Mentre si occupavano del polso, Edmund chiese ansioso: — Peter, che ne pensi di lui?
— È forte, accidenti se è forte. Posso farcela solo se riesco a portarlo verso l’altura. Miraz è grosso e pesante e qui fa molto caldo. Se anche il vento si mette dalla mia… Ma a dire la verità non ho molte speranze, Edmund. Ti prego, se dovesse succedermi qualcosa saluta e abbraccia tutti a casa. Oh, ecco che torna. Addio, amici. Arrivederci, dottore. Ancora una cosa, Edmund: un saluto speciale a Briscola, è un vero amico.
Edmund era pietrificato e non riuscì a spiccicare parola. In compagnia del dottore raggiunse i suoi, mentre una grande angoscia gli rodeva lo stomaco. Ma la seconda fase del duello offri nuove speranze. Sembrava che Peter avesse finalmente imparato a usare lo scudo e i piedi: si portava fuori tiro come se giocasse a saltarello, inventava mille giochetti, insomma faceva dannare il povero Miraz.
— Vigliacco, codardo — gridarono i Telmarini. — Perché non lo affronti? Hai paura, eh? Sei venuto per combattere, non per ballare.
— Speriamo che non tenga conto di quelli — esclamò Caspian.
— Non Peter, stanne certo — disse Edmund. — Tu non lo conosci, lui… Oh! — Si interruppe. Miraz aveva colpito il Re supremo sull’elmo e il ragazzo perse l’equilibrio, barcollò pericolosamente e scivolò di fianco, cadendo in ginocchio. Il ruggito dei fedeli di Miraz somigliava al fragore del mare in burrasca.
— Forza Miraz, vai Miraz, adesso. È il momento. Ammazzalo, ammazzalo! — Ma non c’era bisogno di incitare Miraz l’Usurpatore. Il re, infatti, aveva già assalito Peter. Edmund si morse le labbra a sangue, la spada di Miraz stava per calare sul povero Peter. Da un momento all’altro la testa gli sarebbe volata via… Grazie al cielo! Miraz lo aveva colpito alla spalla, ma la cotta di maglia, opera dei nani, risuonò senza rompersi.
— Grandi stelle — gridò Edmund. — È di nuovo in piedi. Forza, Peter!
— Non riesco a vedere cosa sta succedendo — si lamentò il dottore. — Come ha fatto?
— Si è attaccato al braccio di Miraz quando stava per colpire di nuovo — spiegò Briscola, saltando di gioia. — Quello sì che è un uomo. Usare il braccio del nemico come scala… che idea geniale. Il Re supremo, viva il Re supremo! Avanti, Vecchia Narnia, è il tuo momento.
— Guardate — disse Tartufello. — Miraz è fuori di sé. Bene, molto bene.
Combattevano furiosamente, sferrando colpi così violenti che all’uno e all’altro pareva impossibile di essere ancora in vita. A mano a mano che il duello si faceva più entusiasmante, grida e schiamazzi tacquero. Gli spettatori stavano in silenzio, trattenendo il respiro: era quello che potremmo definire uno spettacolo orribile e magnifico.
Un boato salì dalle file degli uomini di Narnia: Miraz era caduto. Non era stato Peter a colpirlo, era caduto a faccia in giù dopo essere inciampato su un ciuffo d’erba. Peter fece un balzo indietro, aspettando che si alzasse.
— Accidenti e straaccidenti — borbottò Edmund fra sé. — Che bisogno c’era di comportarsi da gentiluomo in un’occasione come questa? Be’, non poteva fare altro: è un cavaliere, e soprattutto è il Re supremo. Aslan avrebbe molto apprezzato il suo gesto, ma quel selvaggio sarà in piedi fra meno di un minuto e allora…
Invece "quel selvaggio" non si alzò più e Glozelle e Sopespian poterono attuare il piano che avevano ordito. Non appena videro Miraz a terra, irruppero nel quadrato dove si era tenuto il combattimento e gridarono: — Tradimento, tradimento! L’uomo di Narnia, infingardo e sleale, ha colpito Miraz alla schiena mentre era a terra e non poteva difendersi. Alle armi, uomini di Telmar.
Peter non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Vide due omoni grandi e grossi correre verso di lui, la spada snudata. Un altro degli uomini di Miraz scavalcò le funi a sinistra.
— Alle armi, alle armi! Tradimento, tradimento — gridò Peter.
