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Improvvisamente Aslan gli piombò addosso. Avete mai visto una gatta che porta a spasso il gattino tenendolo in bocca? La scena fu più o meno questa. Il nano, che ormai somigliava a una specie di palla informe, pendeva dalla bocca di Aslan. Il leone gli diede uno strattone e l’armatura tintinnò come l’armamentario di uno stagnino. Poi Aslan lo lanciò in aria, ma il povero nano non si fece nulla, come se fosse ricaduto su un letto. A lui, naturalmente, non sembrò così e quando tornò giù fu accolto dalla zampona vellutata di Aslan, che lo afferrò al volo con gran delicatezza, proprio come farebbe una mamma; poi lo depositò, in piedi, sul manto erboso.

— Figlio della terra, vuoi essermi amico? — chiese infine il leone.

— Io… io… sì, sì — balbettò il nano, che ancora respirava a fatica.

— Bene. La luna sta andando a dormire — disse Aslan. — Guardate dietro di voi, fra poco sorgerà l’alba e non abbiamo tempo da perdere. Voi due, figli di Adamo, e tu, figlio della terra, correte verso la collina e affrontate quello che ci sarà da affrontare.

Il nano non era ancora in grado di parlare, e dal canto loro i ragazzi non osavano chiedere se Aslan avesse intenzione di seguirli. Sfoderarono le spade tutti e tre e salutarono, poi si voltarono e si allontanarono nella foschia del primo mattino, con le armature tintinnanti. Lucy si accorse che sui loro volti non c’era la minima traccia di stanchezza: sia il Re supremo che re Edmund sembravano due uomini adulti, non dei ragazzi.

Le sorelle, di fianco ad Aslan, li seguirono con lo sguardo fino a quando scomparvero alla vista. La luce cambiava: laggiù a oriente Aravir, la stella del mattino che splende su Narnia, brillava come una piccola luna. Aslan, che sembrava più maestoso del solito, alzò la testa, scosse la criniera e ruggì.

Quel suono, profondo e vibrante come una nota bassa suonata dall’organo, si fece sempre più forte e potente, finché non scosse l’aria e la terra. Rimbombò sulla collina e da lì inondò Narnia: gli uomini di Miraz, che bivaccavano nella vallata, si svegliarono, si guardarono terrorizzati l’un l’altro e afferrarono le armi. Giù nel letto del Grande Fiume, le teste e le spalle delle ninfe emersero dalle onde, seguite dai barboni verdastri delle divinità acquatiche. Al di là del Grande Fiume, in ogni prato e nelle foreste gli orecchi vigili dei conigli spuntarono dalle tane; le testine insonnolite degli uccelli fecero capolino tra le ali, i gufi gridarono, le volpi latrarono, i porcospini borbottarono e gli alberi cominciarono ad agitare le foglie. Nelle città e nei villaggi le madri portarono i figli al seno, terrorizzate; i cani gemettero e gli uomini corsero brancolando a cercare lanterne. Lontano, verso le frontiere settentrionali, i giganti delle montagne uscirono dai portoni di castelli inaccessibili.

Quello che Lucy e Susan videro fu un’oscura marea dilagare dalle colline in ogni direzione. In un primo momento sembrò una nebbia nera che strisciasse lenta sul terreno, poi prese l’aspetto di onde increspate come quelle del mare notturno in tempesta, sempre più alte e più grandi, e infine… tutto fu chiaro: era la foresta che si muoveva. Tutti gli alberi del mondo convergevano su Aslan. Più si avvicinavano, meno somigliavano agli alberi normali, e quando l’intera brigata si inchinò e riverì il leone, salutandolo con le lunghe braccia, Lucy — che li aveva intorno a sé — vide che avevano assunto sembianze umane. Ragazze-betulla pallide e slavate scuotevano la testa; donne-salice con il viso velato di tristezza lasciavano che i capelli ricadessero indietro e puntavano gli occhi su Aslan; i faggi regali se ne stavano sull’attenti, in adorazione, seguiti da pelosi uomini-quercia, olmi snelli e malinconici, agrifogli dai capelli arruffati (gli uomini decisamente scuri, le mogli di carnagione chiara e cariche di bacche), e ancora sorbi selvatici allegri e sorridenti. Tutti non facevano che inchinarsi ad Aslan, gridando: — Aslan, Aslan! — con voce roca oppure dolce e suadente.

