«Lei sa già come andrà a finire» dice con calma Aenea al cardinale, senza badare alle creature Nemes che si raggomitolano come gatti pronti a balzare.
Il Grande Inquisìtore si umetta le labbra. «No, non lo so» replica. «Ci sono le tre…»
«Sa già come andrà a finire» lo interrompe Aenea, sempre con calma. «Lei era su Marte.»
"Marte?" penso. "Che diavolo c’entra Marte, con questi mostri?" Il lampo balena di nuovo dal lucernario, proietta ombre pazzesche. Le facce delle centinaia di ospiti impietriti di terrore sono come bianchi ovali dipinti su velluto nero tutt’intorno a noi. In un attimo di folgorante intuizione, che mi rischiara la mente come il lampo appena balenato, mi rendo conto che la biosfera metafisica di questo pianeta, evolutasi o no dallo zen, è crivellata di demoni e di spiriti malevoli ispirati ai miti tibetani: i cancerosi nyen, spiriti della terra; i sadag, signori del terreno, che tormentano i costruttori che disturbano il loro regno; gli tsen, spiriti rossi che vivono nelle rocce; i gyelpo, spiriti di sovrani defunti che hanno mancato ai voti, morti, micidiali, abbigliati in livide corazze; i dud, spiriti così malevoli da cibarsi solo di carne umana e da indossare la nera corazza degli scarafaggi; le mamo, divinità femminili spietate come invisibili correnti di risucchio; le matrika, streghe degli ossari e delle piattaforme di cremazione, annunciate da una folata del loro alito che puzza di carogna; i grahas, divinità planetarie che causano epilessia e altre violente malattie devastanti; i nodjin, guardiani delle ricchezze nella terra, morte per i cercatori di diamanti; e decine di altri esseri notturni, zannuti, muniti di artigli, assassini. Lhomo e gli altri mi hanno raccontato spesso e bene la storia di quegli esseri. Guardo le facce sbiancate che fissano, sconvolte, lo Shrike e le creature Nemes e mi dico: "Questa notte non sarà poi tanto inusuale per loro, quando lo racconteranno".
«Il demone non può sconfiggerle tutt’e tre» dice il cardinale Mustafa. Pronuncia la parola "demone" proprio mentre io la penso. Capisco che parla dello Shrike.
Aenea non bada a quel commento. «Per prima cosa mieterà il crucimorfo» dice piano. «Non posso impedirglielo.»
Il cardinale muove di scatto la testa, come schiaffeggiato. Da pallido diventa cereo. Raccogliendo l’imbeccata da Nemes, le due copie si raggomitolano più strettamente, come se raccogliessero energia in vista di chissà quale terribile trasformazione. Nemes ha riportato lo sguardo su Aenea e ora ha un sorriso così largo da mostrare anche i molari.
«Fermi!» grida il cardinale Mustafa. La sua voce echeggia dal lucernario al pavimento. I grandi corni smettono di rombare. I presenti si stringono l’uno all’altro in un fruscio di unghie su seta. Nemes scocca al cardinale un’occhiata di odio e di malevolenza, quasi di sfida.
«Fermi!» grida di nuovo il sant’uomo della Pax. Mi rendo conto che parla anzitutto e soprattutto alle sue stesse creature. «In nome di Albedo e del Nucleo, per l’autorità dei Tre Elementi, ve lo ordino!»
Quest’ultimo grido disperato ha la cadenza di un esorcismo, di un profondo rituale, ma perfino io capisco che non è né cattolico né cristiano. Qui non è lo Shrike a essere invocato sotto la ferrea stretta di un controllo talismanico; sono gli stessi demoni del cardinale.
Nemes e le sue copie arretrano sul parquet come tirate da fili invisibili. Il clone maschio e il clone femmina si spostano fino a mettersi ai fianchi di Nemes, davanti a Mustafa.
Il cardinale sorride, ma con un sorriso tremante. «I miei cuccioli non saranno sguinzagliati, finché non avremo discusso di nuovo» dice. «Sacrilega bambina, hai la mia parola di principe della Chiesa. Ho la tua parola che quel…» indica lo Shrike dalle lame ricoperte di brandelli di velluti «quel mostro non mi darà la caccia fino a quel momento?»
Aenea pare calma come è stata durante tutto l’incidente. «Io non lo controllo» risponde. «La sua sola via di scampo è lasciare pacificamente questo pianeta.»
