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«Alcuni però sono i rifugiati furbi, quelli che hanno portato fuori il loro denaro prima del tracollo; sono sospettati di essere coinvolti nel finanziamento della Rivolta durante la Reggenza… adesso però sono parecchio più poveri, quasi tutti. E stanno invecchiando. Un’altra mezza generazione, se la politica di integrazione di tuo padre avrà successo e avranno perso del tutto il loro peso, dice il capitano Galeni.»

Ivan prese un altro dischetto. «E adesso arriviamo alle vere patate bollenti, che consistono nel tenersi aggiornati su quello che fanno le altre ambasciate, come quella dei cetagandani.»

«Spero che si trovi dall’altra parte del pianeta» esclamò Miles con fervore.

«Niente affatto: la maggior parte delle ambasciate e dei consolati galattici sono concentrati qui a Londra, il che rende molto più comoda e conveniente la sorveglianza tra di loro.»

«Oh Dio» gemette Miles, «non dirmi che sono dall’altra parte della strada o qualcosa del genere.»

«Quasi» rispose Ivan con un sorrisetto. «L’ambasciata cetagandana si trova a circa due chilometri da qui. Noi andiamo spesso ai loro party e loro vengono ai nostri, per fare pratica di falsità e giocare il giochino "io-so-che-tu-sai-che-io-so".»

Un tantino affannato, Miles si sedette. «Oh merda!»

«Che ti prende, amico?»

«Quella gente sta cercando di uccidermi.»

«Ma figuriamoci, così scoppierebbe una guerra e adesso siamo in pace… più o meno, lo hai dimenticato?»

«Be’, comunque stanno cercando di uccidere l’ammiraglio Naismith.»

«Che è scomparso ieri.»

«Già, ma una delle ragioni per cui tutto questo imbroglio dei dendarii ha retto per tanto tempo è la distanza: l’ammiraglio Naismith e il tenente Vorkosigan compaiono sempre a non meno di cento anni luce l’uno dall’altro. Non siamo mai rimasti intrappolati sullo stesso pianeta insieme e di certo mai nella stessa città.»

«Ma finché lasci la tua uniforme dendarii nel mio armadio, chi può collegarvi?»

«Ivan, quanti gobbi alti un metro e cinquanta, con i capelli neri e gli occhi grigi ci possono essere su questo maledetto pianeta? Credi forse che si possa inciampare in un nano storpio ad ogni angolo?»

«Su un pianeta di nove miliardi di persone» replicò Ivan, «ci deve essere almeno sei di ogni cosa. Calmati!» Si interruppe. «Sai, è la prima volta che ti sento usare quella parola.»

«Quale parola?»

«Gobbo. E non lo sei affatto, lo sai» terminò gettandogli un’occhiata affettuosa e preoccupata.

Miles strinse i pugni e poi li riaprì con un gesto brusco. «Torniamo ai cetagandani. Se hanno anche loro un tuo omologo che fa la stessa cosa…»

«L’ho conosciuto» ammise Ivan. «Si chiama ghemtenente Tabor.»

«Allora sapranno che i dendarii sono qui e sapranno anche che l’ammiraglio Naismith è stato visto. Probabilmente avranno l’elenco di tutti gli ordini che abbiamo fatto attraverso la rete di comunicazione, o lo avranno quanto prima, quando penseranno di verificare. Controllano i nostri movimenti.»

«Può anche darsi che li stiano controllando» ribatté Ivan in tono ragionevole, «ma non possono ricevere ordini superiori più in fretta di quanto possiamo riceverli noi. E poi sono a corto di personale. Il nostro personale di sicurezza è quattro volte il loro, per via dei komarrani. Voglio dire, saremo anche sulla Terra, ma si tratta sempre di un’ambasciata secondaria, e questo vale molto più per loro che per noi. Non temere» esclamò raddrizzando la schiena e mettendo un braccio di traverso sul petto, «il cugino Ivan ti proteggerà.»

«Com’è rassicurante» mormorò Miles.

Ivan fece una smorfia a quel commento sarcastico e si rimise al lavoro.

La giornata si trascinò lentissima in quella stanza silenziosa dove non accadeva mai nulla e Miles scoprì che la sua claustrofobia poteva raggiungere picchi impensati. Prese lezioni da Ivan e negli intervalli misurò il pavimento da parete a parete.

«Potresti metterci la metà del tempo» fece notare al cugino.

«Ma allora avrei finito subito dopo pranzo» ribatté questi, «e a quel punto non avrei proprio più niente da fare.»

