Martin Sileno scrutò il cielo sopra la torre aperta. Il soffitto di tela del piano più alto della torre di pietra era stato arrotolato. Cielo turchese scuro. La bassa luce del primo mattino o della sera avanzata. Lo scintillio e il tremolio di ragnatelidi radianti che ancora non avevano acceso le loro fragili ali da farfalla larghe mezzo metro.
«Stagione?» domandò stentatamente Sileno.
«Tarda primavera» rispose l’androide. Altri servitori dalla pelle azzurra si muovevano dentro e fuori della stanza circolare, impegnati in chissà quali incarichi. Solo A. Raddik controllava gli ultimi stadi della ripresa dalla crio-fuga del vecchio poeta.
«Da quanto tempo se ne sono andati?» domandò Sileno. Non aveva bisogno di precisare a chi si riferiva. A. Raddik sapeva che il vecchio poeta si riferiva non solo a Raul Endymion, l’ultimo visitatore della loro città universitaria abbandonata, ma anche alla bambina Aenea, che Sileno aveva conosciuto tre secoli prima e che ancora sperava di rivedere un giorno o l’altro.
«Nove anni, otto mesi, una settimana e un giorno» rispose. «Tutti terrestri standard, ovviamente.»
«Hggrhh» grugnì il vecchio poeta. Continuò a scrutare il cielo. La luce del sole, filtrata dal telone a est, colpiva la parete sud della torre di pietra; il vecchio poeta non ne era colpito, ma aveva le lacrime agli occhi per la luminosità. «Sono diventato una creatura delle tenebre» brontolò. «Come Dracula. Ogni pochi anni mi alzo dalla fottuta bara per controllare il mondo dei viventi.»
«Sì, signor Sileno» convenne A. Raddik, cambiando posizione a varie manopole sul pannello di comando.
«Chiudi il becco, puttanaccia» disse il vecchio poeta.
«Sì, signor Sileno.»
Il vecchio gemette. «Fra quanto posso mettermi sulla sedia a cuscino d’aria, Raddik?»
La glabra androide sporse le labbra. «Ancora due giorni, signor Sileno. Forse due e mezzo.»
«Ah, inferno e dannazione» borbottò Martin Sileno. «Il ricupero diventa ogni volta più lento. Uno di questi giorni non mi sveglierò proprio, il macchinario di crio-fuga non mi riporterà indietro.»
«Sì, signor Sileno» convenne l’androide. «Ogni sonno freddo è più gravoso per il suo sistema. L’apparecchiatura di rianimazione e di supporto vita è piuttosto vecchia. Lei non sopravviverà a molti altri risvegli, è vero.»
«Oh, sta’ zitta» ringhiò Martin Sileno. «Sei una vecchia puttana morbosa e deprimente.»
«Sì, signor Sileno.»
«Da quanto tempo sei con me, Raddik?»
«Duecentoquaratuno anni, undici mesi, diciannove giorni. Standard.»
«E non hai ancora imparato a preparare una tazza di caffè decente.»
«No, signor Sileno.»
«Però hai messo il bricco sul fornello, giusto?»
«Sì, signor Sileno. Secondo i vostri ordini permanenti.»
«Sì, merda» disse il poeta.
«Ma per almeno altre dodici ore, signor Sileno, lei non riuscirà ad assumere oralmente liquidi.»
«Arrrggghhh!» disse il poeta.
«Sì, signor Sileno.»
Dopo parecchi minuti in cui parve che fosse scivolato di nuovo nel sonno, Martin Sileno disse: «Notizie dal ragazzo o dalla bambina?»
«No, signore» rispose A. Raddik. «Ma naturalmente al giorno d’oggi abbiamo accesso solo alla rete di trasmissioni della Pax nell’ambito del nostro sistema solare. E la maggior parte dei loro nuovi cifrari è molto buona.»
«Voci su quei due?»
«Nessuna di cui siamo sicuri, signor Sileno. La situazione è molto agitata, per la Pax — ribellioni in molti sistemi solari, guai con la crociata contro gli Ouster, un continuo movimento di navi da guerra entro i confini della Pax — e poi si parla del contagio virale, con massima circospezione e segretezza.»
«Il contagio» ripeté Martin Sileno e sorrise, mostrando gengive anziché denti. «La bambina, direi.»
«Possibilissimo, signor Sileno» disse A. Raddik. «Ma è anche possibile che ci sia una pestilenza virale vera e propria su quei pianeti dove…»
«No» disse il poeta, scuotendo la testa quasi violentemente. «È Aenea. E i suoi insegnamenti. Che si diffondono come l’influenza Beijing. Tu non ricordi la Beijing, vero, Raddik?»
«No, signore» disse l’androide, terminando il controllo dei dati e spostando sull’automatico il modulo. «Si verificò prima del mio tempo. Fu prima del tempo di chiunque. Tranne il suo, signore.»