Il cardinale guarda lo Shrike. Pare pronto a balzare via, se la creatura dovesse solo flettere la lama del mignolo. Nemes e i cloni continuano a mantenersi fra il cardinale e lo Shrike.
«Quale garanzia ho» dice il cardinale Mustafa «che quel demone non mi segua nello spazio o su Pacem?»
«Nessuna» risponde Aenea.
Il Grande Inquisitore punta il dito contro la mia amica. «Qui abbiamo affari che non hanno niente a che vedere con te» dichiara, brusco. «Ma tu non lascerai mai questo pianeta. Te lo giuro sulla pietà di Cristo.»
Aenea ricambia il suo sguardo e rimane in silenzio.
Il cardinale si gira e si allontana, con uno svolazzo di tonaca e un fruscio di pantofole sul lucido pavimento. Le tre creature Nemes arretrano per tutta la sala, seguendolo: i due cloni tengono gli occhi puntati sullo Shrike, Nemes trafigge con lo sguardo Aenea. Varcano i tendaggi del portale privato del Dalai Lama e spariscono.
Lo Shrike resta dove si trova, inanimato, le quattro braccia immobili davanti a sé; le lame delle dita raccolgono le ultime gocce della luce dell’Oracolo, poi la luna si muove dietro la montagna e scompare.
Gli ospiti della festa cominciano a muoversi verso le uscite, in un’onda di bisbigli e di esclamazioni. Dall’orchestra provengono tonfi, clangori, fischi: gli strumenti vengono riposti in fretta nelle custodie e trascinati o portati via. Aenea continua a tenermi la mano, mentre una piccola cerchia di persone rimane intorno a noi.
«Chiappe di Buddha!» sbotta Lhomo Dondrub. Si avvicina allo Shrike, tasta col dito la spina metallica che spunta dal torace della creatura. Nella luce sempre più fioca riesco a vedere la goccia di sangue sul suo dito. «Fantastico!» grida Lhomo e beve un sorso da un boccale di birra di riso.
La Dorje Phamo viene al fianco di Aenea. Le prende la sinistra, piega il ginocchio, si pone sulla fronte rugosa la mano aperta di Aenea.
Aenea mi lascia la mano, prende con gentilezza per il braccio la Scrofa Folgore, l’aiuta a rialzarsi. «No, no» mormora.
«La Benedetta» mormora la Dorje Phamo. «Amata, l’Immortale; Arhat, la Perfetta; Sammasambuddha, la Pienamente Risvegliata; comandaci e insegnaci il dhamma.»
«No» dice Aenea con vigore. Sempre gentile con l’anziana donna, la tira in piedi, ma non addolcisce l’espressione severa. «Vi insegnerò ciò che conosco e dividerò con voi ciò che possiedo, quando giungerà il tempo. Non posso fare altro. L’ora del mito è passata.»
Si gira, mi prende per mano e ci guida fuori della sala, passando davanti all’immobile Shrike, diretta ai tendaggi a brandelli e alla scala mobile ferma. Gli ospiti della festa si aprono al nostro passaggio, in fretta, come poco prima davanti allo Shrike.
Ci fermiamo sulla piattaforma della scala d’acciaio. Lanterne risplendono nel corridoio delle nostre camere da letto, molto più in basso.
«Grazie» mi dice Aenea, guardandomi con occhi umidi.
«Eh?» dico come uno stupido. «Di cosa… perché… non capisco.»
«Grazie del ballo» dice lei. Si alza sulla punta dei piedi e mi bacia morbidamente sulla bocca.
L’elettricità del suo tocco mi fa battere le palpebre. Indico la folla alle nostre spalle, la pista da ballo dove ora non c’è più lo Shrike, le guardie del Potala che si precipitano nella sala echeggiante, l’alcova chiusa da tendaggi dove sono spariti Mustafa e le sue creature. «Non possiamo dormire qui stanotte, ragazzina. Nemes e gli altri due…»
«No, no, non faranno niente» dice Aenea. «Abbi fiducia in me, su questo. Stanotte non verranno strisciando lungo la parete esterna e sul soffitto. Anzi, lasceranno tutti il loro gompa e torneranno alla nave in orbita. Verranno di nuovo, ma non stanotte.»
Mi lascio sfuggire un sospiro.
Aenea mi prende la mano. «Hai sonno?» domanda piano.
Certo che ho sonno. Non esistono parole per dire quanto sono esausto. La notte scorsa pare lontana giorni, settimane, e anche allora ho avuto solo due o tre ore di sonno leggero perché… perché abbiamo… perché…