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Tenendo basso il bastone, augurandosi che non si notasse, Mat salì ancora. «È morto» mormorò in un bisbiglio basso e duro.

«Spero che abbia strillato come un maiale, quando gli hai tagliato la gola» gli rispose una voce dalla forte cadenza, la stessa che Mat aveva udito all’imboccatura del vicolo, a Tar Valon. «Quel ragazzo ci causava un mucchio di fastidi. Un momento! E tu chi sei?»

Con tutta la sua forza, Mat vibrò il bastone, che si schiantò sulla testa dell’uomo, il cui cappuccio soffocò solo in parte un rumore simile a quello d’un melone che cada a terra.

L’uomo crollò di traverso sulla barra del timone, spingendola da parte; la nave sbandò. Barcollando, Mat scorse con la coda dell’occhio una sagoma emergere dall’ombra accanto alla murata e il luccichio d’una lama; capì che non avrebbe mai fatto in tempo a girare il bastone prima d’essere colpito. Un altro oggetto luccicante balenò a mezz’aria e con un tonfo sordo si conficcò nella sagoma. Lo sconosciuto cadde a gambe levate quasi ai piedi di Mat.

Da sotto il ponte provenne una confusione di voci e la nave sbandò ancora, per il peso del primo uomo contro la barra del timone.

In biancheria e mantello, Thom zoppicò fuori del boccaporto e alzò lo schermo della lanterna a occhio di bue. «Sei stato fortunato, ragazzo» disse. «Uno dei due là sotto aveva questa lanterna. Se fosse rimasta lì per terra, avrebbe dato fuoco alla nave.» La luce mostrò l’impugnatura del coltello conficcato nel petto di un uomo dallo sguardo vitreo. Mat non l’aveva mai visto: di sicuro avrebbe ricordato una persona con tutte quelle cicatrici sul viso. Thom allontanò con un calcio il pugnale fra le dita del morto, si chinò a ricuperare il proprio coltello e asciugò la lama sul mantello del cadavere. «Molto fortunato, ragazzo» disse ancora. «Davvero molto fortunato.»

Una gomena era legata alla battagliola di poppa. Thom si avvicinò, facendo luce, e Mat si unì a lui. All’altro capo della gomena c’era una scialuppa con la lanterna spenta. Altri due uomini erano a bordo, fra i remi sollevati.

«Il Sommo Signore mi prenda, è lui!» ansimò uno. L’altro si lanciò a prua per sciogliere il nodo della gomena.

«Vuoi uccidere anche questi due?» domandò Thom, con voce risonante, come quando teneva spettacolo.

«No, Thom» rispose piano Mat.

I due nella barca udirono di certo la domanda, ma non la risposta, perché abbandonarono il tentativo di slegare la gomena e si gettarono in acqua, con grandi schizzi, dibattendosi rumorosamente.

«Pazzi» mormorò Thom. «Dopo Tar Valon, il fiume si restringe un poco; ma qui sarà ancora largo più di mezzo miglio. Non ce la faranno mai, al buio.»

«Per la Pietra!» gridò qualcuno, dal boccaporto. «Cosa succede? Ci sono dei morti, nel corridoio! Cosa combina, Vasa, steso sulla barra? Ci farà incagliare in un banco!» Vestito solo delle mutande, Mallia corse al timone, gettò rudemente da parte il cadavere e tirò la lunga barra per rimettere la nave sulla rotta giusta. «Questo non è Vasa!» esclamò. «La Luce m’incenerisca, chi sono questi morti?» Adesso altri salivano sul ponte, marinai scalzi e passeggeri spaventati, avvolti in mantelli o coperte.

Nascondendo col proprio corpo il gesto, Thom passò il coltello sotto la gomena e la recise in un colpo solo. La scialuppa rimase indietro e scomparve nel buio. «Briganti del fiume, capitano» disse. «Il giovane Mat e io abbiamo salvato dai briganti la tua nave. Se non era per noi, forse avrebbero tagliato la gola a tutti. Dovresti ripensare alle tariffe del viaggio.»

«Briganti!» esclamò Mallia. «Ce ne sono in quantità più a valle, nel Cairhien, ma non sapevo che si aggirassero anche da queste parti!» I passeggeri rannicchiati cominciarono a borbottare di briganti e di gole tagliate.

Mat andò rigidamente al boccaporto. Dietro di lui, Mallia commentò: «Quello lì è di ghiaccio. Non sapevo che l’Andor impiegasse assassini, ma quello lì è davvero di ghiaccio.»

