Gli occhi di Lucy si erano abituati alla luce magica e poteva distinguere chiaramente gli alberi più vicini. Una grande nostalgia dei giorni passati le riempì il cuore e con la mente tornò ai bei tempi in cui gli alberi parlavano. Ricordava perfettamente il modo di esprimersi di ognuno e la forma quasi umana che potevano assumere. Se solo fosse riuscita a svegliarli…
Si fermò sotto un’argentea betulla. Un tempo la voce dell’albero era stata dolce e delicata, e le sembianze ricordavano quelle di una ragazza alta e slanciata, con lunghi capelli che le incorniciavano il viso e innamorata della danza. Poi lo sguardo di Lucy si posò su una quercia: una volta era stata un vecchio con il volto buono e sincero, solcato di rughe e ornato da una bella barba ricciuta; la faccia e le mani erano coperte di protuberanze nodose, e sulle protuberanze crescevano peli. Lucy guardò di nuovo la betulla. Che magnificenza! Si trasformava in una dea bellissima, elegante e delicata signora dei boschi.
— Alberi, voi alberi… — invocò Lucy (che fino a un momento prima non aveva avuto alcuna intenzione di parlare). — Svegliatevi, svegliatevi! Non mi riconoscete? Che mi dite dei tempi passati? Oh driadi, e voi amadriadi, uscite, venite da me.
Anche se non tirava un alito di vento, le foglie degli alberi vibrarono e i fruscii sembrarono parole. L’usignolo smise di cinguettare, come se volesse ascoltare. Pareva che Lucy dovesse capire da un momento all’altro quello che gli alberi cercavano di dirle, ma il momento non venne e gli alberi tacquero. Fu allora che l’usignolo riprese a cantare e la foresta immersa nella luce lunare tornò quella di sempre. Lucy sentiva di aver tralasciato qualcosa d’importante, come quando vuoi ricordare un nome o una data, ce l’hai sulla punta della lingua e sul più bello scompare. Era come se si fosse rivolta agli alberi un secondo troppo presto o troppo tardi; come se avesse usato tutte le parole adatte tranne una, e avesse pronunciato la parola sbagliata. Improvvisamente avvertì una grande stanchezza. Tornò al bivacco, si stese accanto a Susan e a Peter e in pochi minuti si addormentò.
Al mattino il risveglio fu gelido e poco accogliente. Una luce grigiastra permeava la foresta (il sole non si era ancora alzato) e tutto intorno era bagnaticcio e pieno di fango.
— A me le mele! — disse Briscola, con un sorriso quasi patetico. — Bisogna ammettere che re e regine di una volta sono abbastanza avari, nell’offrire cibo ai cortigiani.
Si alzarono, si stiracchiarono e diedero un’occhiata intorno. Il bosco era fitto e lo sguardo non poteva spingersi lontano in nessuna direzione.
— Vostra Maestà conosce la strada, vero? — chiese il nano.
— Veramente no — fece Peter. — Non ho mai visitato queste foreste prima d’ora. Pensavo che dovessimo camminare lungo il fiume.
— Be’, potevi dirlo un po’ prima — rimarcò Edmund. — Non farci caso, P.C.A., lui fa sempre così: cade dalle nuvole. Peter, hai con te la bussola tascabile, vero? Perfetto, siamo a cavallo. Non dobbiamo far altro che andare a nord-ovest, attraversare quel piccolo ruscello, il… come lo chiami? Il Rapido?
— Sì, ho capito — disse Peter. — Quello che confluisce nel Grande Fiume al guado di Beruna, o al ponte di Beruna secondo il P.C.A.
— Esatto. Lo attraversiamo e ci arrampichiamo sulla collina. Raggiungeremo la Tavola di Pietra… la Casa di Aslan, volevo dire… alle otto o alle nove al più tardi. A questo punto non ci resta che sperare che re Caspian ci offra una bella colazione.
— Mmm, spero che tu abbia ragione. Io non ricordo nulla — si lamentò Susan.
— Ecco il peggior difetto delle ragazze — rimarcò Edmund a uso e consumo di Peter e del nano. — Non riescono a ficcarsi in testa una mappa o una bella cartina.
— Perché le nostre teste sono troppo piene, caro Edmund — rispose Lucy per le rime.
