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Era una bugia che si raccontava ogni giorno.

Aprì il frigorifero di bordo e pescò l’unica birra che vi aveva riposto prima di essere arrestato. Allora ignorava se o quando avesse avuto bisogno del motoscafo; sapeva solo che c’era quella possibilità.

La birra era calda, naturalmente, tutto il ghiaccio si era liquefatto. Ma aveva un gusto così buono. Si premette la lattina sulle guance e spinse fino in fondo la manetta di regolazione dei motori. I due Mercruiser si svegliarono immediatamente dalla monotonia della velocità di crociera e il motoscafo balzò in avanti a settanta miglia nautiche orarie, e poi ancor di più. Le colline che si elevavano dal lago artificiale gli sfrecciavano accanto; le migliaia di alberi che punteggiavano la loro superficie erano silenti sentinelle che salutavano il suo ultimo urrà. La carica di Eddie Lee Battle e della sua fida cavalleria leggera. Dio, era nel suo elemento.

«Ancora sulla breccia» urlò al vento nell’oscurità, rivolto al cielo lampeggiante mentre cominciava a piovere. Si leccò le gocce sulle labbra. «La maggior virtù di un uomo è il coraggio di uno contro tutti. Quando più sembrerà oscuro, più brillerà la luce, anche se solo per il pulsare di un cuore che batte nel petto» declamò, citando la prosa infiammata di qualche scrittore dell’epoca della guerra di Secessione, il quale probabilmente non aveva mai imbracciato un moschetto in tutta la sua vita. Come per un suo desiderio il cielo fu improvvisamente illuminato da uno squarcio di lampo da un miliardo di watt mentre si scatenava il temporale.

Il rombo dei due Mercruiser eguagliava Madre Natura decibel su decibel. La scia alle spalle del motoscafo era enorme, ma la corsa sulle onde era liscia, così dannatamente liscia, impennato com’era in planata. Quasi tre quarti dello scafo da dieci metri erano fuori dall’acqua, e solcava come una lama onde che ora sfioravano il metro. Era un maledetto jet. Nessuno poteva prenderlo.

Nessuno!

94

Michelle misurava a grandi passi la sua camera da letto a Casa Battle come una leonessa in gabbia in cerca di uno spiraglio possibile per riavere la libertà. King era andato a cena da Sylvia. Non sapeva perché le seccasse tanto. O forse lo sapeva. Non era stata invitata. E perché mai questo la sorprendeva?

Finalmente si decise a uscire dalla stanza, scese a due a due i gradini ed entrò in soggiorno. Era tutto il giorno che non vedeva Remmy. Dorothea probabilmente era a letto. Dormiva molto. Chi poteva biasimarla? Finanziariamente era rovinata, aveva problemi di tossicodipendenza, era ancora sospettata di aver ucciso Kyle Montgomery, e suo marito si era rivelato un assassino squilibrato ed era latitante. Fosse capitato a lei, probabilmente avrebbe dormito per il resto dei suoi giorni.

Si fermò quando vide Savannah che arrivava dal corridoio. La ragazza non si vestiva più come sua madre. Forse l’invincibile Remmy Battle aveva perso il suo mordente. Indossava un paio di jeans a vita bassa che lasciavano intravedere il bordo di un perizoma nero, una corta camicetta senza maniche ed era scalza, con le unghie dei piedi smaltate di rosso mela.

Alzò lo sguardo stupita quando vide Michelle in soggiorno, come se non ricordasse nemmeno che l’investigatrice alloggiava da loro da alcuni giorni.

«Come va, Savannah?»

La ragazza si rabbuiò in viso. «Oh, a meraviglia. Mio padre è morto, mia cognata è ridotta a un vegetale, mia madre è uno straccio, mio fratello un serial killer. E tu come stai?»

«Scusa, non era una frase felice.»

«Non fa niente. Non è stato facile neanche per te.»

«In confronto alla tua famiglia, penso che chiunque altro si ritenga fortunato.» Michelle si interruppe, domandandosi se fosse o meno il caso di tornare semplicemente in camera a tenere il broncio. «Avevo intenzione di farmi una tazza di caffè. Ti interessa?»

Savannah ebbe un attimo di esitazione prima di rispondere: «Certo. Tanto per quel che ho da fare…».