Gli esseri che sciamavano senza sosta e la danza sempre più vorticosa (perché avevano ricominciato a danzare) stordirono Lucy. Poi vennero altre creature, senza che lei si rendesse conto da dove fossero sbucate, e cominciarono a far capriole tra gli alberi. Una era un ragazzo con la carnagione fulva e foglie di vite fra i riccioli. Sarebbe stato proprio un bel ragazzo, se non avesse avuto un aspetto così selvaggio.

— Ecco uno che è capace di qualunque cosa — disse Edmund non appena lo vide. Lucy ebbe esattamente la stessa impressione. A quanto pare il ragazzo aveva una serie di nomi importanti e pomposi: Bromios, Bassareus e Ram fra gli altri. Intorno a sé aveva una nutrita schiera di ragazze… ehm, selvatiche come lui. C’era chi era arrivato a cavallo di un asino, e tutti ridevano e gridavano a squarciagola: — Euan, euan, eu-oi-oi-oi!

— È un gioco, vero, Aslan? — chiese il giovane. Almeno all’apparenza aveva ragione, benché tutti giocassero a un gioco diverso. Forse era saltarello, pensò Lucy, ma non riuscì a scoprirlo. Somigliava a mosca cieca, ma la cosa strana era che tutti si comportavano come se fossero bendati. Palla avvelenata, magari? Non c’era la palla. Ma il culmine fu quando l’uomo che stava sulla groppa dell’asino cominciò a gridare: — È l’ora di rifocillarsi, pausa, pausa! — Era un omone grande e grosso, avanti negli anni. Cadde dall’asino e subito gli altri gli si fecero intorno per rimetterlo in groppa, mentre l’asino, che pensava di essere al circo, proprio in quel momento decise di mostrare la sua abilità e cominciò a camminare a due zampe. Ovunque c’erano pampini, e dopo un po’ arrivarono le viti, tantissime, che si arrampicavano sulle gambe degli uomini-albero e intorno al collo. A un certo punto Lucy cercò di portarsi indietro i capelli e con grande stupore si accorse che non erano ciocche ma viticci. L’asino ne era letteralmente coperto, la coda era impigliata e qualcosa di scuro gli ciondolava dalle orecchie. Lucy guardò con più attenzione e si accorse che erano grappoli d’uva. C’era uva ovunque: sulla testa, sotto i piedi, intorno.

— Si mangia, si mangia! — gracchiò il vecchio omone, e tutti cominciarono a mangiare. Forse a voi capiterà di mangiare l’uva di serra, ma posso assicurarvi che come quella non ne avete mai assaggiata. Era eccezionale, con i chicchi dalla buccia dura che quando li mettevi in bocca si scioglievano in un mare di dolcezza. Le ragazze non avevano mai mangiato niente di simile. L’altra cosa fantastica era che di uva ce n’era quanta ne volevi e potevi godertela senza dover stare composto. Tutti avevano mani sporche e appiccicose, e anche le creature con la bocca piena gridavano: — Euan, euan, eu-oi-oi-oi. - Poi capirono che il gioco (quale gioco? Mah!) e il banchetto stavano per finire. Caddero a terra sfiniti, rivolti ad Aslan per ascoltare quello che aveva da dire. Il sole spuntava in quel momento e fu allora che Lucy ricordò una cosa.

— Susan, ho capito chi sono — sussurrò alle orecchie della sorella.

— Dimmi…

— Quel ragazzo dai lineamenti un po’ selvatici è Bacco, il vecchio sull’asino è Sileno. Non ricordi che il signor Tumnus ci ha parlato di loro, tanto tempo fa?

— Sì, certo, ma io dico che…

— Avanti, Susan.

— Ecco, non mi sentirei tranquilla in compagnia di Bacco e delle ragazze un po’ scostumate che gli ronzano intorno… se non ci fosse Aslan.

— Mi spiace che la pensi così.

12

Un incantesimo e un’immediata vendetta

Nel frattempo Briscola e i due ragazzi erano arrivati davanti al portale di pietra, immerso nell’oscurità, che conduceva nelle viscere della Casa di Aslan. Due tassi-sentinella (le chiazze bianche sulle guance erano l’unica cosa che Edmund riuscì a distinguere) scattarono, mostrando i denti, e con un ringhio chiesero: — Chi va là?