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«Questo è ciò... ciò che sostiene lui» disse. «Forse mi sono spinto troppo oltre. Il Sommo Signore Samon... ha un modo di parlare che induce una persona a superare le proprie convinzioni. Se Caemlyn può fare accordi con la Torre, bene, anche Tear può farlo.» Rabbrividì e non parve accorgersene. «Così la penso io.»

«Oh, certo» disse Mat maliziosamente. «Penso che la tua proposta sia quella giusta, capitano. Ma non fermatevi a poche Ammesse. Fate venire una decina di Aes Sedai, o una ventina. Pensa cosa diventerebbe, la Pietra di Tear, con venti Aes Sedai dentro.»

Mallia rabbrividì. «Manderò un uomo a prendere il mio forziere» disse, rigido. Uscì a passi decisi.

Mat fissò di storto la porta. «Forse avrei fatto meglio a non dire niente» mormorò.

«Non so come ti sia venuta in mente questa idea» disse Thom, ironico. «Alla prima occasione, potresti suggerire al Lord Capitano Comandante dei Manti Bianchi di sposare l’Amyrlin Seat.» Si accigliò. «Il Sommo Signore Samon. Non ne ho mai sentito parlare.»

Ora toccò a Mat fare ironia. «Be’, neppure tu puoi sapere tutto di tutti i re e le regine e i nobili esistenti, Thom. Te ne sarà sfuggito un paio.»

«Conosco il nome dei re e delle regine, ragazzo, e anche di tutti i Sommi Signori di Tear. Immagino che abbiano promosso un Signore della Terra, ma avrei sentito parlare della morte del vecchio Sommo Signore. Se ti fossi accordato per scacciare dalla propria cabina un paio di disgraziati, anziché prendere quella del capitano, ora avremmo un letto ciascuno, per quanto stretto e duro. Invece dobbiamo dividerci quello di Mallia. Mi auguro che tu non russi, ragazzo. Non sopporto la gente che russa.»

Mat digrignò i denti. Pensandoci adesso, Thom russava col rumore d’una raspa contro un nodo di quercia. Se n’era dimenticato.

Uno dei due colossi venne a prendere da sotto il letto il baule rinforzato con bande di ferro che conteneva i denari del capitano. Non disse una parola, si limitò ad abbozzare qualche inchino e a guardarli di storto quando pensava di non essere visto; se ne andò in fretta.

Mat cominciò a domandarsi se la fortuna che l’aveva assistito per tutta la notte alla fine l’avesse abbandonato. Doveva rassegnarsi al russare di Thom; e poi, a dire il vero, forse non era stata una gran fortuna, balzare a bordo di quella particolare nave, sventolando un documento con la firma dell’Amyrlin Seat e il sigillo della Fiamma di Tar Valon. D’impulso prese un bussolotto con i dadi, lo scoperchiò e lo capovolse sul tavolo.

I cinque dadi erano del tipo a puntini e mostravano cinque “uno". In alcuni giochi, la combinazione era chiamata “gli occhi del Tenebroso” ed era perdente. In altri giochi, vinceva. Ma lui quale gioco giocava? Raccolse i dadi, li lanciò di nuovo. Cinque “uno". Un altro lancio: e di nuovo “gli occhi del Tenebroso” gli ammiccarono.

«Se hai usato questi dadi per vincere tutto quell’oro» disse piano Thom «non c’è da stupirsi che tu abbia dovuto prendere la prima nave in partenza.» Si era spogliato e in quel momento si sfilava la camicia passandola sopra la testa. Aveva ginocchia nodose e gambe magre che parevano tutte tendini; la destra era un po’ rattrappita. «Ragazzo, una bambina di dieci anni ti strapperebbe il cuore, se sapesse che contro di lei usi quei dadi.»

«Non sono i dadi» borbottò Mat. «È la fortuna.» Fortuna delle Aes Sedai? O fortuna del Tenebroso? Ripose i dadi e tappò il bussolotto.

«Immagino» disse Thom, salendo sul letto «che non mi dirai da dove proviene tutto quell’oro, eh?»

«L’ho vinto. Stanotte. Con dadi degli altri.»

«Ah-ha. E immagino che non mi spiegherai la provenienza di quel documento che sbandieri in giro... ho visto il sigillo, ragazzo! Né tutte le chiacchiere sugli affari della Torre Bianca. Né come mai il capocantiere aveva la tua descrizione diffusa dalle Aes Sedai.»

