Выбрать главу

Il messaggio era breve. «Ho fatto accelerare la Raguele per un balzo planetario appena dentro il pozzo gravitazionale di T’ien Shan» diceva l’ammiraglio Lempriere. Il suo viso affilato aveva un’espressione molto seria.

Wolmak aprì bocca per protestare contro la decisione del suo superiore, si rese conto che la protesta sarebbe arrivata circa tre minuti dopo il balzo Hawking e rimase in silenzio. Un balzo planetario di quel genere era maledettamente pericoloso, come minimo una probabilità su quattro di un disastro che avrebbe coinvolto tutto l’equipaggio, ma Wolmak capiva l’esigenza dell’ammiraglio di trovarsi dove le informazioni fossero attuali e i suoi ordini potessero essere eseguiti immediatamente.

«Signore Iddio» pensò. «Il Grande Inquisitore è ferito e moribondo; l’arcivescovo e gli altri sono scomparsi; il fottuto palazzo del Dalai Lama somiglia a un formicaio preso a calci. Maledetto Shrike! Dov’è il corriere papale con gli ordini? Dov’è la nave del Nucleo che ci era stata promessa? Peggio di così non può andare!»

«Capitano?» Era il capo medico del gruppo operativo di marines e chiamava dall’infermeria della navetta.

«Rapporto.»

«Il cardinale Mustafa ha ripreso conoscenza, signore… è sempre cieco, certo… e soffre orribilmente, ma…»

«Passamelo!»

Un orribile viso sfigurato riempì la sfera olografica. Il capitano Wolmak intuì che altri, sul ponte di comando, si ritraevano inorriditi.

Il Grande Inquisitore era ancora tutto insanguinato. Urlava di dolore e mostrava denti rossi di sangue. Le sue orbite erano slabbrate e vuote, a parte filamenti di tessuto lacerato e rivoletti di sangue.

Sulle prime il capitano Wolmak non riuscì a capire che cosa urlasse il cardinale. Ma alla fine capì l’unica parola che il Grande Inquisitore continuava a ripetere.

«Nemes! Nemes! Nemes!»

Le tre creature chiamate Nemes, Scilla e Briareo continuano verso est.

Rimangono in fase tempo rapido, incuranti delle fantastiche quantità di energia che così consumano. L’energia arriva loro da altre parti. Non devono preoccuparsi. Tutta la loro esistenza ha portato a questo momento.

Dopo l’interludio atemporale di massacro sotto la Pargo Kaling, la Porta di Ponente, Nemes precede gli altri due su per la torre e lungo i grandi cavi metallici che sostengono il ponte sospeso. Attraversano a passo svelto il mercato Drepung: tre mobili figure che si muovono nell’aria rappresa come ambra e oltrepassano sagome umane impietrite sul posto. Nel mercato Phari, guardando le migliaia di statue umane che comprano, curiosano, ridono, discutono, si spintonano, Nemes sorride: potrebbe decapitarle tutte e loro non avrebbero nessun preavviso della propria morte. Ma ha un obiettivo.

Al raccordo della funivia della cresta Phari, i tre tornano in tempo lento: altrimenti la frizione sul cavo sarebbe un guaio.

"Scilla, la via Alta settentrionale" trasmette Nemes sulla banda comune. "Briareo, il ponte di mezzo. Io prendo la funivia."

I due cloni annuiscono, brillano di luce tremula e scompaiono. L’addetto alla funivia si fa avanti per protestare con Nemes che scavalca la fila di persone in attesa. È un momento di grande traffico.

Rhadamanth Nemes afferra l’addetto alla funivia e lo scaraventa giù dalla piattaforma. Varie persone infuriate avanzano su di lei, gridando, decise a fare vendetta.

Nemes salta dalla piattaforma e afferra il cavo. Non ha carrucola, freni, imbracatura da scalata. Muta di fase solo la palma delle mani e si lancia a tutta velocità verso la cresta K’un Lun. Gli inseguitori inferociti — dieci, venti, anche di più — si agganciano al cavo e le danno la caccia. L’addetto alla funivia aveva molti amici.

Nemes impiega metà del tempo normale a scavalcare il grande abisso tra Phari e la cresta K’un Lun. Frena malamente per accostare, muta di fase all’ultimo momento e va a sbattere contro la roccia. Si tira fuori dall’incavatura sbriciolata sulla parete dello strapiombo alla base della cornice d’atterraggio e torna al cavo.

