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O dolce consolatore,dono del Padre altissimo,acqua viva, fuoco, amore,santo crisma dell’anima.
Dito della mano di Dio,promesso dal Salvatore,irradia i tuoi sette doni,imbevi di fuoco la spada.
Sii luce all’intelletto,calma il cuor di chi muore;con pazienza e ferma virtùrafforza la debole carne.
Allontana il nemico,cedi a noi la tua ira:con la tua guida,vittoria non ci sarà negata.
Ci conceda la tua grazia,conoscer il Padre e il Figlioe Te, eterno benedettod’entrambi eterno Spirito.
Or sia resa gloria al Padree al Figlio risorto; davantia Te, Spada e Scudo, tuttisiano spinti in Pax e Cielo.

Sua Santità papa Urbano XVI: E tutti i nemici di Cristo devono cedere.

Tutti: Amen.

Escono Sua Santità e il maestro di cerimonie.

Anziché tornare agli appartamenti apostolici, il papa condusse il cardinale in una piccola stanza a fianco della Cappella Sistina.

«La saletta delle Lacrime» disse il cardinale Lourdusamy. «Non ci metto piede da anni.»

Si trattava di un piccolo locale col pavimento a piastrelle marrone quasi nere per gli anni, ruvida carta da parati rossa, basso soffitto a volta in stile medievale, violenta luce che veniva da alcuni dorati candelabri a muro, senza finestre ma con pesanti e assurdi tendaggi bianchi a una parete. L’arredamento era ridotto al minimo: un bizzarro divano rosso in un angolo, un tavolino-altare, nero, coperto da un drappo di lino bianco, al centro una schematica struttura da cui pendeva una pianeta, antica e ingiallita, che lasciava un po’ a disagio; lì vicino, un paio di scarpe bianche assurdamente decorate, tanto vecchie che la punta era storta in su.

«Quei paramenti appartenevano a papa Pio XII» disse il pontefice. «Li indossò qui nel 1939, dopo l’elezione. Li abbiamo fatti togliere dal museo Vaticano e sistemare qui. Di tanto in tanto veniamo a guardarli.»

«Papa Pio XII» ripeté, pensieroso, il cardinale Lourdusamy. Cercò di ricordare se nel pontificato di quel papa defunto da secoli ci fosse qualcosa di particolarmente significativo. Riuscì solo a pensare alla statua di Pio XII, scolpita circa due millenni prima, nel 1964, da Francesco Messina e ora relegata in un corridoio nei sotterranei del Vaticano. Pio XII era stato rappresentato da Messina a tratti appena sbozzati, occhiali tondi vuoti come le orbite di un teschio, braccio destro alzato nel gesto (dita ossute allargate) di tenere a bada il male del suo tempo.

«Un papa guerriero?» azzardò Lourdusamy.

Papa Urbano XVI scosse la testa. Aveva l’aria stanca e un livido sulla fronte, il segno lasciato dalla pesante mitra dai fregi dorati, tenuta in testa per tutta la lunga cerimonia dell’investitura. «Non è di nostro interesse il suo pontificato durante la guerra mondiale della Vecchia Terra» spiegò «ma i complessi rapporti che fu costretto a stabilire con il cuore stesso delle tenebre per preservare la Chiesa e il Vaticano.»

Lourdusamy annuì lentamente. «Nazisti e fascisti» mormorò. «Ma certo.» Il paragone con il Nucleo non era senza merito.

I domestici del pontefice avevano preparato il tè sull’unico tavolo e ora il segretario di Stato servì di persona Sua Santità e versò l’infuso in una fragile tazza di porcellana. Papa Urbano XVI lo ringraziò con uno stanco cenno e sorseggiò la fumante bevanda. Lourdusamy tornò al suo posto al centro della stanza, accanto agli antichi paramenti appesi, e guardò con occhio critico il pontefice. "Il suo cuore fa di nuovo i capricci" pensò. "Dovremo affrontare presto un’altra risurrezione e un nuovo conclave?"

«Hai notato chi è stato scelto come rappresentante dei cavalieri?» domandò il papa, con voce ora più forte. Alzò gli occhi, intensi, tristi.

Preso alla sprovvista, Lourdusamy rifletté un secondo. «Oh, sì» disse infine. «L’ex PFE della Pax Mercatoria. Isozaki. Sarà il cavaliere a capo della crociata Cassiopea 4614.»

«Facendo così ammenda» sorrise Sua Santità.