Per un po’ tutto sembrò procedere per il meglio. A un certo punto ebbero l’impressione di percorrere un sentiero già battuto, ma se qualcuno di voi si intende di foreste, saprà che i viandanti trovano spesso sentieri immaginari: quei viottoli, in effetti, scompaiono dopo pochi minuti, e quando si pensa di averne trovato un altro (sperando sempre che sia il precedente), anche quello svanisce nel nulla. Dopo aver concluso di essersi definitivamente perduti, ben presto ci si rende conto che erano sentieri immaginari. Per fortuna i ragazzi e il nano erano abituati alla foresta e solo per pochi secondi si lasciarono ingannare dai falsi sentieri. Procedettero lentamente per circa una buona mezz’ora (tre di loro, quelli che il giorno prima avevano remato, con una certa difficoltà) e infine Briscola dichiarò con un filo di voce: — Alt!
Si fermarono tutti.
— Qualcuno ci segue — proseguì il nano in un sussurro. — Anzi, sembra che proceda di pari passo con noi. Guardate laggiù a sinistra. — Rimasero immobili ad ascoltare e a scrutare l’intrico, fin quando gli occhi cominciarono a far male. — Mmm, meglio caricare l’arco — propose Susan a Briscola. Il nano annuì e quando gli archi furono pronti, la compagnia si mise di nuovo in marcia.
Per alcune decine di metri procedettero sul terreno all’aperto, cercando di tenere gli occhi spalancati. Arrivarono in un punto dove il sottobosco era quasi impenetrabile e dovettero passare vicino all’intrico. Lo avevano quasi superato, quando apparve qualcosa che ringhiava e mandava lampi: era emerso fra i ramoscelli spezzati e pareva un fulmine. Lucy cadde a terra e per un attimo rimase senza fiato. Mentre cadeva sentì il sibilo di una freccia. Quando tornò in sé vide un orso grigio, enorme e dall’aspetto feroce, che giaceva esanime, trafitto da una freccia di Briscola.
— In questo match il P.C.A. ti ha sconfitto, Susan. — Peter fece un sorriso forzato. Anche lui era rimasto profondamente scosso dall’accaduto.
— Io… sono stata colta alla sprovvista — balbettò Susan, imbarazzata. — Temevo si trattasse di uno di quegli orsi che… insomma, un orso parlante. — Bisogna sapere che Susan detestava uccidere.
— Ecco, questo è il grande problema — disse Briscola. — La maggior parte degli animali ci è nemica ed è muta. Ma ci sono ancora alcuni animali parlanti. Non potevate saperlo, e d’altra parte non potevate certo aspettare di capire che tipo di animale fosse questo.
— Povero orso, credi che parlasse? — chiese Susan.
— No — rispose il nano. — Sono riuscito a scorgere il suo muso, e poi ho sentito il ringhio. Voleva solo papparsi una ragazzina a colazione, ecco tutto. E a proposito di colazione… Voi sperate che re Caspian ci offrirà qualcosa di buono da mettere sotto i denti e non vorrei deludere le vostre aspettative, ma all’accampamento la carne scarseggia. Guardate quest’orso: possiamo mangiare tutta la carne che vogliamo. Sarebbe un vero peccato abbandonarne la carcassa senza prenderne un po’, e vi assicuro che l’operazione non ci ruberà più di mezz’ora. Voi due, i più giovani… ehm, Vostre Maestà, voglio dire… Insomma, sapete come si scuoia un orso?
— Vieni, Lucy, andiamo a sederci più in là — la invitò Susan. — Stanno per fare qualcosa di orribile.
Lucy scosse le spalle e annuì. Quando si furono sistemate, disse: — Susan, mi è venuta un’idea assurda.
— Di che si tratta?
— Non sarebbe terribile se un giorno, nel nostro mondo, gli uomini inferocissero dentro, pur mantenendo un aspetto umano? Un po’ come avviene per gli animali di qui, al punto da non poter riconoscere chi è feroce?
— Lucy, abbiamo già un bel daffare qui a Narnia. Non mettertici anche tu, adesso — la redarguì Susan, decisamente più pratica.
Raggiunsero il nano e i ragazzi, che nel frattempo avevano tagliato più carne che potevano dalle parti migliori dell’animale ucciso. Certo non è divertente riempirsi le tasche di carne cruda, ma cercarono di fare del loro meglio, avvolgendo la carne nelle foglie fresche. Per esperienza, infatti, sapevano che ben presto avrebbero cambiato idea su quell’orribile pacchetto molliccio, e che dopo aver camminato un po’ sarebbero stati assaliti dalla fame.