In una frazione di secondo prendo la decisione e salto, afferro la trave penzolante e mi do la spinta. Poiché la fune di sicurezza ha un gioco di alcuni metri, ora tutto il mio peso è concentrato sulle dita. La trave è troppo spessa per fornirmi una buona presa e sento le dita scivolare sul legno duro come ferro. Piuttosto che lasciarmi cadere contro l’estremità elastica della corda fissa, mi sforzo di restare aggrappato, riesco a far dondolare la trave indietro verso l’ultima già in posizione e con un balzo supero gli ultimi due metri, atterro sulla scivolosa trave e agito le braccia per riprendere l’equilibrio. Ridendo della ridicola figura appena fatta, ritrovo l’equilibrio e per un attimo riprendo fiato e guardo le nuvole ribollire contro la parete rocciosa, parecchie migliaia di metri più in basso.
Changchi Kenchung salta di trave in trave verso di me, agganciandosi rapidamente alle corde fisse. Negli occhi ha uno sguardo inorridito e per un secondo sono sicuro che Aenea ha avuto un incidente. Il cuore comincia a battermi all’impazzata e l’ansia mi travolge all’improvviso, tanto che rischio di perdere di nuovo l’equilibrio. Mi riprendo, rimango in bilico sull’ultima trave già sistemata e con un sinistro presentimento aspetto Changchi.
Quando balza sull’ultima trave e mi raggiunge, Changchi è senza fiato e non riesce a parlare. Gesticola con insistenza verso di me, ma non capisco. Forse ha visto il mio comico balletto con la trave dondolante e si è preoccupato. Per fargli capire che tutto è a posto, gli mostro l’imbracatura e il moschettone saldamente agganciato alla fune di sicurezza.
Non c’è nessun moschettone. Non mi sono agganciato all’ultima corda fissa. Ho fatto tutto quel balletto di salti e spenzolamenti senza fune di sicurezza. Non c’è mai stato niente fra me e…
Ho un improvviso attacco di vertigine e di nausea, barcollo per tre passi verso la parete dello strapiombo e mi appoggio contro la gelida roccia. La sporgenza cerca di spingermi via e mi pare che l’intera montagna si inclini all’esterno, mi spinga giù dalla trave.
Changchi tira la corda fissa verso un moschettone della mia imbracatura e mi aggancia. Lo ringrazio con un cenno e cerco di non vomitare la colazione davanti a lui.
Dieci metri più in là, lungo la curvatura dello strapiombo, Haruyuki e Kenshiro gesticolano. Hanno fatto nella parete un altro perfetto foro. Vogliono che tenga il loro ritmo nel mettere in opera le travi.
Il gruppo in partenza per il ricevimento serale del Dalai Lama in onore della Pax a Potala si avvia proprio dopo il pasto di mezzogiorno nel refettorio comune. Vedo Aenea, ma a parte un significativo scambio di occhiate e da parte sua un sorriso che mi fa indebolire le ginocchia, non ci parliamo.
Ci raduniamo sul livello più basso, mentre dalle piattaforme superiori centinaia di operai, monaci, cuochi, studiosi e portatori ci salutano con grida e agitare di braccia. Nubi gonfie di pioggia cominciano ad ammassarsi e a riversarsi fra i bassi varchi della cresta orientale, ma il cielo sopra il Hsuan-k’ung Ssu è ancora azzurro e il rosso delle bandierine di preghiera che sventolano sulle alte terrazze si staglia con chiarezza quasi sorprendente.
Siamo tutti in vesti da viaggio, ma portiamo gli abiti da cerimonia in borse impermeabili a tracolla o, nel mio caso, nel sacco da montagna. I ricevimenti del Dalai Lama si tengono per tradizione a tarda sera e abbiamo più di dieci ore prima che sia richiesta la nostra presenza, ma bisogna fare un viaggio di sei ore sulla via Alta e alcuni corrieri e aviatori, giunti sul presto a Jo-kung quello stesso giorno, hanno parlato di brutto tempo al di là della cresta K’un Lun, così ci avviamo di buon passo.
L’ordine di marcia è stabilito dal protocollo. Charles Chi-kyap Kempo, sindaco di Jo-kung e camerlengo del Tempio a mezz’aria, precede di qualche passo il suo quasi pari Kempo Ngha Wang Tashi, abate del Tempio. Le "vesti da viaggio" di tutt’e due sono più risplendenti del mio tentativo d’abito da cerimonia e i due uomini sono circondati da piccoli vespai di aiutanti, monaci e agenti di sicurezza.
Dietro i sacerdoti politici, vengono Gyalo Thondup, il giovane monaco cugino dell’attuale Dalai Lama, e Labsang Samten, il monaco del terzo anno che è fratello del Dalai Lama. Hanno il passo sciolto e la risata ancora più sciolta dei giovani all’apice della salute fisica e della chiarezza mentale. Nel loro viso scuro risplendono denti bianchi. Labsang indossa un chuba da alpinismo di un rosso brillante che lo fa sembrare una bandierina di preghiera ambulante nel nostro corteo che punta a ovest lungo la stretta passerella per la forra di Jo-kung.
