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«No.» Galeni si appoggiò con la schiena alla parete, un’espressione imperscrutabile sul volto. «Komarrani.»

«Ah.» Miles quasi soffocò. «Un intrigo komarrano. Molto… oscuro.»

«Troppo» rispose Galeni storcendo la bocca.

«Be’» proseguì Miles «fino ad ora non ci hanno ammazzato. Devono avere una ragione per tenerci in vita.»

«Assolutamente nessuna» rispose Galeni socchiudendo gli occhi e stirando le labbra in un sorriso torvo, che diede alle parole il tono di una risatina, subito interrotta. Doveva essere uno scherzo privato tra lui e la luce sul soffitto. «Lui immagina di avere delle ragioni» spiegò, «ma si sbaglia di grosso.» Anche il tono amaro di quella frase era diretto verso l’alto.

«Be’, non lo dica a loro» rispose Miles a denti stretti. «Avanti, Galeni, sputi il rospo. Cosa è successo il mattino che è scomparso dall’ambasciata?»

Galeni sospirò e cercò di ricomporsi. «Quella mattina ho ricevuto una telefonata, da una vecchia… conoscenza komarrana, che mi chiedeva di incontrarlo.»

«Non c’era nessuna registrazione di quella chiamata; Ivan ha controllato la sua consolle delle comunicazioni.»

«L’ho cancellata. È stato un errore, anche se in quel momento non me ne sono reso conto. Ma un accenno fatto da questa persona mi ha indotto a credere di avere un indizio sul mistero rappresentato dagli strani ordini arrivati per lei.»

«Quindi ero riuscito a convincerla che c’era qualcosa che non aveva senso in quegli ordini.»

«Oh, certo. Ma era chiaro che, se le cose stavano così, qualcuno doveva essere riuscito a penetrare la mia rete di sicurezza all’ambasciata, compromettendola dall’interno, probabilmente tramite il corriere. Ma non ho osato fare un’accusa del genere senza prima avere delle prove convincenti.»

«Già, il corriere» disse Miles. «Quella era la mia seconda possibilità.»

«E qual era la prima?» chiese Galeni sollevando un sopracciglio.

«Lei, purtroppo.»

Il sorriso acido di Galeni diceva tutto.

Miles scrollò le spalle, imbarazzato. «Ho pensato che si fosse intascato i miei diciotto milioni di marchi. Però, se fosse stato lei, perché non era scomparso? E a quel punto lei è scomparso davvero.»

«Oh.» Fu la volta di Galeni a limitarsi a quel commento.

«E così tutto quadrava» spiegò Miles. «L’ho classificata come un ladro, un disertore, un concussore e un maledetto komarrano figlio di puttana.»

«E che cosa l’ha trattenuta dal formalizzare l’accusa?»

«Niente, sfortunatamente» rispose Miles, schiarendosi la voce. «Mi spiace.»

Il volto di Galeni assunse una colorazione verdastra e il suo scoramento fu tale che non riuscì neppure a lanciargli un’occhiataccia, anche se ci provò.

«Ha perfettamente ragione» disse Miles. «Se non riusciamo ad uscire di qui, il suo nome verrà trascinato nel fango.»

«Tutto per niente…» Galeni appoggiò la testa alla parete, come per sostenersi, e chiuse gli occhi.

Miles rifletté sulle probabili ripercussioni politiche create dalla simultanea scomparsa sua e di Galeni senza lasciare tracce. Gli inquirenti avrebbero trovato ancor più eccitante la sua teoria dell’appropriazione indebita, a cui si aggiungeva ora anche rapimento, assassinio, fuga con un’amante e Dio solo sapeva che altro. Quello scandalo avrebbe scosso dalle fondamenta il processo di integrazione komarrana, anzi avrebbe potuto vanificarlo completamente. Miles guardò l’uomo sul quale suo padre aveva scelto di rischiare. Una sorta di redenzione…

Poteva bastare solo quella ragione alla resistenza komarrana per ucciderli entrambi. Ma l’esistenza del sosia di Miles indicava che dal punto di vista komarrano, l’accusa ingiuriosa sul conto di Galeni, fornita da Miles, non era altro che una felice coincidenza. Chissà se si sarebbero dimostrati abbastanza riconoscenti.

«Così è uscito per incontrare quell’uomo» riprese Miles. «Senza portarsi dietro un cercapersone e neppure una scorta.»

«Sì.»