Normalmente il poeta avrebbe reagito con qualche esclamazione oscena, ma stavolta si limitò ad annuire. «Lo so. Sono uno scherzo di natura. Paga il tuo quarto di dollaro e vieni a vedere l’attrazione, guarda l’uomo più vecchio della galassia, guarda la mummia che cammina e parla, più o meno, guarda la disgustosa creatura che si rifiuta di morire! Sono bizzarro, vero, A. Raddik?»
«Sì, signor Sileno.»
Il poeta borbottò qualcosa. «Be’» disse poi «non sperarci troppo, fata turchina. Non schiatterò prima di avere avuto notizie di Raul e di Aenea. Devo terminare i Canti e non conosco la fine, finché loro non l’avranno creata per me. Come so ciò che penso, finché non vedo ciò che fanno?»
«Precisamente, signor Sileno.»
«Smettila di darmela sempre vinta, fata turchina.»
«Sì, signor Sileno.»
«Quasi dieci anni fa, il ragazzo, Raul, mi domandò quali erano i suoi ordini. Gli dissi: salva la bambina, Aenea, rovescia la Pax, distruggi il potere della Chiesa, e riporta la Terra dov’è sempre stata, in qualsiasi fottuto posto sia finita. Disse che l’avrebbe fatto. A quel tempo, certo, era sbronzo marcio come me.»
«Sì, signor Sileno.»
«Ebbene?» disse il poeta.
«Ebbene cosa, signore?»
«C’è segno che abbia fatto davvero una delle cose che promise, Raddik?»
«Sappiamo dalle trasmissioni della Pax di nove anni e otto mesi fa che lui e la nave del console fuggirono da Hyperion» disse l’androide. «Possiamo augurarci che la bambina Aenea sia tuttora in buone condizioni.»
«Sì, sì» borbottò Sileno, agitando debolmente la mano. «Ma la Pax è stata rovesciata?»
«Non che ci risulti, signor Sileno» disse A. Raddik. «Ci sono stati quei piccoli guai di cui ho appena parlato e qui su Hyperion il turismo di cristiani rinati di altri pianeti è un po’ in crisi, ma…»
«E la fottuta Chiesa è ancora nel traffico di zombi?» domandò il poeta. La sua flebile voce era un po’ più forte.
«La Chiesa rimane dominante» disse A. Raddik. «Ogni anno un numero sempre maggiore di gente della brughiera e della montagna accetta il crucimorfo.»
«’fanculo tutti» disse il poeta. «E immagino che la Terra non sia tornata al suo posto.»
«Non abbiamo avuto notizia di quell’improbabile avvenimento» disse A. Raddik. «Naturalmente, come ho già detto, in questi giorni il nostro origliare elettronico è limitato alle trasmissioni planetarie; inoltre, da quando la nave del console è partita con il signor Endymion e la signorina Aenea, quasi dieci anni fa, le nostre capacità di decrittazione non sono state…»
«D’accordo, d’accordo» disse il poeta. Parve di nuovo terribilmente stanco. «Mettimi nella sedia a cuscino d’aria.
«Non ancora, per due giorni almeno, purtroppo» ripeté l’androide, in tono gentile.
«Piscia su per una corda» disse l’anziana figura sospesa fra tubicini e cavetti sensori. «Puoi spingermi fino alla finestra, Raddik? Per favore. Voglio guardare gli alberi chalma in primavera e le rovine di questa vecchia città.»
«Sì, signor Sileno» disse l’androide, sinceramente compiaciuta di fare qualcosa per il vecchio, oltre a tenergli funzionante il corpo.
Martin Sileno guardò dalla finestra per un’ora buona, lottando contro le ondate di sofferenza dovuta al risveglio e il terribile impulso di tornare in crio-fuga. Era mattino. Gli impianti audio gli trasmettevano il canto degli uccelli. Il vecchio poeta pensò alla giovane nipote adottiva, la bambina che aveva scelto per sé il nome Aenea, pensò alla cara amica Brawne Lamia, madre di Aenea, al lungo periodo in cui erano stati nemici e si erano odiati per una parte dell’ultimo grande pellegrinaggio allo Shrike, tanto tempo prima, alle storie che si erano raccontati e alle cose che avevano visto, lo Shrike nella valle delle Tombe del Tempo e i suoi occhi rossi e ardenti, lo studioso… come si chiamava?… Sol… Sol e la sua figlioletta in fasce che invecchiava a ritroso verso la non esistenza, e il militare, Kassad si chiamava, colonnello Kassad. Il vecchio poeta non aveva mai avuto considerazione per i militari, idioti tutti quanti, ma Kassad gli aveva raccontato una storia interessante, aveva vissuto una vita interessante, l’altro prete, Lenar Hoyt, era stato un presuntuoso e un cazzone, ma il primo, quello con gli occhi tristi e il diario rilegato in pelle, Paul Duré, ecco un uomo su cui valeva la pena scrivere…