«Cosa?» esclamò Egwene, brusca. «Cos’hai detto di Ishamael?»
La vecchia si girò e mostrò un sorriso storto e ingraziante. «Solo ciò che dice la povera gente, milady. Dire che i Reietti sono stupidi svia il loro potere. E dà una piacevole sensazione di sicurezza. Neppure l’Ombra lo sopporta. Prova, milady. Prova a dire: Ba’alzamon è stupido!»
Egwene increspò le labbra in un sorriso. «Ba’alzamon è stupido!» ripeté. «Hai ragione, Silvie.» Provava davvero una sensazione piacevole, a beffarsi del Tenebroso. La vecchia ridacchiò. La spada girava proprio sopra le sue spalle.
«Silvie» domandò Egwene «cos’è, quella?»
«Callandor, milady. Lo sai, no? La Spada Intoccabile.» Mosse il bastone, che a un piede dalla spada rimbalzò con un tonfo sordo. Silvie allargò il sorriso. «La Spada-che-non-è-una-spada, anche se pochissimi sanno cos’è. Ma nessuno può toccarla, tranne uno. A questo provvidero coloro che la misero qui. Un giorno il Drago Rinato impugnerà Callandor e con questo dimostrerà al mondo d’essere il Drago. Sarà la prima prova, comunque. La prova che Lews Therin è tornato perché tutto il mondo lo veda e si stenda bocconi davanti a lui. Ah, ai Sommi Signori non piace averla qui. Non piace niente che riguardi il Potere. La darebbero via, se potessero. Altri la prenderebbero, se potessero. Cosa non darebbe, un Reietto, per impugnare Callandor?»
Egwene fissò la spada scintillante. Se le Profezie del Drago erano vere... se Rand era il Drago, come sosteneva Moiraine, un giorno avrebbe impugnato quella spada; ma dal poco che sapeva delle Profezie riguardanti Callandor, non capiva come potesse accadere. Tuttavia, se esisteva un modo di prendere quella spada, forse l’Ajah Nera lo conosceva. E se le Nere lo conoscevano, lei avrebbe potuto scoprirlo.
Con prudenza adoperò il Potere per sondare che cosa sorreggeva e schermava la spada. La sonda toccò... qualcosa... e fu bloccata. Egwene percepì quali dei Cinque Poteri avessero usato. Aria e Fuoco e Spirito. Poteva seguire l’intricata tessitura di Saidar, realizzata con una forza che la stupì. C’erano brecce nella tessitura, spazi attraverso i quali la sonda avrebbe potuto scivolare. Quando provò a sfruttarli, ebbe l’impressione di combattere la parte più forte dell’intera tessitura. Allora questa colpì ciò che cercava d’aprirsi un varco e Egwene lasciò svanire la sonda. Metà schermo era stato intessuto con Saidar; l’altra metà, la parte che non poteva percepire né toccare, con Saidin. Non era proprio esatto... lo schermo era un tutto unico... ma la descrizione calzava. Una parete di pietra, pensò Egwene, ferma una donna cieca allo stesso modo di una che ci vede.
In lontananza si udì rumore di passi. Stivali.
Non sapeva quante persone fossero né da quale direzione giungessero; ma Silvie sobbalzò e subito fissò lo spazio fra le colonne. «Viene a guardarla di nuovo» borbottò. «Sveglio o addormentato, vuole...» Parve ricordarsi di Egwene e sorrise, preoccupata. «Ora devi andare, milady. Non deve trovarti qui, non deve neppure sapere che sei stata qui.»
Egwene arretrava già fra le colonne e Silvie la seguì, agitando le mani e facendo ondeggiare il bastone.
«Vado, Silvie» disse Egwene. «Devo solo ricordare la strada.» Tastò l’anello di pietra. «Riportami fra le colline» ordinò. Non ottenne risultato. Incanalò nell’anello un rivolo sottile. «Riportami fra le colline.» Era sempre circondata da colonne di granito. Il rumore di stivali si era avvicinato, ora non si confondeva più nella propria eco.
«Non conosci la via d’uscita» disse Silvie in tono piatto; poi soggiunse, con un preciso bisbiglio, ingraziante e beffardo nello stesso tempo, da vecchia cameriera convinta di potersi prendere qualche libertà: «Oh, milady, questo è un luogo pericoloso, se non si conosce la via d’uscita. Su, lascia che la povera vecchia Silvie ti conduca fuori. La povera vecchia Silvie ti metterà al sicuro nel tuo letto, milady.» Circondò con le braccia Egwene e la spinse più lontano dalla spada. Non che Egwene avesse bisogno d’incitamento: i passi si erano fermati; l’uomo, chiunque fosse, probabilmente fissava Callandor.
