«Le cosiddette "Quattro asserzioni della setta zen" attribuite a Bodhidharma nel VI secolo d.C. sono un cartello indicatore quasi perfetto per trovare il Vuoto che lega, almeno per trovare il suo profilo come assenza di confusione ultraterrena» prosegue Aenea. «Primo, nessuna dipendenza da parole o lettere. Le parole sono la luce e il suono della nostra esistenza, il lampo di calore che illumina la notte. Il Vuoto che lega si trova nei più profondi segreti e silenzi delle cose, il luogo dove abita la fanciullezza.
«Secondo, una trasmissione speciale al di fuori delle Scritture. Artisti riconoscono altri artisti non appena la matita comincia a muoversi. Un musicista può distinguere un altro musicista fra milioni che suonano note, appena la musica inizia. Poeti spigolano poeti in poche sillabe, soprattutto dove si scarta l’ordinario significato e le forme della poesia. Chora scrisse…
«Due vennero qui,
due volarono via…
farfalle.
«… e nell’ancora caldo crogiolo delle parole e delle immagini consumate dal fuoco rimane l’oro di cose più profonde, ciò che R.H. Blyth e Frederick Franck un tempo definirono "la nera fiamma della vita che arde in ogni cosa" e "vedere col ventre, non con l’occhio"; con "viscere di compassione".
«La Bibbia mente. Il Corano mente. Il Talmud e la Torah mentono. Il Nuovo Testamento mente. Il Sutta-pitaka, i nikaya, l’Itivuttaka e il Dhammapada mentono. Il Bodhisattva e Amitabha mentono. Il Libro dei morti mente. Il Tiptaka mente. Tutte le Scritture mentono… proprio come mento io, parlandovi ora.
«Tutti questi libri sacri mentono non perché vogliano mentire o perché non trovino l’espressione giusta, ma per la loro stessa natura di essere ridotti in parole; tutte le immagini, precetti, leggi, canoni, citazioni, parabole, comandamenti, koan, zazen e sermoni in questi bellissimi libri falliscono nel momento conclusivo, aggiungono solo altre parole fra l’essere umano che cerca e la percezione del Vuoto che lega.
«Terzo, diretta indicazione all’anima dell’uomo. Lo zen, che meglio capì il Vuoto trovandone con grande chiarezza l’assenza, lottò con il problema di indicare senza avere il dito, di creare quest’arte senza un mezzo, di ascoltare quel potente suono in un vuoto privo di suoni. Shili scrisse:
«Un villaggio di pescatori;
danzare sotto la luna
all’odore di pesce crudo.
«Questa, e non mi riferisco alla poesia, è l’essenza del cercare la chiave della porta del Vuoto che lega. Centomila specie in un milione di mondi in giorni morti da tempo ebbero villaggi senza case, la danza sotto la luna in mondi privi di lune, l’odore di pesce crudo in oceani privi di pesci. Tutto ciò può essere condiviso al di là del tempo, al di là dei pianeti, al di là della durata dell’esistenza umana.
«Quarto, vedere nella propria natura e il raggiungimento della natura del Buddha. Per riuscirci, non occorrono decenni di zazen né battesimo ecclesiastico né studio accurato del Corano. La natura di Buddha è, in fin dei conti, l’essenza di essere uomo, superata la prova del fuoco. I fiori raggiungono tutti la natura di fiore. Un cane selvaggio o una zigocapra cieca raggiungono la natura di cane o la natura di zigocapra. Un luogo, qualsiasi luogo, ha garantita la propria natura di luogo. Solo la specie umana lotta e fallisce nel divenire ciò che è. Le ragioni sono molteplici e complesse, ma germogliano tutte dal fatto che ci siamo evoluti come uno degli "organi che vedono se stessi" dell’universo in evoluzione. Può l’occhio vedere se stesso?»
Aenea si interrompe per un momento e nel silenzio tutti udiamo il tuono brontolare da qualche parte al di là della cresta. Il monsone ci risparmia da alcuni giorni, ma il suo arrivo è imminente. Provo a immaginare quegli edifici, montagne, creste, cavi, ponti, passerelle e impalcature, coperti di ghiaccio e ammantati di nebbia. Il pensiero mi fa rabbrividire.
«Il Buddha capì che potevamo percepire il Vuoto che lega zittendo il frastuono di ogni giorno» riprende infine Aenea. «In questo senso, il satori è un grande e soddisfacente silenzio, dopo avere ascoltato per giorni o mesi di fila il suono squillante del vicino. Ma il Vuoto che lega è più che silenzio: è l’inizio dell’ascolto. Apprendere il linguaggio dei morti è il primo compito di chi entra nell’ambiente del Vuoto.
