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— Ho idea che voi avete indovinato di cosa si tratta — disse Allsworth.

— Certo che lo so — rispose Lane irritato. — È l’unico motivo che vi ha spinto a venir fin qui a cercarmi. Voi volete che dia la caccia alla Bestia dei Sogni.

Allsworth annuì — Vi pagheremo qualsiasi somma, purché nei limiti del ragionevole, ovviamente.

— Non c’è niente di ragionevole in tutto questo. In primo luogo ci sono venti probabilità contro una che la Bestia sia solo un mito, una favola inventata da qualche spaziale impazzito per la noia, che ha cominciato a prendere per veri i suoi incubi. In secondo luogo, se realmente esiste, è l’unico essere vivente che vive nello spazio e si nutre di energia. E se voi conoscete il modo di ammazzare un essere che mangia energia, vi sarei davvero riconoscente se me lo diceste.

— Tutto quello che posso dirvi è quanto siamo disposti a pagarvi.

— Non mi interessa. È solo una favola inventata per spaventare i bambini. Anche il suo nome è pazzesco. Sentite, noi viviamo in un universo sessuato. Se esiste una Bestia dei Sogni, ne dovono esistere anche altre: un genitore, un figlio, un essere da cui ha avuto origine. E invece non esiste niente di questo genere.

— Ma qualcuno l’ha vista.

— Balle.

— Posso darvi le coordinate del posto dove la Bestia è stata avvistata non più tardi di cinque giorni fa — insisté Allsworth.

— No — lo corresse Lane — quelle che potete fornirmi sono le coordinate di qualche spaziale svitato che ha ancora più fantasia degli altri.

— Cosa ne direste di dieci milioni, in crediti o qualsiasi altra valuta che preferite?

— Un bel mucchio di grana — commentò Lane. — Perché non li offrite a qualcuno che si divertirebbe a passare il resto della vita a inseguire un sogno?

— Questa è la vostra risposta? — chiese Allsworth.

— Naturalmente.

— E se vi pagassi le spese mentre voi le date la caccia dopo avermi procurato gli altri animali?

— Neanche parlarne — rispose Lane alzandosi. — Vi avviserò appena avrò i Vermisciocchi per farvi sapere dove li ho lasciati. Suppongo che se lascerò un messaggio al Vainmill ve lo trasmetteranno.

— Non volete ripensarci? — insisté ancora Allsworth alzandosi a sua volta.

Lane scrollò la testa. — Provate a chiederlo a qualche cacciatore più ambizioso e meno intelligente di me. — Strinse la mano a Allsworth e uscì nella via polverosa. Soffiava il vento dall’ovest e durante il breve percorso fino al fabbricato che gli serviva da hangar e da ufficio, dovette calarsi la maschera sulla faccia per proteggere gli occhi dalla sabbia e dalla polvere.

Appena arrivato, aprì la porta e andò direttamente alla vecchia scrivania incassata in un angolo del locale. Il ripiano era coperto di scartoffie, in massima parte ordinazioni, alcune recenti, altre che risalivano fino a cinque o sei anni prima. Aggiunse al mucchio la richiesta di Allswort, poi accese la pipa e si accomodò in un seggiolone, circondato dai ricordi di venticinque anni di caccia a creature esotiche su mondi ancora più esotici.

Dopo aver sonnecchiato per qualche minuto si svegliò di colpo tossendo per il fumo. Spense la pipa, la ripulì e, dopo essersi versato un bicchierino di brandy Alphard, andò a sedersi alla scrivania con la penna in mano.

La Deathmaker era stata completamente smontata, i motori messi a punto, lo scafo riparato e rinforzato, la pila nucleare sostituita, ma prima di partire per la prossima spedizione avrebbe dovuto riequipaggiarla da cima a fondo. Diede un’occhiata a qualche ordinazione e cominciò a calcolare le cose di cui aveva bisogno: un cannone laser, due vibratori, un implosore molecolare (posto che riuscisse a trovarlo a Punto Nord), e poi le solite armi a mano: la vecchia pistola a laser, lo stridente a onde sonore, il narcotizzante.