Poi le due donne si sedettero su un divano in soggiorno con le loro tazze di caffè.

Michelle guardò verso la finestra, dove la pioggia cominciava a picchiettare contro i vetri. «A quanto pare è in arrivo un tremendo temporale» osservò. «Spero che Sean ritorni presto.»

«È da Sylvia?»

«Sì. È andato solo a cena.»

«Voi due andate a letto insieme?»

Michelle trasalì alla domanda diretta. «Chi, io e Sylvia?» scherzò.

«Sai con chi intendo.»

«Niente affatto. Non che la cosa ti riguardi.»

«Se lavorassi con Sean ci andrei a letto.»

«Buon per te. Ma sarebbe estremamente controproducente per il nostro rapporto di lavoro.»

«Ti piace, vero?»

«Sì, e ho grande stima di lui. Sono contenta che siamo soci.»

«Tutto qui.»

«Perché ti interessa tanto?»

«Probabilmente perché penso che io non avrò mai niente di simile. Intendo dire, qualcuno nella mia vita.»

«Ma sei matta? Sei giovane, bella e ricca. Avrai un’ampia scelta di uomini e ti troverai di certo quello che ti piace. Il mondo va così.»

Savannah la fissò con occhio critico. «No, non lo farò.»

«E invece sì. Perché non dovresti?»

La ragazza cominciò a mordersi le unghie.

Michelle allungò la mano libera e allontanò dalla bocca la mano di Savannah. «I bambini si mangiano le unghie, Savannah. E visto che siamo in vena di domande franche, perché non ti fai cancellare il tatuaggio del tuo nome dal sedere? Potrebbe favorire le tue prospettive matrimoniali, se ne sei così preoccupata.»

«Non servirebbe a niente.»

Michelle le rivolse un’occhiata cauta. «Come mai tutto questo vittimismo?»

Savannah esplose all’improvviso. «E se fossi pazza come il resto della mia famiglia? Mio padre era un nevrotico totale. Mio fratello è un assassino. Adesso ho scoperto che l’altro mio fratello aveva la sifilide. Mia madre è un mostro persino con se stessa. E mia cognata è un relitto umano. È un morbo. Se si entra in contatto con i Battle si è condannati. Perciò che razza di possibilità ho nella vita? Non ne ho proprio nessuna. Nessuna!» Lasciò cadere sul pavimento la sua tazza di caffè, si raggomitolò sul divano e cominciò a piangere disperatamente.

Michelle restò a fissarla per un lungo momento, chiedendosi se avesse voluto farsi coinvolgere in quella situazione. Alla fine allungò le braccia e strinse forte a sé la ragazza, sussurrandole parole di conforto senza neppure sapere da dove provenissero. Mentre ì tuoni squarciavano il cielo, i gemiti e i singhiozzi di Savannah cominciarono a diminuire, ma la ragazza restò ancora aggrappata a Michelle come se fosse l’unica amica che avesse mai avuto, o che mai avrebbe avuto.

Invece l’unica cosa che Michelle desiderava era di scappare da quella casa il più in fretta possibile. Avrebbe perfino affrontato faccia a faccia il pluriomicida Eddie, purché l’incontro fosse avvenuto lontano da Casa Battle. Nondimeno restò ferma e abbracciò ancora più strettamente la ragazza, bisbigliandole parole di conforto. Michelle la tenne stretta a sé come se fosse sua sorella di sangue, ringraziando silenziosamente Dio che non lo fosse. Poiché chi mai poteva saperlo? Magari Savannah aveva ragione riguardo a tutto ciò che aveva appena detto. Forse i Battle erano maledetti.

95

«È stata una bellissima serata, Sean. Dico davvero.»

King e Sylvia erano rientrati in casa ed erano seduti nella piccola veranda adiacente alla cucina, a contemplare il maltempo in arrivo.

«Adoro guardare i temporali sul lago» disse Sylvia. «È persino più bello di giorno, quando li vedi arrivare sopra la cresta dei monti.»

Sylvia si accorse che King la stava fissando. «Cosa c’è?»

«Stavo solo pensando che c’è qualcosa di molto più incantevole di un temporale, ed è seduta proprio qui vicino a me.»