Lourdusamy si strofinò le guance. «Potrebbe rivelarsi una penitenza più severa di quanto non si aspettasse il signor Isozaki, Santità.»

Il papa alzò gli occhi. «Sono previste gravi perdite?»

«Circa il quaranta per cento di morti» borbottò Lourdusamy. «Metà dei quali irrecuperabili con la risurrezione. In quel settore gli scontri sono stati molto, molto pesanti.»

«E dalle altre parti?»

Lourdusamy sospirò. «La sommossa si è estesa a circa sessanta pianeti della Pax, Santità. Circa tre milioni di persone hanno subito il contagio e hanno rigettato il crucimorfo. Ci sono scontri, ma niente di cui le autorità della Pax non possano occuparsi. Vettore Rinascimento è il caso peggiore, circa ottocentomila infetti. E il contagio si diffonde molto rapidamente.»

Il papa annuì e sorseggiò il tè. «Comunicaci qualcosa di positivo, Simon Augustino.»

«La navetta automatica è traslata dal sistema di T’ien Shan proprio prima della cerimonia» disse il cardinale Lourdusamy. «Abbiamo decrittato immediatamente l’olomessaggio del cardinale Mustafa.»

Il papa tenne la tazzina a qualche centimetro dal piattino, senza portarsela alle labbra, e attese.

«Hanno incontrato la Figlia del Demonio» disse Lourdusamy. «Nel palazzo del Dalai Lama.»

«E…» lo incitò il papa.

«Non c’è stato alcun intervento, per la presenza del demone Shrike» disse Lourdusamy, con un’occhiata agli appunti nel comlog da polso. «Ma l’identificazione è sicura. La bambina di nome Aenea — ora naturalmente è sulla ventina standard — la sua guardia del corpo, Raul Endymion, che abbiamo arrestato e perduto su Mare Infinitum più di nove anni fa, e gli altri.»

Il papa si toccò le labbra, sottili come le dita. «E lo Shrike?»

«È comparso solo quando la bambina è stata minacciata dagli… ufficiali… della Guardia nobile di Albedo» rispose Lourdusamy. «Poi è scomparso. Non c’è stato scontro.»

«Ma il cardinale Mustafa non è riuscito a cogliere l’attimo.»

Lourdusamy annuì.

«E pensi ancora che Mustafa sia la persona giusta per questo compito?» mormorò papa Urbano XVI.

«Sì, Santità. Tutto procede secondo il piano. Ci auguravamo di stabilire un contatto prima dell’arresto vero e proprio.»

«E la Raffaele?» domandò il papa.

«Ancora nessun segno. Però Mustafa e l’ammiraglio Wu sono sicuri che de Soya comparirà nel sistema di T’ien Shan prima del tempo concesso per andare a prendere la ragazza.»

«Senza dubbio preghiamo che sia questo il caso» disse il pontefice. «Sai, Simon Augustino, quanto danno ha fatto alla nostra crociata quella nave fuorilegge?»

Lourdusamy sapeva che la domanda era retorica. Da cinque anni lui e il Santo Padre e i tremebondi ammiragli della Flotta della Pax studiavano attentamente rapporti di combattimenti, elenchi di vittime, perdite di naviglio. La Raffaele, col suo capitano voltagabbana de Soya, era stata quasi catturata o distrutta una ventina di volte, ma era sempre riuscita a fuggire nello spazio degli Ouster, lasciandosi alle spalle convogli dispersi, scafi ridotti a carcasse e navi da guerra distrutte. La mancata cattura di una singola Arcangelo fuorilegge era diventata la vergogna della Flotta e il segreto meglio custodito in tutta la Pax.

Ma ora stava per terminare.

«Elementi di Albedo calcolano pari al novantaquattro per cento la probabilità che de Soya abbocchi alla nostra esca» disse il cardinale Lourdusamy.

«Quanto tempo è trascorso da quando la Flotta e il Sant’Uffizio hanno fatto filtrare l’informazione?» disse il papa. Terminò di bere il tè e posò con cura sulla sponda del divano il piattino e la tazza.

«Cinque settimane standard» rispose Lourdusamy. «L’ammiraglio Wu ha fatto in modo che l’informazione si trovasse, in codice, nella IA di bordo di una delle navi torcia di scorta che la Raffaele ha assalito ai margini del sistema di Ofiuco. Ma in un codice non tanto impenetrabile da costituire un ostacolo per i sistemi di bordo della Raffaele, migliorati dagli Ouster.»