«Porto a Morgase una lettera di Elayne» rispose Mat, con molta più pazienza di quanta non provasse. «Il documento me l’ha dato Nynaeve. Non so dove l’abbia preso.»

«Be’, se non vuoi dirmelo, mi metto a dormire. Spegni le lanterne, ti spiace?» Si girò dalla propria parte e si tirò sulla testa un guanciale.

Mat si spogliò, s’infilò sotto le coperte — dopo avere spento le lanterne -ma non riuscì a prendere sonno, anche se Mallia si trattava bene, visto il buon materasso di piume. Non si era sbagliato: Thom russava e il guanciale non soffocava un bel niente. Pareva che Thom tagliasse controvena un pezzo di legno, usando una sega arrugginita. E lui non la smetteva di riflettere. Già, come avevano fatto, Nynaeve e le altre due, ha ottenere dall’Amyrlin quel documento? Di sicuro erano coinvolte, con la stessa Amyrlin Seat, in qualche macchinazione, in una delle trame della Torre Bianca; però, ora che ci pensava, era sicuro che Nynaeve e le altre sapevano pure qualcosa che non avevano rivelato all’Amyrlin.

«"Per favore, Mat, porta una lettera a mia madre"» mormorò sottovoce, rifacendo il verso a Elayne. «Pazzo! L’Amyrlin avrebbe mandato un Custode, per consegnare alla regina una lettera dell’Erede. Pazzo e cieco, per la voglia di andarmene a qualsiasi costo dalla Torre, tanto da non capire più niente.» Il russare di Thom parve strombettare un assenso.

Più di tutto, però, Mat meditò sulla fortuna e sui ladroni.

Si accorse appena del primo tonfo di un oggetto contro la poppa. Non badò a un altro colpo e al rumore di piedi sul ponte, né al rumore di stivali. Il vascello stesso causava rumori in abbondanza e qualcuno doveva stare sul ponte della nave per il viaggio a valle del fiume. Ma nell’udire il rumore di passi furtivi nel corridoio, verso la porta, Mat ricordò i ladroni e drizzò le orecchie.

Diede a Thom una gomitata nelle costole. «Sveglia» disse piano. «C’è qualcuno, qui fuori.» Già scendeva dal letto, augurandosi che il pavimento della cabina non scricchiolasse. Thom grugnì, schioccò le labbra e riprese a russare.

Non c’era tempo di pensare a Thom. I passi erano proprio lì fuori. Mat impugnò il bastone dalla punta ferrata, si piazzò davanti alla porta e attese.

La porta si aprì lentamente; due uomini avvolti nel mantello, uno dietro l’altro, si stagliarono debolmente nel chiaro di luna che proveniva dal boccaporto in cima alla scaletta da cui erano scesi. La fioca luce bastò a trarre uno scintillio dalla lama dei loro coltelli. I due ansimarono: evidentemente non si aspettavano di trovare qualcuno in attesa.

Mat vibrò di punta il bastone e colpì con forza il primo, proprio sotto il punto di congiunzione delle costole. Mentre colpiva, udì la voce del padre: «È un colpo mortale, Mat: non usarlo mai, se non in circostanze disperate.» Ma quei coltelli volevano la sua vita e nella cabina non c’era spazio per manovrare il bastone.

Mentre l’uomo emetteva un verso strozzato e si piegava per terra, cercando invano di prendere fiato, Mat avanzò e spinse il bastone verso la gola dell’altro, ottenendo uno scricchiolio rumoroso. L’uomo lasciò cadere il coltello, si portò alla gola le mani e cadde addosso al compagno: tutt’e due raschiarono con gli stivali l’assito, nelle convulsioni della morte.

Mat rimase a fissarli. Due, pensò. No, maledizione: tre! In vita sua non aveva mai fatto male a nessuno; ora aveva ucciso tre uomini in una sola notte. Luce santa!

Il silenzio riempiva il corridoio buio; sul ponte risuonarono tonfi di stivali. I marinai andavano tutti scalzi.

Cercando di non pensare a che cosa faceva, Mat tolse a un morto il mantello e se lo mise sulle spalle, per nascondere la biancheria chiara. Scalzo, percorse il corridoio, salì la scaletta e sporse appena gli occhi dal boccaporto.

Il chiaro di luna si rifletteva sulle vele tese, ma la notte copriva di tenebre il ponte e l’unico rumore era lo sciaguattio contro le fiancate. Pareva che sul ponte ci fosse soltanto l’uomo al timone, col cappuccio calato sugli occhi per il freddo. L’uomo si mosse, con fruscio di stivali di cuoio sull’assito.