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«Maledizione, cos’hai combinato?» mormorò Thom.

«La situazione è cambiata» disse Mat, deciso. Dalla nave lanciavano sul molo l’ultima gomena d’ormeggio; le vele triangolari erano ancora arrotolate sulle lunghe aste oblique, ma i marinai preparavano i remi. Mat tolse dalla borsa il documento firmato dall’Amyrlin e lo cacciò sotto il naso del capocantiere. «Come vedi, sono in missione per conto della Torre, su ordine dell’Amyrlin Seat in persona. E devo imbarcarmi proprio su questa nave.»

Il capocantiere lesse il documento, lo rilesse. «In vita mia non ho mai visto niente del genere» disse. «Perché la Torre ha proclamato che non potevi andartene e poi ti ha dato... questo?»

«Domandalo all’Amyrlin, se vuoi proprio saperlo» rispose Mat, con voce stanca, lasciando capire che nessuno era tanto stupido da farlo. «Ma lei avrà la mia pelle e la tua, se non parto con questa nave.»

«Non ce la farai» disse il capocantiere; ma già aveva portato alla bocca le mani a coppa. «Voi del Gabbiano Grigio!» gridò. «Ferma! La luce v’incenerisca, fermatevi!»

Il tizio senza camicia, che reggeva il timone, girò la testa e disse qualcosa a un tipo alto, dalla giubba scura con maniche a sbuffo. Costui non distolse gli occhi dai marinai che avevano appena tuffato in acqua i remi. «Avanti insieme» gridò. Le pale dei remi sollevarono spuma.

«Ce la farò» disse Mat, brusco. Aveva detto la prima nave e la prima nave sarebbe stata! «Vieni, Thom!»

Non aspettò di vedere se il menestrello lo seguiva: corse lungo il molo, scansò portuali e carriole piene di merci. La distanza fra la poppa del Gabbiano Grigio e la banchina aumentò, mentre i remi mordevano l’acqua. Mat alzò il bastone, lo lanciò davanti a sé come una lancia, mosse ancora un passo e saltò con tutte le sue forze.

Sorvolò acqua scura che pareva gelida e in un attimo fu al di là della murata e rotolò sul ponte. Mentre si rialzava, udì alle sue spalle un grugnito e un’imprecazione.

Thom Merrilin scavalcò la murata, imprecò ancora e si calò sul ponte. «Ho perso il bastone» brontolò. «Me ne servirà un altro.» Si massaggiò la gamba destra e scrutò la fascia d’acqua, sempre più larga, che separava la nave dal molo. Rabbrividì. «Oggi ho già fatto un bagno» disse. Il timoniere girava gli occhi sgranati da lui a Mat e viceversa; stringeva la barra e pareva domandarsi se usarla per difendersi da quei due pazzi.

L’uomo alto parve altrettanto stupito: sbarrò gli occhi, azzurro chiaro, e per un momento mosse le labbra senza emettere suono. La barba scura, tagliata a punta, vibrava di rabbia e il viso divenne paonazzo. «Per la Pietra!» gridò infine l’uomo. «Cosa significa? Sulla nave non ho spazio neppure per un gatto e in ogni caso non prenderei a bordo vagabondi che mi saltano sul ponte. Sanor! Vasa! Buttate in acqua questi due rifiuti!»

Due marinai eccezionalmente robusti, scalzi e a torso nudo, smisero di arrotolare gomene e si diressero a poppa. Quelli ai remi continuarono a spingere la nave: piegavano la schiena per sollevare i remi, facevano tre lunghi passi, si raddrizzavano e arretravano di tre passi.

Mat sventolò verso l’uomo alto — il capitano, ritenne — il documento dell’Amyrlin e intanto pescò dalla borsa una corona d’oro, lasciando vedere che ce n’erano altre. Gettò al capitano la moneta d’oro e, senza smettere di sventolare il documento, disse in fretta: «Per il disturbo d’essere saliti a bordo di sorpresa, capitano. Te ne darò altre per il viaggio. Siamo in missione per conto della Torre Bianca. Ordine dell’Amyrlin Seat in persona. Dovevamo partire immediatamente. Per Aringill, nell’Andor. Con la massima urgenza. La benedizione della Torre Bianca su chiunque ci aiuti, la collera della Torre su chiunque ci ostacoli.»

