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— Credo che il P.C.A. abbia ragione — sospirò Edmund, che, da quando le cose avevano cominciato ad andare nella maniera sbagliata, aveva dimenticato questo piccolo particolare.

— Inoltre — proseguì Briscola — se avessimo seguito la via che avevo indicato io, saremmo finiti dritti tra le braccia del nemico. Nella migliore delle ipotesi, avremmo dovuto trovare il modo di evitare l’avamposto. Secondo me, non potevamo seguire altra via.

— Dunque non tutto il male viene per nuocere — sospirò Susan.

— Che male, però! — osservò Edmund.

— Adesso non ci rimane che risalire il pendio — propose Lucy.

— Sei davvero fantastica — le disse Peter. — Hai sprecato l’unica, grande occasione della giornata per dire: ve l’avevo detto! Avanti, ragazzi, in marcia.

— Non appena saremo nella foresta — proseguì Briscola — accenderò un bel fuoco e preparerò la cena, checché ne diciate. Ma dobbiamo andarcene da qui.

Inutile descrivervi il cammino faticoso che dovettero affrontare per risalire la gola. Si trattò di un’impresa quasi disperata, ma il morale delle truppe, per così dire, era alto. Percorrevano quella strada per la seconda volta e la parola "cena" aveva avuto un magnifico effetto.

Ben presto arrivarono in prossimità dell’abetaia che la volta precedente aveva procurato non poche difficoltà. Era ancora giorno, e decisero di bivaccare in una sorta di grotta al limitare del boschetto. Certo era faticoso raccogliere la legna da ardere, ma fu fantastico quando il fuoco cominciò a scoppiettare ed essi tirarono fuori i pacchetti unti e bisunti con la carne dell’orso (cosa che farebbe inorridire chi se ne è stato per tutto il giorno al calduccio, fra le pareti domestiche).

Bisogna riconoscere che il nano era davvero un gran cuoco. Le mele rimaste furono sbucciate e avvolte nelle braciole d’orso, come se invece di essere in crosta, vale a dire avvolte nella pasta, fossero in carne; l’unica differenza era che l’involucro aveva uno spessore maggiore. Il tutto fu infilzato su un bel bastone appuntito e messo al fuoco.

Dopo un po’ il succo delle mele cominciò a bagnare la carne, come nella ricetta del maiale arrosto. Gli orsi che hanno vissuto cibandosi a lungo di altri animali non hanno una carne eccezionale, ma quelli che si sono nutriti quasi esclusivamente di miele e frutta fresca hanno una carne squisita, e l’esemplare che avevano ucciso apparteneva alla seconda categoria.

Fu una cena fantastica: alla qualità del cibo si aggiungeva il fatto che in questo caso non si dovevano lavare i piatti. C’era soltanto da sdraiarsi, imbambolarsi davanti al fumo che usciva dalla pipa di Briscola, stendere le gambe e mettersi a chiacchierare amabilmente. Adesso tutti si sentivano più tranquilli, certi che l’indomani avrebbero trovato Caspian e sconfitto Miraz in pochi giorni. In una situazione disperata non aveva troppo senso sentirsi tranquilli, ma lo erano e caddero addormentati uno dopo l’altro.

Poco dopo Lucy sì svegliò dal sonno più profondo che possiate immaginare, con la sensazione che la voce che amava di più al mondo la stesse chiamando. All’inizio pensò che fosse la voce di suo padre, poi capì che non si trattava di lui.

Le parve di riconoscere la voce di Peter, ma si convinse di essersi sbagliata di nuovo. Non voleva saperne di alzarsi, e non perché fosse ancora stanca: anzi, si sentiva in splendida forma, riposata e non le dolevano più le ossa; ma quella sorta di dormiveglia le piaceva davvero, la rendeva felice. Dal suo giaciglio vedeva la Luna di Narnia, più grande della nostra, e il cielo stellato.

— Lucy, Lucy — chiamò ancora la voce. E non era quella di suo padre e neppure di Peter.

