dai capelli rossodorati parava ogni fulmineo attacco, schivava i colpi e di tanto in tanto contrattaccava. Ma l’altro respingeva in un batter d’occhio questi attacchi e riprendeva gli assalti.
Mat passò i ciottoli in una mano sola, ma continuò a lanciarli in aria e a prenderli al volo. Non gli sarebbe piaciuto affrontare nessuno dei due, si disse; di certo, non con la spada.
«Intervallo!» disse il Custode, con voce che pareva il rumore d’un secchio di pietre rovesciato. Col fiato grosso, i due abbassarono la spada. Avevano i capelli incollati di sudore. «Potete riposare, finché non avrò finito la pipa. Ma riposate in fretta: sono quasi al fondo.»
Mat ne approfittò per dare una buona occhiata al giovane dai capelli rossodorati e lasciò cadere i tre ciottoli. “La Luce m’incenerisca!" pensò. “Mi giocherei fino all’ultima moneta che quello è il fratello di Elayne. E se l’altro non è Galad, mi mangio gli stivali." Mentre tornavano da Capo Toman, metà dei discorsi di Elayne riguardava le virtù di Gawyn e i difetti di Galad. Be’, anche Gawyn, secondo Elayne, aveva qualche difetto, ma di scarsa importanza... e a Mat parevano quella sorta di debolezze che solo una sorella riterrebbe difetti. D’altra parte, se Elayne era messa alle strette, Galad pareva il figlio che ogni madre vorrebbe avere. Mat non pensava che gli sarebbe piaciuto passare tanto tempo in compagnia di Galad. Egwene arrossiva ogni volta che lo si nominava, ma pareva convinta che nessuno se ne accorgesse.