"Non è il tuo momento, Raul."
"Perché no?" Sentivo di nuovo, sotto la superficie, l’ira e la frustrazione mescolate alla torbida corrente d’amore che provavo per quella donna.
"Conosci i quattro passi di cui parlo…" cominciò Aenea.
"Apprendere il linguaggio dei morti, apprendere il linguaggio dei vivi… sì, sì, conosco i quattro passi" dissi, quasi con sufficienza, posando il piede vero su un vero gradino di solido marmo e muovendo stancamente un altro passo sull’infinita scalinata.
Aenea sorrise al mio tono. "Quelle cose tendono a… preoccupare la persona che le incontra per la prima volta" disse piano. "Al momento mi occorre la tua piena attenzione. Mi occorre il tuo aiuto!"
Questo aveva senso. Allungai la mano e le toccai la schiena sotto il giubbotto termico e la dermotuta. A. Bettik ci guardò e annuì come per approvare il nostro contatto. Ricordai a me stesso che non poteva avere ascoltato ciò che ci eravamo detti.
"Aenea, sei il nuovo messia?"
Lei sospirò. "No, Raul, non ho mai detto di essere un messia. Non ho mai voluto essere un messia. Al momento sono solo una donna stanca… ho mal di testa… e crampi… è il primo giorno del mio ciclo…"
Battei le palpebre per la sorpresa. "Be’, che diavolo" pensai "non accade tutti i giorni di confrontare il messia solo per sentirsi dire che ha ciò che gli antichi chiamavano ’le sue cose’."
Aenea si accorse del mio stupore e ridacchiò. "Non sono il messia, Raul. Sono stata semplicemente scelta per essere Colei che insegna. E cerco di insegnare, mentre… mentre posso."
Qualcosa, nella sua ultima frase, mi fece annodare lo stomaco per l’ansia. "E va bene" dissi. Terminammo altri trecento gradini e ci fermammo insieme, respirando ora più faticosamente. Guardai in alto. Non si vedeva ancora la Porta Celeste meridionale. Era mezzogiorno, ma il cielo aveva il colore nero dello spazio. Ardevano migliaia di stelle. Palpitavano appena. Mi resi conto che il sibilo e il rombo della corrente a getto erano scomparsi. Il T’ai Shan era il picco più alto di T’ien Shan, raggiungeva le frange più alte dell’atmosfera. Non fosse stato per le dermotute, gli occhi e le orecchie e i polmoni ci sarebbero esplosi come palloncini troppo gonfi. Il sangue sarebbe bollito. Il…
Cercai di pensare ad altro.
"D’accordo" dissi. "Ma se tu fossi davvero il messia, quale sarebbe il tuo messaggio alla specie umana?"
Aenea ridacchiò di nuovo, ma col tono di chi riflette, non di chi prende in giro. "Se fossi tu un messia" replicò tra un ansito e l’altro "quale sarebbe il tuo messaggio?"
Risi forte. A. Bettik non poteva avere udito il suono, nel quasi vuoto che ci divideva, ma di sicuro mi vide gettare indietro la testa, perché mi lanciò un’occhiata interrogativa. Lo tranquillizzai con un gesto e risposi a Aenea. "Non ne ho la minima idea."
"Appunto" disse lei. "Da bambina… da bambina piccola, cioè, prima di incontrarti… sapevo che mi sarebbe toccato di sopportare alcuni fardelli… e mi domandavo sempre quale messaggio avrei dato alla specie umana. Oltre alle cose che sapevo di dover insegnare, cioè. Un messaggio profondo. Una sorta di discorso della montagna."
Mi guardai intorno. A quella terribile altitudine non c’era ghiaccio né neve. I gradini bianchi e sgombri salivano tra ripiani di roccia nera e ripida. "Be’" dissi "la montagna c’è."
"Già." Nel suo tono sentii di nuovo la stanchezza.
"Allora, quale messaggio hai escogitato?" domandai, più per farla parlare e per distrarla che per ascoltare la risposta. Da un po’ di tempo non ci eravamo limitati a chiacchierare.
Vidi che sorrideva. "Ho continuato a lavorarci" disse infine Aenea. "Volevo renderlo breve e importante come il discorso della montagna. Poi ho capito che era tempo sprecato — come per zio Martin nel suo periodo di smania poetica, quando tentava di superare Shakespeare — così ho deciso che il mio messaggio sarebbe stato solo breve."
