A mezzo chilometro dal tempio, corde fisse salivano in cima alla cresta. Ora il nevischio batteva contro la parete dello strapiombo; le corde rosse e nere erano rivestite di una patina di ghiaccio. Agganciai moschettoni alla corda e all’imbracatura, tolsi dal sacco gli ascenders a motore e li attaccai senza ricontrollare il collegamento; poi cominciai a risalire con le jumar le corde ghiacciate.
Il vento si alzò, mi sferzò il giubbotto, mi spinse lontano dalla parete rocciosa. Il nevischio mi tempestò la faccia e le mani. Non ci badai e salii, a volte scivolando indietro per tre o quattro metri, quando le ganasce delle jumar non facevano presa sulla corda ghiacciata, per poi riprendermi e arrampicarmi di nuovo. Dieci metri sotto l’affilata sommità della cresta, emersi dalle nubi come un nuotatore che venga a galla. Lassù le stelle ardevano ancora, gelide, ma la massa di nubi sempre più gonfie si ammucchiava contro la parete nord della cresta e montava come una marea biancastra intorno a me.
Feci scivolare gli ascenders più in alto e usai le jumar finché non raggiunsi la zona relativamente piatta dove erano agganciate le corde fisse. Solo allora mi accorsi di non avere agganciato la fune di sicurezza.
«Chi se ne frega» dissi e iniziai a camminare a nordest lungo la linea di displuvio larga quindici centimetri. La tempesta saliva intorno a me verso nord. Il precipizio a sud era chilometri di vuoto nero. Si erano già formate lastre di ghiaccio e cominciava a nevicare.
Mi misi a correre verso est, saltando le lastre di ghiaccio e le fessure, sbattendomene di tutto.
Mentre ero ossessionato dalla mia infelicità, altri eventi accadevano nell’universo umano. Su Hyperion, quando ero ragazzo, le notizie filtravano lentamente dalla Pax interstellare ai nostri carrozzoni in continuo movimento nelle brughiere: un avvenimento importante su Pacem o su Vettore Rinascimento o su un altro pianeta era necessariamente vecchio di molte settimane o mesi per il debito temporale, più altre settimane per il transito da Port Romance o da un’altra grande città alla nostra regione provinciale. Ero abituato a non badare agli avvenimenti accaduti altrove. Quando facevo la guida a cacciatori di altri pianeti nelle paludi e altrove, il ritardo nelle notizie era diminuito, ovviamente, ma si trattava sempre di notizie vecchie e per me di scarsa importanza. La Pax non mi incantava, anche se non potevo dire lo stesso del viaggio su altri pianeti. Poi ero rimasto in pratica isolato per quasi dieci anni: il nostro periodo sulla Vecchia Terra e la mia odissea con cinque anni di debito temporale. Non ero abituato a pensare a eventi in altri luoghi, se non quando mi toccavano da vicino, come per esempio l’ossessione della Pax per trovarci.
Ma presto il mio atteggiamento sarebbe cambiato.
Quella notte, su T’ien Shan, le Montagne del cielo, correvo come uno stupido tra il nevischio e la nebbia lungo la stretta cresta e intanto in altri luoghi accadevano alcuni eventi.
Sull’incantevole pianeta Patto-Maui, dove si potrebbe dire che circa quattro secoli fa sia iniziata con il corteggiamento tra Siri e Merin la lunga catena di eventi culminata con la presenza mia e di Aenea su T’ien Shan, infuriava la rivolta. I ribelli sulle isole mobili erano divenuti da tempo seguaci della filosofia di Aenea, avevano bevuto il vino della sua comunione, avevano rigettato per sempre la Pax e il crucimorfo e conducevano una guerra di sabotaggi e di resistenza, anche se tentavano di non ferire o uccidere i soldati della Pax che occupavano il pianeta. Patto-Maui poneva alla Pax particolari problemi perché era in primo luogo un pianeta turistico: ogni anno standard vi giungevano centinaia di migliaia di cristiani rinati, con navi a motore Hawking, per godersi i tiepidi mari, le magnifiche spiagge dell’arcipelago equatoriale, le migrazioni di delfini e di isole mobili. La Pax beneficiava anche delle centinaia di piattaforme petrolifere sparse per il pianeta in massima parte oceanico, situate fuori vista delle zone turistiche, ma vulnerabili ad attacchi lanciati dalle isole mobili o dai sommergibili dei ribelli. Ora molti turisti Pax avevano inspiegabilmente iniziato a rigettare il crucimorfo e divenivano seguaci degli insegnamenti di Aenea. Rinunciavano all’immortalità. Il governatore planetario, l’arcivescovo residente e i funzionari del Vaticano chiamati a risolvere la crisi non riuscivano a capirne le cause.
Sul gelido Sol Draconis Septem, dove la maggior parte dell’atmosfera era congelata in un unico imponente ghiacciaio, non c’erano turisti; ma il tentativo della Pax di colonizzare il pianeta negli ultimi dieci anni si era trasformato in incubo.