«Mostrami solo la via» disse Egwene, anche lei in un bisbiglio. «O dimmi come si fa. Non occorre spingere.» Chissà come, le dita della vecchia si erano impigliate nell’anello di pietra. «Lascia stare l’anello, Silvie.»
«Al sicuro nel tuo letto.»
Il dolore cancellò il mondo.
Con uno strillo da lacerare la gola, Egwene si alzò a sedere nel buio, tutta sudata. Per un momento non capì dove si trovasse. «Oh, Luce» gemette «che male! Che male!» Si passò le mani su tutto il corpo, sicura d’avere la pelle scorticata o piena di lividi che giustificassero il bruciore, ma non scoprì alcun segno.
«Siamo qui» disse Nynaeve dal buio. «Siamo qui, Egwene.»
Egwene si lanciò verso la voce; piena di sollievo, gettò le braccia al collo di Nynaeve. «Luce santa, sono tornata.»
«Elayne» disse Nynaeve.
Da una delle candele provenne un fioco bagliore. Elayne esitò, con la candela in mano e nell’altra la strisciolina di carta accesa con l’acciarino. Poi sorrise e ogni candela della stanza si accese di colpo. Elayne andò al lavabo e tornò con un panno bagnato per lavare il viso a Egwene.
«È stato brutto?» domandò, preoccupata. «Non ti sei mossa. Non hai nemmeno borbottato. Non sapevamo se svegliarti o lasciarti dormire.»
Con gesti frenetici Egwene si tolse dal collo la cordicella con l’anello e la gettò a terra. «La prossima volta» ansimò «stabiliamo un tempo: alla scadenza mi sveglierete, a costo d’infilarmi la testa in una bacinella d’acqua!» Non si era resa conto d’avere deciso che ci sarebbe stata un’altra volta. Voleva infilare la testa nelle fauci dell’orso solo per dimostrare di non avere paura? Voleva provarci una seconda volta solo perché la prima non era morta?
Non era semplicemente questione di dimostrare a se stessa di non avere paura. In realtà aveva paura e lo sapeva! Ma finché l’Ajah Nera aveva quei ter’angreal studiati da Corianin Nedeal, lei era obbligata a tornare nel Mondo dei Sogni. Nel Tel’aran’rhiod si trovava di sicuro la spiegazione del perché le Nere li avessero rubati.
«Ma non stanotte» soggiunse piano. «Non ancora.»
«Cos’è accaduto?» domandò Nynaeve. «Cos’hai... sognato?»
Egwene si distese sul letto e raccontò ogni particolare. Tenne per sé una sola cosa: Perrin che parlava al lupo. Provò un certo senso di colpa, a non confidarsi con Elayne e con Nynaeve; ma avrebbe dovuto rivelare il segreto di Perrin, non il proprio, e toccava a lui stabilire se e quando rivelarlo. Per il resto, riferì con la massima precisione ogni cosa. Al termine, si sentì svuotata.
«A parte la stanchezza» disse Elayne «pareva ferito? Egwene, non posso credere che volesse farti del male. Non l’avrebbe mai fatto.»
«Rand dovrà badare a se stesso ancora per un poco» disse Nynaeve, asciutta. Elayne arrossì. Diventava più graziosa, con le guance rosse, pensò Egwene; si rese conto che Elayne pareva graziosa in qualsiasi circostanza, anche se piangeva o se sfregava tegami. «Callandor» proseguì Nynaeve. «Il Cuore della Pietra. Era segnato sulla piantina. Sappiamo, credo, dove si trovi l’Ajah Nera.»
Elayne aveva ripreso la padronanza di sé. «Non cambia niente» disse. «Se non è una diversione, è una trappola.»
Nynaeve sorrise, cupa. «Il modo migliore per acchiappare chi l’ha messa è uno solo: farla scattare e aspettare che arrivi. Lui, o lei, nel caso nostro.»
«Proponi di andare a Tear?» disse Egwene.
Nynaeve annuì. «L’Amyrlin ci ha sguinzagliate, pare. Prendiamo le nostre decisioni, ricordi? Almeno sappiamo che l’Ajah Nera è a Tear e sappiamo chi cercare. Qui possiamo solo arrovellarci con sospetti su ognuno e domandarci se nei paraggi c’è un altro Grigio. Preferisco la parte del segugio, a quella del coniglio.»