Lucy si alzò, eccitatissima, senza aver paura. La luce della luna era così forte che la foresta pareva illuminata a giorno, anche se aveva un aspetto più selvaggio e intricato. Dietro di lei c’era l’abetaia e più avanti, sulla destra, Lucy individuò le cime dei dirupi sul lato più distante della gola. Davanti a lei, un prato conduceva a una macchia d’alberi. Lucy guardò attentamente in quella direzione e non tolse gli occhi dalla radura.

— Si muovono, ne sono sicura — mormorò.

Si alzò, con il cuore che batteva all’impazzata, e andò verso gli alberi. Dal boschetto proveniva un certo rumore, non poteva sbagliarsi: era come il vento che agita le foglie, anche se quella notte l’aria era immobile. Lucy si accorse che era una melodia, ma non riuscì a coglierne il ritmo: del resto, la notte prima non aveva capito le parole degli alberi che le avevano parlato. Nella melodia c’era un motivo, di questo era sicura, e mentre si avvicinava al boschetto le venne voglia di ballare. Gli alberi si muovevano, non poteva sbagliare. Ondeggiavano l’uno contro l’altro, come in una complicatissima danza popolare. "Secondo me" pensò Lucy "è una vera danza di campagna." Ecco, adesso li aveva quasi di fronte.

Il primo in cui si imbatté non sembrava un vero albero, ma un omone grande e grosso con barba intricatissima e grandi ciocche di capelli. Lucy non ebbe paura perché aveva già visto qualcosa del genere, ma quando guardò meglio si accorse che era veramente un albero in movimento. Non era possibile stabilire se avesse piedi o radici, perché gli alberi non camminano sul terreno ma ondeggiano come facciamo noi nell’acqua, e lo stesso valeva per gli altri che Lucy incontrò a mano a mano. In un primo momento apparivano con le sembianze amichevoli di splendidi giganti, le stesse che assumevano per magia appena animati; in un secondo tempo riprendevano l’aspetto di piante. In questo modo, da alberi conservavano un’impronta umana e quando si atteggiavano a uomini sfoggiavano un che di frondoso e rameggiante, accompagnati da un allegro fruscio.

— Non sono ancora svegli ma manca poco — concluse Lucy. Invece lei era sveglia, anzi sveglissima.

Cominciò a camminare fra gli alberi senza provare alcun timore, accennando qualche passo di danza e saltando di qua e di là per evitare di sbattere contro i suoi enormi cavalieri. Lucy voleva attraversare il magico boschetto e superarlo, perché la voce carissima che l’aveva chiamata veniva da lì.

Passò attraverso gli alberi, chiedendosi se fosse meglio usare le braccia per farsi largo tra i rami o stringer loro le "mani" in una grande catena, visto che gli enormi ballerini si chinavano a sfiorarla. Finalmente Lucy si trovò di fronte a una distesa di erbetta, come quella di un prato, e gli alberi danzavano intorno. Poi… gioia infinita! Lui era lì. Il leone immenso e possente che brillava alla luce della luna, stampando un’ombra enorme sul terreno.

Dal movimento della coda sembrava un leone di pietra, ma Lucy non pensò neppure un attimo a questa possibilità, come non perse tempo a chiedersi se fosse un amico o no: corse verso di lui perché non poteva farne a meno, se avesse aspettato un minuto di più le sarebbe scoppiato il cuore. Lo baciò e lo abbracciò più stretto che poté, affondando la faccia nella criniera meravigliosa che pareva di seta.

— Aslan, Aslan! Caro, caro Aslan — sospirò Lucy. — Finalmente!

La bestia enorme si distese su un fianco e Lucy si lasciò cadere con lui, metà seduta e metà sdraiata fra le zampe anteriori. Lui si chinò e le sfiorò il naso con la lingua. Inondata dal caldo respiro, Lucy lo guardò dritto in faccia.

— Benvenuta, ragazza mia — disse Aslan.

— Oh, Aslan, sei diventato ancora più grosso.

— Perché tu sei cresciuta, piccola mia — rispose.

— Non perché sei diventato più vecchio?

— Non è così. Ogni anno che passa e diventi più grande, io ti sembrerò più grosso.

Lucy era così felice che non le importava di parlare. Ma stavolta fu Aslan a prendere la parola.

— Lucy, non possiamo rimanere qui. Tu hai una missione da compiere e oggi è stato sprecato molto tempo.