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«Sei...» domandò il capitano, con un bisbiglio rauco. «Sei... sei per caso... un giovane lord sotto falso nome?»

«Non sono affatto un lord» rise Mat. Ora aveva motivo di ridere. Il Gabbiano Grigio era ben addentro nel buio del porto e il molo era solo una banda di luce che indicava l’ingresso nero, non molto distante, dove le porte immettevano nel fiume. I remi spingevano rapidamente la nave verso l’apertura. I marinai già muovevano le lunghe aste oblique e si preparavano a sciogliere le vele. E il capitano, con le mani piene di monete d’oro, pareva molto meno pronto a gettare in acqua qualcuno. «Se non ti spiace, capitano, potremmo vedere la nostra cabina? La tua cabina, voglio dire. Farei volentieri qualche ora di sonno.» Sentì il brontolio del proprio stomaco. «E anche cena!»

La nave già puntava nelle tenebre; il capitano li guidò giù per una scaletta, lungo un breve corridoio fiancheggiato di porte assai ravvicinate e dentro una cabina, larga quanto la poppa, con il letto e i mobili imbullonati alle pareti, tranne due sedie e alcuni bauli. Mentre lui toglieva dalla cabina la propria roba e provvedeva a farli sistemare, Mat apprese parecchie cose: tanto per cominciare, il capitano non avrebbe scacciato nessun passeggero. Aveva troppo rispetto per il denaro pagato, se non per le persone. Avrebbe preso la cabina del primo ufficiale, che avrebbe occupato quella del secondo, e così via.

Mat non ritenne molto utile questa informazione, ma ascoltò tutto quello che il capitano diceva. Era sempre meglio sapere non solo dove si andava ma anche con chi si aveva a che fare, altrimenti t’avrebbero tolto giubba e stivali e t’avrebbero rimandato a casa scalzo sotto la pioggia.

Il capitano, Huan Mallia, era tairenese; fattasi un’idea di Mat e di Thom, prese a parlare con grande volubilità. Non era di nobile nascita, disse, ma non certo uno sciocco. Un giovanotto che aveva più oro del normale, poteva essere un ladro, ma tutti sapevano che nessun ladro poteva scappare da Tar Valon portando con sé il bottino. Un giovanotto con l’aria e gli abiti del campagnolo, ma con la sicurezza del lord che negava d’essere... «Per la Pietra, non dirò che sei un lord, se dici di non esserlo» ridacchiò, ammiccando e tirandosi la barbetta a punta. Un giovanotto munito di un documento con il sigillo dell’Amyrlin Seat e diretto nell’Andor. Non era un segreto che la regina Morgase era venuta in visita a Tar Valon, anche se non si conosceva il motivo. Era chiaro, per lui almeno, che ci fosse sotto qualcosa, fra Caemlyn e Tar Valon. E Mat e Thom erano messaggeri... per conto di Morgase, pensava, a causa del modo di parlare di Mat. Sarebbe stato felice di fare il possibile per collaborare e non intendeva cacciare il naso dove non avrebbe dovuto.

Mat scambiò occhiate di stupore con Thom, occupato a infilare sotto un tavolo imbullonato alla parete gli astucci degli strumenti. La cabina aveva due finestrelle per lato e un paio di lampade fissate a staffe.

«Tutte sciocchezze» disse Mat.

«Certo, certo» replicò Mallia, che tirava fuori da un baule ai piedi del letto alcuni vestiti. «Naturalmente.» Tolse dall’armadio a parete le carte fluviali che gli occorrevano. «Non dirò altro.»

Ma intendeva curiosare, per quanto fingesse il contrario, e continuò con le chiacchiere, mentre scrutava da tutte le parti. Mat lo ascoltò e alle domande rispose con un borbottio o con un paio di parole; Thom parlò ancora meno e continuò a scuotere la testa, mentre si toglieva di spalla i fagotti.

Mallia era stato per tutta la vita marinaio fluviale, ma sognava il mare. Usava toni sprezzanti per quasi tutte le nazioni, Tear esclusa: salvò soltanto l’Andor, a malincuore. «Pare che nell’Andor ci siano buoni cavalli» riconobbe. «Non buoni come quelli di razza tairenese, ma abbastanza buoni. Gli andorani fanno buon acciaio, lavorano bene ferro, bronzo e rame... ho commerciato abbastanza spesso, anche se i prezzi sono alti... ma hanno le miniere, nelle Montagne delle Nebbie. Anche miniere d’oro. A Tear l’oro ce lo dobbiamo guadagnare.»