Controllò sui manuali i vari sistemi adatti per l’imbalsamazione dei diversi animali che doveva uccidere, controllò se disponeva del materiale necessario, calcolò di quanti viveri e aria avesse bisogno e ne triplicò il risultato, quindi si segnò quali carte stellari doveva incorporare nel sistema cartografico tridimensionale della nave.

Fatto questo, esaminò i dati relativi ai pianeti su cui si sarebbe fermato durante il percorso — tre con atmosfera dotata di ossigeno, due con prevalenza di cloro, una di metano, due all’ammoniaca, e uno di cui si ignoravano le componenti, e calcolò la quantità e la resistenza delle tute e dei sistemi di protezione che gli occorrevano. Prese anche un appunto per ricordarsi di controllare la camera di decontaminazione e uno dei portelli stagni che non aveva funzionato alla perfezione verso la fine dell’ultima caccia.

Riesaminando a fondo le operazioni calcolò che disponeva di una capacità di carico per una caccia di cinque mesi, forse anche sei, se avesse incontrato difficoltà coi Gufidiavoli.

Passò poi all’equipaggio. Come conciapelle i migliori erano i Dabihs, per cui decise di ingaggiarne un paio. Pensò di prendere anche un essere che respirava cloro, ma decise che gli ci sarebbe voluto troppo tempo per andarlo a cercare su Asterion VIII, il mondo più vicino dove vivevano esseri intelligenti in grado di respirare un’atmosfera satura di eloro. E, come sempre, rinunciò all’idea di ingaggiarne uno che respirava metano, non solo perché erano rari, ma perché avevano la tendenza a frantumarsi come vetro se non erano completamente isolati dai rumori.

Restava Lord Gran Mufti, più mascotte che membro dell’equipaggio, più giullare di corte che navigatore spaziale, forse malato di mente, posto che ne avesse una, e sicuramente un grosso rischio durante le fasi di una caccia. Eppure lui si sarebbe sentito in certo qual modo incompleto senza il Mufti, così calcolò di quali viveri aveva bisogno — insetti vivi e rettili morti — e prese anche un appunto per ricordarsi di somministrargli un po’ di tranquillante prima della partenza.

Calcolò di partire dopo cinque giorni, così avrebbe avuto tutto il tempo di assumere l’equipaggio, equipaggiare la nave e godersi per un’ultima volta tutti i piaceri che offriva il Tchaka: gli alcolici e il resto…

2

I Vermisciocchi ridacchiarono, ciangottarono e squittirono per tutto il tragitto fino a Kakkab Kastu IV, il gigantesco centro dove si svolgeva la maggior parte dei commerci in quella sezione della galassia. I vermi, lunghi in media quattro metri e dotati di veleno paralizzante — tanto che Lane non riusciva a capire come mai non li avessero classificati come serpenti velenosi — davano l’impressione di non sapere quando erano morti. Se li colpiva col laser o con un gas tossico, si comportavano come qualsiasi altro animale defunto; ma se li si uccideva con un’arma ultrasonica, si risvegliavano nei loro organismi delle vibrazioni che li facevano ridacchiare per mesi e perfino per anni come matti, nonostante fossero morti a tutti gli effetti.

Da quel riso insensato derivava il nome di Vermisciocchi, e a causa di quel comportamento Lane fu ben lieto di liberarsene consegnandoli ai funzionali dello spazioporto con l’incarico di spedirli agli acquirenti. Poi uscì per andare a cena, lasciando il Mufti che chiacchierava tutto giulivo da solo sul soffitto della stanza d’albergo.

Lane rimase su quel pianeta per quattro giorni, il tempo necessario perché gli arrivasse il denaro dai clienti a cui aveva procurato i vermi, poi fece i preparativi per andare alla caccia dei Finti Tuffatori nel sistema Pinnipes. Aggiunse all’equipaggio un Fiutabranchie, perché i Finti Tuffatori vivevano per lo più sotto quella che su Pinnipes II passava per acqua, poiché ne avrebbe avuto bisogno per snidarli. I Fiutabranchie erano rari e costosi, perché non è facile trovare un animale capace di sopravvivere a un volo spaziale e fiutare una pista sott’acqua e altri liquidi, e come se questo non bastasse, addomesticarlo e istruirlo, ma Lane sapeva dove cercarlo e quanto sarebbe costato, così non ci mise molto a trovarne uno.