«Gesù di Nazareth entrò nel Vuoto che lega. Lo sappiamo. La sua voce è una delle più chiare, tra quelle che parlano nel linguaggio dei morti. Rimase a sufficienza per passare al secondo livello di responsabilità e di sforzo… nell’apprendimento del linguaggio dei morti. Apprese tanto bene da udire la musica delle sfere. Fu in grado di cavalcare le agitate onde di probabilità così lontano da vedere la propria morte e fu tanto coraggioso da non evitarla quando avrebbe potuto. E noi sappiamo che, almeno in una occasione, mentre moriva sulla croce, imparò a muovere quel primo passo, a muoversi attraverso il tessuto spaziotempo del Vuoto che lega, comparendo ad amici e discepoli in vari luoghi nel futuro rispetto al momento in cui pendeva, morente, sulla croce.
«E, liberato delle restrizioni del suo tempo dalla fuggevole visione dell’assenza di tempo nel Vuoto che lega, Gesù capì di essere lui la chiave, non i suoi insegnamenti, non le Scritture basate sulle sue idee, non l’abietta adulazione nei suoi confronti e neppure il Dio, all’improvviso evolutosi, del Vecchio Testamento in cui fermamente credeva, ma proprio lui, Gesù, un umano, le cui cellule portavano il codice di decrittazione per aprire la porta. Gesù capì che l’abilità di aprire quella porta non si trovava nella sua mente o nella sua anima, ma nella sua pelle, ossa, cellule, letteralmente nel suo DNA.
«Quando, durante l’ultima cena, Gesù di Nazareth chiese ai suoi seguaci di bere il suo sangue e di mangiare il suo corpo, non parlava per parabola, non chiedeva magica transustanziazione, non poneva la base per secoli di ripetizioni simboliche. Gesù volle che bevessero del suo sangue, poche gocce in un grande boccale di vino, e che mangiassero del suo corpo, pochi frammenti di pelle in una forma di pane. Diede una parte di sé nel senso più letterale, sapendo che coloro che bevevano del suo sangue avrebbero condiviso il suo DNA e sarebbero stati in grado di percepire il potere del Vuoto che lega nell’universo.
«E così fu per alcuni dei suoi discepoli. Ma, di fronte a percezioni e impressioni molto al di là della loro capacità di comprenderle o di collegarle, resi quasi pazzi dalle incessanti voci dei morti e dalle proprie reazioni al linguaggio dei vivi, e incapaci di trasmettere ad altri la propria musica del sangue, quei discepoli passarono ai dogmi, ridussero l’inesprimibile a rozze parole e ampollosi sermoni, a ferree regole e infiammata retorica. E la visione impallidì, poi svanì. La porta si chiuse.»
Aenea si interrompe di nuovo e sorseggia un po’ d’acqua da un boccale di legno. Noto solo allora che Rachel e Theo e alcuni altri hanno le lacrime agli occhi. Senza alzarmi dal tatami, mi giro e guardo dietro di me. A. Bettik, fermo nel vano della porta, con un’espressione seria sul viso azzurro senza età, segue con grande attenzione le parole della nostra giovane amica. Con la destra si regge il moncherino del braccio sinistro. Mi domando se gli duole.
Aenea riprende a parlare. «Cosa abbastanza strana, i figli della Vecchia Terra che per primi riscoprirono la chiave per il Vuoto che lega furono le entità del TecnoNucleo. Le intelligenze autonome, impegnate nel tentativo di guidare il loro stesso destino mediante l’evoluzione spinta a velocità milioni di volte superiore a quella biologica della specie umana, trovarono il codice chiave DNA per scorgere il Vuoto, anche se "scorgere" non è la parola giusta, naturalmente. Forse "risonare" esprime meglio il senso.
«Ma quelle entità potevano percepire ed esplorare i contorni del Vuoto che lega, inviare sonde nella sua realtà multidimensionale post-Hawking, ma non potevano capirlo! Il Vuoto che lega richiede un livello di empatia senziente che il TecnoNucleo non si è mai preoccupato di sviluppare. Il primo passo verso il vero satori nel Vuoto è l’apprendimento del linguaggio degli amati defunti: e le entità del Nucleo non hanno amati defunti! Il Vuoto che lega era come un magnifico quadro per un cieco che lo brucia come legna da ardere, o come una sinfonia di Beethoven per un sordo che percepisce la vibrazione e rinforza il pavimento per smorzarla.