La nazione trattata peggio fu il Mayene. «Persino inferiore al Murandy» disse. «Una sola città e poche leghe di terra. Abbassano il prezzo del nostro buon olio d’oliva tairenese, solo perché le loro navi sanno come trovare i banchi di pesci da olio. Non hanno alcun diritto d’essere una nazione.»

Odiava l’Illian. «Un giorno o l’altro spoglieremo l’Illian, raderemo al suolo ogni città e ogni villaggio, spargeremo sale sulle loro sporche terre.» Aveva quasi la barba dritta. «Perfino le loro olive sono marce! Un giorno porteremo via in catene quei porci illiani, tutti fino all’ultimo! Così dice il Sommo Signore Samon.»

Mat si domandò che cosa poteva farsene Tear di tutta quella gente. Bocche da sfamare e mani che in catene non avrebbe lavorato di sicuro. Per lui era un’idea assurda, ma a Mallia brillavano gli occhi, mentre ne parlava.

Disse che solo gli stupidi si lasciavano governare da un re o da una regina, da una sola persona. «Fatta eccezione per la regina Morgase» si affrettò a soggiungere. «Lei è un’ottima regina, dicono. Anche molto bella, corre voce.» Invece i Sommi Signori governavano Tear tutti insieme e stabilivano di comune accordo le decisioni, com’è giusto che sia. I Sommi Signori sapevano cos’era giusto e buono e vero. Soprattutto il Sommo Signore Samon. Nessuno sbagliava, se ubbidiva ai Sommi Signori. Soprattutto al Sommo Signore Samon.

Al di là di re e di regine, perfino al di là dell’Illian, c’era in Mallia un odio profondo che il capitano tentava di tenere nascosto; ma parlava talmente tanto, nel tentativo di scoprire le intenzioni dei due, e si lasciava talmente trasportare dal suono della propria voce, da lasciar trapelare più indizi di quanti non volesse.

I due viaggiavano di sicuro parecchio, al servizio di una grande regina come Morgase. Di sicuro avevano visto molte nazioni. Lui sognava il mare, perché così avrebbe visto terre di cui aveva soltanto sentito parlare, perché allora avrebbe trovato i banchi di pesci dei mayenesi, avrebbe battuto nel commercio il Popolo del Mare e gli sporchi illiani. E il mare era molto lontano da Tar Valon. Questo lo capivano di certo, obbligati com’erano a viaggiare in luoghi bizzarri tra popoli bizzarri, luoghi e popoli che non avrebbero sopportato, se non avessero servito la regina Morgase.

«Non mi è mai piaciuto fare scalo qui, senza mai sapere chi potrebbe fare uso del Potere» disse, quasi sputando l’ultima parola. Però, dal momento che aveva udito cosa diceva il Sommo Signore Samon... «Mi bruci l’anima, ma ora, sapendo cosa tramano, solo a guardare la loro Torre Bianca ho l’impressione che le teredini mi scavino le viscere.»

Il Sommo Signore Samon diceva che le Aes Sedai volevano governare il mondo. Samon diceva che intendevano schiacciare ogni nazione, mettere il piede sul collo d’ogni uomo. Samon diceva che Tear non poteva più tenere fuori del proprio territorio il Potere e credere che bastasse. Samon diceva che per Tear si appressava il giusto giorno di gloria, ma che fra Tear e la gloria si frapponeva Tar Valon.

«Non c’è speranza. Presto o tardi bisognerà catturare e uccidere ogni Aes Sedai. Il Sommo Signore Samon dice che sarà possibile salvare le altre... le più giovani, le novizie, le Ammesse... se saranno portate alla Pietra, ma bisogna sradicare le Aes Sedai. Bisogna distruggere la Torre Bianca.»

Per un momento Mallia rimase al centro della cabina, con le braccia piene di vestiti, di libri e di rotoli di carte nautiche, sfiorando con i capelli la travatura del ponte, con lo sguardo perso nel vuoto a immaginare la caduta della Torre Bianca. Poi trasalì, come se si fosse reso conto di ciò che aveva appena detto. Agitò, incerto, la barba a punta.