"Quanto breve?"
"Lo ridussi a trentacinque parole. Troppo lungo. Poi a ventisette. Ancora troppo lungo. In alcuni anni lo ridussi a dieci. Ancora troppo lungo. Alla fine lo fissai in due parole."
"Due parole? Quali?"
Eravamo arrivati al posto di riposo seguente, il diciassettesimo o diciottesimo gruppo di trecento gradini. Ci fermammo con sollievo e restammo ad ansimare. Mi chinai, posai le mani rivestite di dermotuta sulle ginocchia rivestite di dermotuta e mi concentrai per non vomitare. Non è educato, vomitare in una maschera osmotica. "Quali?" ripetei, quando ripresi un po’ di fiato e fui in grado di udire qualcosa di diverso dal forte battito del cuore e dal sibilo dei polmoni.
"Scegli ancora" disse Aenea.
Per un istante, tra sibili e ansiti, meditai su quelle parole. "Scegli ancora?" ripetei infine.
Aenea sorrise. Aveva ripreso fiato e guardava davvero lo scenario verticale, mentre io non osavo nemmeno girare la testa da quella parte. Pareva apprezzare lo spettacolo. Mi venne voglia di gettarla giù dalla montagna. I giovani. A volte sono insopportabili.
"Scegli ancora" disse con fermezza Aenea.
"Ti dispiace chiarire?"
"No. Il concetto è tutto qui. Mantienilo semplice. Fammi un esempio e capirai."
"Religione."
"Scegli ancora" disse Aenea.
Mi misi a ridere.
"Non è uno scherzo, Raul" disse Aenea. Riprendemmo la salita. A. Bettik pareva immerso nei suoi pensieri.
"Lo so, ragazzina" replicai, anche se non ne ero sicuro. "Esempi? Sistemi politici."
"Scegli ancora."
"Non credi che la Pax sia l’evoluzione finale della società umana? Ha portato la pace interstellare, un governo decente e… oh, sì… l’immortalità ai suoi cittadini."
"È tempo di scegliere ancora" disse Aenea. "E… a proposito delle nostre idee di evoluzione…"
"Ebbene?"
"Scegli ancora."
"Scelgo ancora cosa? La direzione dell’evoluzione?"
"No, si tratta di accertare se essa abbia o no una direzione. Ci sono molte teorie evolutive."
"Insomma, sei d’accordo o no con papa Teilhard, il pellegrino su Hyperion, padre Duré, quando diceva tre secoli fa che Teilhard de Chardin aveva ragione, che l’universo si evolve verso la consapevolezza e la congiunzione con la divinità? Ciò che chiamava il punto omega?"
Aenea mi guardò. "Hai letto molto nella biblioteca di Taliesin, vero?"
"Sì."
"No, non sono d’accordo con Teilhard, sia l’antico gesuita sia il papa dal breve pontificato. Sai, mia madre conobbe sia padre Duré sia l’attuale simulatore, padre Hoyt."
Rimasi un po’ sorpreso. Sì, certo, mi pareva di saperlo, ma il riaffacciarsi di questa realtà — i collegamenti della mia amica nell’arco degli ultimi tre secoli — mi sconvolgeva un poco.
"Comunque" continuò Aenea "nel corso dell’ultimo millennio la scienza dell’evoluzione ha preso davvero una bella fregatura. Prima il Nucleo si oppose attivamente all’indagine in quel campo, per paura di una rapida ingegneria genetica progettata dall’uomo, un’esplosione della nostra specie in forme varianti sulle quali il Nucleo non avrebbe potuto esercitare il proprio parassitismo. Poi l’Egemonia trascurò per secoli l’evoluzione e le bioscienze a causa della pressione del Nucleo. E ora la Pax ne è atterrita."
"Perché?"
"Perché la Pax ha terrore delle ricerche biologiche e genetiche?"
"No, questo credo di capirlo da solo. Le entità del Nucleo vogliono mantenere gli esseri umani nella forma e nella struttura con cui sono a loro agio e così fa la Chiesa. La loro definizione di creatura umana si basa in gran parte sul conteggio di braccia, gambe eccetera. Voglio dire invece: perché ridefinire l’evoluzione? Perché aprire il dibattito sulla direzione o la non direzione e così via? L’antica teoria non funziona abbastanza bene?"