Se i tre uomini gli fossero piombati addosso insieme, Peter non avrebbe più avuto la forza di parlare. Ma Glozelle si fermò a pugnalare il cadavere di Miraz.
— Questo per l’insulto di stamattina, razza di bastardo — disse sottovoce, mentre la lama entrava nella ferita.
Peter si trovò faccia a faccia con Sopespian e in un colpo gli tagliò le gambe e mozzò la testa. Ora Edmund era al suo fianco e gridava a più non posso: — Narnia, Narnia! Il leone!
L’esercito di Miraz marciò verso di loro, ma il gigante lo contrastò minaccioso e agitava la clava, piegato a metà. Il centauro caricò mentre la squadra di nani arcieri scendeva dalla collina. Briscola combatteva sulla sinistra e ormai la battaglia infuriava dovunque.
— Ricipì, Ricipì, torna indietro, piccolo sciocco — gridò Peter. — Sarai il solo a rimetterci la pelle. Questo non è il posto adatto a un topo.
Ma le piccole, ridicole creature danzavano fra i piedi dei soldati con la spada in pugno. Quel giorno molti uomini di Miraz ebbero la sensazione di avere spiedi conficcati nei piedi: poveretti, non facevano che saltare su una gamba sola, imprecando per il dolore. Se cadevano a terra, i topi li finivano; se rimanevano in piedi, ci pensava qualcun altro.
Quando gli abitanti della Vecchia Nanna cominciarono a prenderci gusto, si accorsero che il nemico se la dava a gambe. I guerrieri più terribili e sanguinari erano diventati improvvisamente pallidi come la morte, terrorizzati non dai nemici ma da qualcosa che avanzava dietro di loro. Lasciarono cadere le armi e cominciarono a gridare: — La foresta, la foresta! Questa è la fine del mondo…
Le grida e il clamore delle armi furono coperti dal fragore degli alberi che si erano appena svegliati. Una volta raggiunte le file dell’esercito di Peter, si sarebbero dati all’inseguimento degli uomini di Miraz; pareva di essere nel mare in burrasca. Vi è mai capitato di stare sulla cima di una collina, in una sera d’autunno, con il bosco sotto di voi e un vento formidabile che spira da sud in tutta la sua forza? Provate a immaginare il sibilo del vento e la foresta che, invece di rimanere ben piantata, comincia a muoversi: non una foresta popolata d’alberi, ma di uomini e donne giganteschi vagamente simili ad alberi, le cui braccia lunghissime ondeggiano come rami e le cui teste spargono una pioggia di foglie al più piccolo movimento. Ecco lo spettacolo cui si trovarono di fronte i Telmarini, e bisogna ammettere che anche gli abitanti di Narnia provarono un brivido di paura. In pochi secondi gli uomini di Miraz puntarono a rotta di collo verso il Grande Fiume, nella speranza di attraversare il ponte che conduceva alla città di Beruna: in questo modo sarebbero riusciti a difendersi dietro i bastioni e i portoni chiusi. Raggiunsero il fiume, ma ahimè non c’era più il ponte, visto che era scomparso il giorno prima. Una gran paura si impossessò di loro e furono circondati.
Che fine aveva fatto il ponte?
Quella mattina, di buon’ora, Lucy e Susan si erano svegliate dopo un breve sonno e avevano visto Aslan chino su di loro. Il leone aveva detto: — Stamani ci prenderemo una bella vacanza. — Si erano stropicciate gli occhi e avevano dato un’occhiata intorno. Gli alberi non c’erano più, ma una gran massa nera muoveva verso la Casa di Aslan. Bacco e le menadi, sue formidabili compagne e creature un po’ pazze, erano ancora nei paraggi e così il vecchio Sileno. Lucy, che si sentiva bene e riposata, scattò in piedi; tutti erano svegli e ridevano, suonavano il flauto o anche il cembalo. Gli animali (non quelli parlanti) si erano raccolti intorno alle altre creature, provenienti da ogni direzione.
— Che succede, Aslan? — chiese Lucy, con gli occhi che scrutavano di qua e di là e i piedi frementi dalla voglia di ballare.
— Venite, bambine — rispose Aslan. — Salitemi in groppa, per oggi.
— È fantastico — disse Lucy con un gridolino, e le ragazze si arrampicarono sulla schiena dorata come avevano già fatto molti anni prima. Poi l’allegra compagnia si mise in marcia: Aslan in testa seguito da Bacco e dalle menadi che saltavano, sgambettavano e facevano piroette; gli animali facevano le capriole e Sileno chiudeva la fila in groppa all’asino.