Con un gemere di carrucole i primi inseguitori percorrono gli ultimi metri. Altri compaiono all’orizzonte, perle nere su un filo sottile. Nemes sorride, muta di fase le mani, le alza e recide il cavo.

Nota con sorpresa quanto siano pochi, fra quegli uomini e donne condannati, quelli che urlano mentre scivolano lungo il cavo che frusta l’aria e precipitano incontro alla morte.

Nemes va alle corde fisse, si arrampica a mani nude e poi taglia tutto: funi di salita, funi per la corda doppia, funi di sicurezza. Cinque agenti armati del distretto di polizia di K’un Lun, giunti da Hsi wang-mu, la affrontano sulla cresta appena a sud della funivia. Nemes muta di fase solo il braccio sinistro e li spazza via sbattendoli nel vuoto.

Si volge a nordovest, regola la visione a infrarossi e telescopica, inquadra il grande ponte oscillante di bambù bonsai che congiunge i promontori della via Alta fra la cresta Phari e la cresta K’un Lun. Il ponte crolla sotto i suoi occhi: le assi, le funi e i cavi di sostegno frustano l’aria mentre cadono contro la linea di cresta occidentale e l’estremità del ponte si inabissa nelle nubi di fosgene.

"Fatto" trasmette Briareo.

"Quanti erano sul ponte?" domanda Nemes.

"Parecchi." Briareo chiude la trasmissione.

Un attimo dopo, Scilla si collega. "Ponte nord crollato. Distruggo la via Alta man mano che procedo."

"Bene" dice Nemes. "Ci vediamo a Jo-kung."

Mentre attraversano la città-forra Jo-kung, i tre passano in tempo lento. Cade una pioggerella, le nuvole sono dense come nebbia estiva. Nemes ha i capelli incollati alla fronte e nota che Scilla e Briareo hanno il suo stesso aspetto. La gente si apre davanti a loro. La cornice che porta al Tempio a mezz’aria è deserta.

Con Nemes in testa alla fila, si avvicinano all’ultimo, breve ponte sospeso prima della cornice sotto la scalinata del tempio. Quello è stato il primo manufatto riparato da Aenea, una semplice campata oscillante di venti metri sopra una stretta fenditura tra guglie di dolomite, un migliaio di metri più in alto dei dirupi inferiori e delle prime nubi. Ora la nuvolaglia monsonica si gonfia sotto la struttura gocciolante e tutt’intorno.

Sulla cornice dello strapiombo, dall’altra parte del ponte, tra la fitta nuvolaglia, c’è qualcosa. Nemes passa al visore termico e sorride nel vedere che l’alta sagoma non irradia il minimo calore. Con un impulso radar emesso dalla fronte colpisce l’immagine e la studia: tre metri di statura, spine, dita a lama in quattro mani più grosse del normale, un carapace che riflette perfettamente gli impulsi radar, lame aguzze sul petto e sulla fronte, niente respirazione, lame taglienti che sporgono dalle spalle e chiodi dalla fronte.

"Perfetto" trasmette Nemes.

"Perfetto" concordano Scilla e Briareo.

La figura dall’altra parte del ponte non dice niente.

Arrivammo alla montagna appena in tempo, con solo qualche metro di buono. Usciti dai margini inferiori della corrente a getto, perdemmo quota in maniera continua e irreversibile. Sopra l’oceano di nuvole c’erano poche termali e molte correnti d’aria fredda; superammo la prima metà dei cento chilometri in pochi minuti di eccitante accelerazione, ma la seconda metà fu una discesa da fermare il cuore, a volte sicuri che ce l’avremmo fatta con buon margine, a volte convinti che saremmo precipitati nelle nuvole e non avremmo neppure visto la morte salire a circondarci finché gli alianti non avessero colpito il mare di acido.

Scendemmo davvero nelle nuvole, ma erano nuvole monsoniche, nuvole di vapore acqueo, nuvole respirabili. Volavamo il più possibile in gruppo, delta azzurro, delta giallo, delta verde che quasi si sfioravano con l’intelaiatura metallica e il tessuto dell’ala, più timorosi di perderci e di morire in solitudine che di urtarci e di precipitare insieme.

Durante quella discesa piena di apprensione, Aenea e io ci parlammo solo una volta. La nebbia si era infittita; scorgevo a stento l’ala gialla alla mia sinistra e pensavo: "Ha avuto un figlio… ha sposato un altro… ha amato un altro…" quando udii la sua voce nell’auricolare della tuta.