Di sicuro il capitano aveva visto la Fiamma di Tar Valon (e poco d’altro, si augurò Mat) nel tempo che lui impiegò a ripiegare il documento e a rimetterlo nella borsa. Guardò a disagio i due colossi che intanto si erano posti ai lati del capitano (avevano, pensò, braccia muscolose come Perrin!) e rimpianse di non avere in pugno il bastone dalla punta ferrata, finito sul ponte, un po’ più avanti. Cercò di mostrarsi sicuro e fiducioso, il tipo d’uomo che non conviene stuzzicare, spalleggiato dal potere della Torre Bianca. Ormai molto lontana, si augurò.

Il capitano guardò con espressione dubbiosa Mat e soprattutto Thom, nell’abbigliamento da menestrello, che si reggeva in piedi con una certa difficoltà, ma fece segno a Sanor e a Vasa di non muoversi. «Non susciterei mai la collera della Torre» disse. «Maledizione, al momento i miei traffici mi portano da Tear a questo covo di... insomma, vengo qui troppo spesso per far arrabbiare... chiunque.» Sorrise a denti stretti. «Ma ho detto la pura verità. Ho sei cabine passeggeri, tutte piene. Potete dormire sul ponte e consumare i pasti insieme con l’equipaggio, per un’altra corona d’oro. A testa.»

«Assurdo!» disse Thom, brusco. «Non m’interessa cosa ha fatto la guerra giù a valle, ma è assurdo!» I due marinai si agitarono, pronti a intervenire.

«Il prezzo è questo» replicò il capitano, deciso. «Non voglio provocare l’ira di nessuno, ma preferirei non essere immischiato nelle faccende che vi hanno portato a bordo della mia nave. Sarebbe come lasciare che un uomo ti paghi per poterti coprire di catrame bollente! Pagate la tariffa o saltate in acqua... e l’Amyrlin stessa vi asciughi pure. Questa me la tengo per i fastidi che m’avete procurato, grazie.» Si cacciò in tasca la corona d’oro.

«Quanto, per una cabina?» domandò Mat. «Tutta per noi. Potresti trasferire in un’altra gli attuali occupanti.» Non aveva voglia di dormire all’aperto nel freddo della notte. “Se non metti in riga un tipo come lui” si disse “quello ti ruba le brache e ti fa credere d’averti fatto un favore." Sentì brontolare lo stomaco. «E faremo i pasti con te, non con l’equipaggio. E pasti abbondanti!»

«Mat, qui l’ubriaco sarei io» disse Thom. Si rivolse al capitano, facendo svolazzare il mantello dalle toppe multicolori, per quanto gli era possibile, dal momento che portava in spalla la coperta arrotolata e le custodie con arpa e flauto. «Come forse hai notato, capitano, sono un menestrello» disse. Anche all’aria aperta, la sua voce parve a un tratto echeggiare. «Per il prezzo del viaggio, sarei più che lieto d’intrattenere gli altri passeggeri e l’equipaggio...»

«Il mio equipaggio è a bordo per lavorare, menestrello, non per divertirsi» replicò il capitano, lisciandosi la barba a punta; intanto valutò al centesimo la giubba di Mat. «Così volete una cabina, eh?» Latrò una risata. «E i miei pasti, eh? Bene, avrete la mia cabina e i miei pasti, per cinque corone d’oro a testa! Corone dell’Andor!» Erano le più pesanti, naturalmente. Si mise a ridere, così forte da ansimare. Ai suoi fianchi, Sanor e Vasa sogghignavano. «Per dieci corone» ripeté il capitano «potete prendervi la mia cabina e i miei pasti; io mi trasferirò con i passeggeri e mangerò con l’equipaggio. Certo, lo giuro! Per dieci corone d’oro...» Le risate soffocarono il resto.

Rideva ancora, ansimava per riprendere fiato e si asciugava le lacrime quando Mat tirò fuori una delle due borse; ma tornò serio di colpo, quando Mat gli mise in mano cinque corone. Batté le palpebre, incredulo; i due colossi parvero rintronati da un colpo in testa.

«Corone dell’Andor, hai detto?» domandò Mat. Era difficile giudicare, senza bilancino; ma aggiunse al mucchietto altre sette monete. Due erano effettivamente dell’Andor, ma le altre più o meno raggiungevano il peso richiesto. Dopo un momento aggiunse altre due corone d’oro tairenesi. «Per rimborsare chi caccerai dalla cabina» disse. Non credeva che i passeggeri avrebbero visto un centesimo, ma a volte la generosità ripagava. «A meno che tu non voglia dividerla con loro. No, naturalmente. Dovrebbero essere risarciti per dividere la cabina con altri. E non occorre che, consumi i pasti insieme con l’equipaggio, capitano. Sarai il benvenuto alla nostra tavola.» Thom lo fissò con la stessa durezza degli altri.