Mat scese la scaletta, scavalcò i due cadaveri nel corridoio e si chiuse rumorosamente alle spalle la porta della cabina. Arrivò quasi al letto, prima di mettersi a tremare, e allora poté solo lasciarsi cadere sulle ginocchia. Luce santa, quale gioco giocava? Doveva conoscere il gioco, se voleva vincere. Quale gioco?

Suonando piano sul flauto il motivetto “Rosa del mattino", Rand fissò il fuoco da campo, sul quale arrostiva un coniglio infilato in un rametto. Il vento notturno faceva guizzare le fiamme. Rand notò appena il profumo di coniglio arrosto e pensò di sfuggita che doveva rifornirsi di sale, nel primo villaggio. “Rosa del mattino” era uno dei brani che aveva suonato a quei matrimoni.

Quanti giorni prima? Se li era immaginati, tutti quei matrimoni? Possibile che ogni donna del villaggio avesse deciso di maritarsi nello stesso momento? Come si chiamava, il villaggio? O era lui che diventava pazzo?

Aveva il viso imperlato di sudore, ma continuò a suonare, così piano che la musica si udiva appena, e a fissare il fuoco. Moiraine gli aveva detto che lui era ta’veren. Tutti avevano detto che era ta’veren. Forse lo era davvero. I ta’veren cambiavano le cose intorno a loro. Forse era stato proprio lui a causare quei matrimoni. Ma non voleva soffermarsi troppo su questo pensiero.

Dicevano pure che lui era il Drago Rinato. Lo dicevano tutti. Vivi e morti. Ma non bastava dirlo, perché fosse vero. Doveva lasciare che lo proclamassero il Drago Rinato. Dovere. Non aveva scelta, ma neppure questo bastava, perché fosse vero.

Non riusciva a smettere di suonare sempre quell’unico motivetto. Gli ricordava Egwene. Un tempo pensava che avrebbe sposato Egwene. Molto tempo prima, gli pareva. Ora non lo pensava più. Egwene però gli era venuta in sogno. Forse era proprio lei. Il suo viso. Era il suo viso.

Solo, c’erano state troppe facce, tutte facce conosciute. Tam, sua madre, Mat, Perrin. E tutti avevano tentato di ucciderlo. Non erano realmente loro, certo. Solo la loro faccia, come maschera, su Progenie dell’Ombra. Ne era convinto. La Progenie dell’Ombra camminava anche nei sogni. Erano semplici sogni? Alcuni sogni erano reali, lo sapeva. Altri erano solo sogni, o incubi, o speranze. Ma come distinguerli? Una notte Min gli era comparsa in sogno... e aveva tentato di piantargli nella schiena un coltello. Era ancora sorpreso di quanto fosse rimasto addolorato. Era stato disattento, l’aveva lasciata avvicinare, aveva abbassato la guardia. Con Min non aveva mai provato il bisogno di stare in guardia, malgrado ciò che lei vedeva, quando lo guardava. La sua compagnia era come un balsamo che gli leniva le ferite.

E Min aveva tentato di ucciderlo! La musica si alzò in una stridula stonatura e Rand tornò ad abbassare il tono. Non lei. Una creatura dell’Ombra, con la faccia di Min. Fra tutti, proprio Min sarebbe stata l’ultima a tentare di nuocergli. Non capiva da dove gli derivasse questa convinzione, ma era sicuro che fosse la verità.

Quante facce, nei suoi sogni! Era venuta Selene, gelida e misteriosa e così bella che gli si seccava la bocca solo a pensarci; gli aveva offerto la gloria, come in precedenza, ma aveva detto che ora lui doveva prendere la spada. E con la spada sarebbe giunta lei. Callandor. Era sempre presente nei sogni. Sempre. E facce provocanti. Mani che spingevano in gabbie Egwene, Nynaeve, Elayne, che le imprigionavano in reti, che le ferivano. Perché lui piangeva più per Elayne che per le altre due?

La testa gli girava. Gli doleva, quanto il fianco. Il sudore gli colava sul viso, mentre nella notte lui sonava piano “Rosa del Mattino", con la paura di prendere sonno. Con la paura di sognare.

33

Nella trama

Senza smontare di sella, Perrin guardò, accigliato, la pietra piatta seminascosta dalle erbacce lungo la strada. Quella strada in terra battuta, chiamata Strada del Lugard, ora che si avvicinavano al fiume Manetherendrelle e alla frontiera lugardiana, in un lontano passato era selciata (così aveva detto Moiraine due giorni prima) e di tanto in tanto frammenti di selciato ancora affioravano in superficie. Quella pietra aveva un segno bizzarro.