«E si è fatto immediatamente rapire. E poi ha avuto il coraggio di criticare i miei metodi di sicurezza!»

«Esatto.» Galeni spalancò gli occhi. «Cioè, no. Prima siamo andati a pranzo.»

«È andato a pranzo con questo tizio? Ma, oh… era carina?» In quel momento a Miles venne in mente il pronome che Galeni aveva usato indirizzando i suoi commenti alla lampada. No, non era una lei.

«Tutt’altro. Ma ha cercato di corrompermi.»

«E c’è riuscito?»

All’occhiata feroce di Galeni, Miles si affrettò a spiegare: «Vede, tutta questa conversazione potrebbe essere una commedia a mio beneficio.»

Galeni fece una smorfia, a metà tra l’irritazione e l’assenso. Originali e contraffazioni, menzogne e verità, come si poteva metterle alla prova, lì?

«Gli ho detto di andare al diavolo.» Galeni lo disse a voce alta, per essere sicuro che la lampada sentisse. «Avrei dovuto capire, durante la nostra conversazione, che ormai mi aveva detto troppo su tutta la faccenda per potermi lasciare andare. Ma ci scambiammo delle garanzie, io gli ho voltato le spalle… ho lasciato che il sentimento offuscasse la ragione. E così sono finito qui.» Gettò un’occhiata alla piccola cella. «Ancora per poco, fino a quando non gli sarà passata l’ondata di sentimentalismo, che gli passerà di sicuro.» E gettò un’occhiata di sfida alla lampada.

Miles trasse un respiro, che gli gelò i denti. «Doveva essere una vecchia conoscenza molto, molto stimolante.»

«Oh, sì.» Galeni chiuse di nuovo gli occhi, come se stesse contemplando l’idea di sfuggire a Miles e a tutta quell’intricata faccenda, rifugiandosi nel sonno.

I suoi movimenti rigidi, esitanti, facevano pensare che fosse stato torturato. «L’hanno incitata a cambiare idea… o l’hanno interrogata alla vecchia maniera?»

Le palpebre di Galeni si alzarono di un millimetro e lui si toccò la macchia rossa sotto l’occhio sinistro. «No, hanno il penta-rapido per gli interrogatori, non hanno bisogno di ricorrere alla violenza. Me l’hanno fatto prendere tre o quattro volte. A questo punto sono molto poche le cose che non sanno della Sicurezza dell’ambasciata.»

«E quelle contusioni, allora?»

«Ho cercato di reagire… ieri, immagino. I tre che mi hanno immobilizzato sono conciati molto peggio, glielo garantisco. Probabilmente sperano ancora che cambi idea.»

«Ma non poteva fingere di collaborare almeno quanto bastava per evitare il penta-rapido?» chiese Miles esasperato.

Galeni spalancò gli occhi, di colpo. «Mai» sibilò. Ma quell’impeto di rabbia svanì in un sospiro stanco. «Sì, credo che avrei dovuto farlo. Adesso è troppo tardi.»

Gli avevano per caso mandato in tilt il cervello con quelle droghe? Se un tipo freddo come Galeni aveva permesso che le emozioni offuscassero fino a questo punto la ragione… be’, doveva essersi trattato di un’emozione a dir poco sconvolgente. E di fronte all’emotività profonda e nascosta, il QG non poteva fare proprio nulla.

«Immagino che non la berrebbero, se mi offrissi di collaborare» disse cupo Miles.

«Proprio no» rispose Galeni, nel suo vecchio tono strascicato.

Qualche minuto dopo, Miles commentò: «Non può essere un clone, sa.»

«E perché no?»

«Qualunque clone cresciuto dalle cellule del mio corpo, dovrebbe assomigliare… be’, ad Ivan, direi, un metro e ottanta di altezza, o giù di lì e non… storpio e con questa faccia, con ossa resistenti, non questi gessetti friabili. A meno che» Orrendo pensiero! «i medici non mi abbiano sempre mentito a proposito dei miei geni.»

«Devono averlo storpiato, per assomigliarle» disse Galeni, riflettendo, «chimicamente, chirurgicamente o in entrambi i modi. E usare un processo simile su un suo clone, non dovrebbe essere più difficile che su qualunque altro costrutto. Anzi, forse sarebbe più facile.»

«Ma quello che è successo a me è stato un incidente così casuale… persino i tentativi di riparazione erano sperimentali… nemmeno i miei dottori sapevano cosa sarebbe venuto fuori finché non l’hanno visto.»