I gentili Chitchatuk con cui Aenea, A. Bettik e io avevamo fatto amicizia una decina di anni prima, erano diventati implacabili nemici della Pax. Il grattacielo sepolto nell’aria ghiacciata, dove padre Glauco accoglieva tutti i viaggiatori, prima di essere assassinato da Rhadamanth Nemes, risplendeva ancora di luce. I Chitchatuk mantenevano illuminato quel grattacielo come se fosse un luogo sacro. Chissà come, sapevano chi era responsabile della morte dell’inoffensivo prete cieco e della tribù di Cuchiat… Cuchiat, Chiaku, Aichacut, Cuchtu, Chithicia, Chatchia, tutte persone che Aenea, A. Bettik e io avevamo conosciuto. Davano la colpa alla Pax che tentava di colonizzare le fasce temperate lungo l’equatore, dove l’aria era gassosa e il grande ghiacciaio si scioglieva nell’antico permagelo.
Ma i Chitchatuk non conoscevano la comunione di Aenea e non ne avevano provato l’empatia, perciò calavano sulla Pax come una piaga biblica. Avvezzi da millenni a cacciare i terribili spettri delle nevi e a esserne vittime, ora spingevano verso le regioni equatoriali quelle bianche belve rintanate in cunicoli nel ghiaccio e le scatenavano contro i coloni della Pax e i missionari. Il costo in vite umane era spaventoso. Unità militari della Pax, chiamate per uccidere i primitivi Chitchatuk, mandarono pattuglie sul ghiacciaio e nei tunnel, ma non le rividero mai più.
Sul pianeta-città Vettore Rinascimento, la parola di Aenea si era diffusa tra milioni di seguaci. Ogni giorno migliaia di fedeli della Pax prendevano la comunione da quelli già cambiati (il crucimorfo moriva e si staccava in meno di ventiquattro ore) e sacrificavano l’immortalità per… che cosa? La Pax e il Vaticano non capivano e a quel tempo nemmeno io capivo.
Ma la Pax sapeva di dover contenere il virus. Soldati spalancavano a calci le porte e fracassavano finestre per entrare nelle case, giorno e notte, in genere nei quartieri più poveri, veteroindustrializzati, della città estesa sull’intero pianeta. Chi aveva rigettato il crucimorfo non opponeva grande resistenza: lottava con durezza, ma evitava di uccidere, se solo ce n’era il modo. I soldati della Pax non si facevano scrupolo di uccidere pur di eseguire gli ordini. Migliaia di seguaci di Aenea morirono della vera morte, ex immortali che non sarebbero mai più risuscitati, e decine di migliaia furono catturati, inviati in centri di detenzione e sistemati in celle di crio-fuga in modo che il loro sangue e la loro filosofia non contaminassero altri. Ma per ogni singolo seguace di Aenea ucciso o arrestato, decine — centinaia — rimanevano nascosti al sicuro e trasmettevano gli insegnamenti di Aenea, offrivano la comunione del proprio sangue mutato e a ogni occasione facevano resistenza in gran parte non violenta. La grande macchina di Vettore Rinascimento non si era ancora rotta, ma perdeva colpi e si inceppava in un modo mai visto da quando l’Egemonia aveva fatto di quel pianeta il centro industriale della Rete dei Mondi.
Il Vaticano inviò altre truppe e discusse sui passi da compiere.
Su Tau Ceti Centro, un tempo il punto focale politico della Rete dei Mondi, ma ora un semplice, popoloso e popolare pianeta giardino, la ribellione assunse una forma diversa. Visitatori di altri pianeti vi avevano portato il contagio anticrucimorfo, ma il problema principale del Vaticano riguardava l’arcivescovo Achilia Silvaski, una donna intrigante che più di due secoli prima aveva assunto il ruolo di governatore e di autocrate di Tau Ceti Centro. Era stata lei a tentare di far fallire la rielezione del papa, mediante intrighi fra i cardinali; e ora, dopo l’insuccesso, aveva semplicemente inscenato la propria versione della Riforma pre-Egira, annunciando che la Chiesa cattolica su Tau Ceti Centro avrebbe d’ora in avanti riconosciuto lei come pontefice e si sarebbe separata per sempre dalla "corrotta" Chiesa interstellare della Pax. Avendo prudentemente stabilito un’alleanza con i vescovi locali incaricati delle cerimonie e dei macchinari per la risurrezione, poteva controllare quel sacramento e di conseguenza la Chiesa locale. Cosa ancora più importante, aveva corteggiato le locali autorità militari della Pax offrendo terre, ricchezze e potere, e aveva provocato un evento senza precedenti: un colpo di mano che aveva deposto quasi tutti gli ufficiali anziani dell’esercito e della flotta della Pax nel sistema di Tau Ceti, sostituendoli con fautori della Nuova Chiesa. Non furono catturate navi classe Arcangelo, ma diciotto incrociatori e quarantuno navi torcia si misero alla difesa della Nuova Chiesa e del suo nuovo pontefice.