Tsipon Shakabpa, il supervisore ufficiale del progetto di Aenea, cammina con George Tsarong, il nostro paffuto capomastro. L’inseparabile compagno di George, Jigme Norbu, è assente: risentito per non essere stato invitato, è rimasto al tempio. Credo sia la prima volta che vedo un George non sorridente. Tsipon tuttavia compensa il silenzio di George e racconta aneddoti con un agitare di braccia e mosse stravaganti. Diversi operai procedono con loro, almeno fino a Jo-kung.
Tromo Trochi di Dhomu, il vistoso agente di commercio proveniente dal sud, cammina insieme col suo unico compagno per tutti quei mesi sulle strade alte: una zigocapra più grossa del normale, un ibrido da soma carico di mercanzia. La zigocapra ha tre campanacci appesi al collo irsuto, che tintinnano come le campanelle di preghiera del tempio. Lhomo Dondrub si unirà a noi a Potala, ma la sua presenza nel gruppo è simbolicamente rappresentata da un campionario di nuova tela di volo per il suo parapendio, posto in cima alla sacca da viaggio col carico della zigocapra.
Aenea e io chiudiamo il corteo. Provo varie volte a parlare della notte scorsa, ma Aenea mi zittisce a segni, un dito sulle labbra e un cenno in direzione del vicino mercante e degli altri. Mi accontento di parlare degli ultimi giorni di lavoro al padiglione della sporgenza e alle passerelle, ma nella mia mente le domande continuano a sgomitare.
In breve siamo a Jo-kung, dove rampe e passerelle sono costeggiate di gente che agita striscioni e bandierine di preghiera. Dalle terrazze nelle fenditure e dalle baracche contro la parete dello strapiombo gli abitanti della città acclamano il loro sindaco e il resto del nostro corteo.
Subito dopo la città-forra di Jo-kung, vicino alle piattaforme di partenza dell’unica funivia che useremo in questo viaggio a Potala, incontriamo un altro gruppo diretto al ricevimento del Dalai Lama: la Dorje Phamo e le sue nove sacerdotesse. La Dorje Phamo viaggia in un palanchino portato da nove muscolosi maschi, perché è la badessa del gompa Samden, un monastero esclusivamente maschile una trentina di chilometri lungo la parete meridionale della stessa cresta sul cui lato orientale sorge il Tempio a mezz’aria. La Dorje Phamo ha novantaquattro anni standard e ha scoperto, quando ne aveva tre, di essere la reincarnazione dell’originaria Dorje Phamo, la Scrofa Folgore. È una donna d’immensa importanza e per più di settanta anni standard è stata prefetto e avatar in un separato monastero femminile, il gompa Oracolo, a Yamdrock Tso, una sessantina di chilometri più avanti lungo la pericolosa parete della cresta. Ora la Scrofa Folgore, le sue nove sacerdotesse e una trentina di portatori e di uomini di guardia aspettano alla funivia per agganciare i massicci moschettoni del palanchino.
La Dorje Phamo scruta dalle tendine, scorge il nostro gruppo e con un gesto chiama Aenea. Da sbrigativi commenti di Aenea so che la mia amica ha visitato diverse volte il gompa Oracolo a Yamdrock Tso per incontrare la Scrofa Folgore e che le due donne hanno stretto rapida amicizia. Da commenti di A. Bettik so pure che di recente la Dorje Phamo ha detto alle sue sacerdotesse e alle monache del gompa Oracolo e ai monaci del gompa Samden che Aenea, non Sua Santità l’attuale Dalai Lama, è l’incarnazione vivente del Buddha della Misericordia. Secondo A. Bettik, la notizia di questa eresia si è diffusa, ma per la popolarità della Scrofa Folgore in tutto il pianeta T’ien Shan, il Dalai Lama non ha ancora reagito all’impertinenza.
Ora guardo le due donne, la mia giovane Aenea e l’anziana sagoma nel palanchino, chiacchierare e ridere di cuore, mentre i due gruppi aspettano di percorrere la funivia sopra l’abisso Langma. Di sicuro la Dorje Phamo ha insistito per cederci il passo: infatti i portatori spostano da parte il palanchino e le nove sacerdotesse fanno un profondo inchino, mentre Aenea segnala al nostro gruppo di avanzare sulla piattaforma. Charles Chi-kyap Kempo e Kempo Ngha Wang Tashi sembrano sconcertati, mentre consentono ai propri aiutanti di agganciarli al cavo; non sono preoccupati per la propria sicurezza, lo so, ma per una infrazione al protocollo che mi è sfuggita e che non mi interessa molto. In quel momento mi interessa prendere da parte Aenea e parlarle. O forse solo baciarla di nuovo.