«Sono sicuro che Galeni riuscirebbe a trovare qualcosa.»

«È proprio quello che temo» rispose Ivan. «Tra poco finisce l’orario e poi andremo a un party.»

«No, poi tu vai al party; io me ne vado nella mia stanza, secondo gli ordini. E forse potrò finalmente recuperare il sonno arretrato.»

«È così che si fa, bisogna tenersi su il morale» disse Ivan. «Se vuoi, possiamo allenarci insieme nella palestra dell’ambasciata. Non hai per niente un bell’aspetto, sai? Sei pallido e… pallido.»

E vecchio, pensò Miles, è quella la parola che non hai voluto dire. Guardò il riflesso distorto del suo viso su una piastra cromata della consolle: Proprio malconcio, eh?

«Un po’ di esercizio ti farà bene» proseguì Ivan battendosi una mano sul petto.

«Non ne dubito» mormorò Miles.

Presto le giornate assunsero un ritmo costante e ordinato. Miles e Ivan dividevano la stanza e tutte le mattine si svegliavano, facevano un po’ di ginnastica in palestra, poi una doccia, la colazione e infine si recavano al lavoro nella stanzetta di raccolta dati. Miles arrivò al punto di chiedersi se gli sarebbe mai stato permesso di rivedere il meraviglioso sole della Terra. Dopo tre giorni, sostituì Ivan nel compito dell’inserimento dei dati, terminandolo per l’ora di pranzo, e riuscendo così a ricavarsi qualche ora per leggere e studiare. Divorò le informazioni sull’ambasciata e le procedure di sicurezza, sulla storia della Terra, e sulle notizie della galassia. Nel tardo pomeriggio si sottoponeva ad un’altra sessione di esercizi in palestra con il cugino e le sere in cui questi non usciva, vedevano insieme i video-drammi. Quando invece Ivan aveva qualche impegno Miles divorava le guide turistiche di tutti quei luoghi interessanti che non gli era concesso di visitare.

Tutti i giorni, utilizzando il comunicatore schermato, Elli gli faceva un rapporto sullo stato della flotta Dendarii ancora in orbita e Miles ritirandosi in disparte ad ascoltare si scoprì ogni volta più desideroso di ascoltare quella voce dall’esterno. I rapporti erano molto stringati e subito dopo si mettevano a parlare di piccole sciocchezze. Per Miles era sempre più difficile troncare la comunicazione ed Elli non era mai la prima a farlo. Si ritrovò a fantasticare sulla possibilità di corteggiarla nella sua vera identità: ma chissà se un comandante avrebbe accettato un appuntamento da un misero tenente? E poi, le sarebbe piaciuto Lord Vorkosigan? E ancora: Galeni gli avrebbe mai dato il permesso di lasciare l’ambasciata per scoprirlo?

Dieci giorni di vita regolare, esercizi ginnici e sonno gli avevano fatto male, decise Miles: il suo livello di energia era al massimo: al massimo, ma immobilizzato e imbottigliato nella parte di Lord Vorkosigan, mentre l’elenco di incombenze dell’ammiraglio Naismith aumentava, aumentava, aumentava…

«La smetti di agitarti, Miles?» si lamentò Ivan. «Siediti, prendi un gran respiro, trattienilo per cinque minuti. Puoi riuscirci, se ci provi.»

Miles fece un altro giro della stanza del computer e poi si lasciò cadere su di una seggiola. «Perché Galeni non mi ha ancora mandato a chiamare? Il corriere del QG di Settore è arrivato un’ora fa!»

«Ma dai a quell’uomo il tempo di andare al bagno e di bersi una tazza di caffè. Dai a Galeni il tempo di leggere i suoi rapporti. Siamo in tempo di pace, tutti hanno tempo da sprecare a scrivere rapporti e sarebbero molto seccati se nessuno li leggesse.»

«Questo è il guaio di voi truppe appoggiate dal governo» disse Miles, «siete viziati. Venite pagati per non fare la guerra.»

«Non c’era una volta una flotta mercenaria che faceva proprio questo? Appariva nell’orbita di un pianeta e si faceva pagare… per non fare la guerra. Funzionava, no? Semplicemente, tu non sei un comandante mercenario abbastanza creativo, Miles.»

«Già, era la Flotta LaVarr. Le cose hanno funzionato alla perfezione fino a quando la marina di Tau Ceti non li ha sorpresi e allora LaVarr venne mandato nella camera di disintegrazione.»