Il prete capitano ritrasse in una smorfia le labbra annerite. «Volentieri…» gracchiò «ma non posso… una volta accettato… crucimorfo… non si può… rinunciare…»
«Sì, si può» bisbigliò Aenea. «Se lei vuole, posso farlo sparire. Il nostro robochirurgo è vecchio. Non riuscirebbe a guarirla con il corpo infestato dal parassita. A bordo non abbiamo una culla di risurrezione…»
Allora de Soya allungò la mano verso di lei, con le due dita restanti le afferrò strettamente la manica del giubbotto termico. «Non importa… non importa se muoio… toglimelo. Toglimelo! Morirò da vero… cattolico… di nuovo… se puoi… aiutarmi… toglimelo!» Quasi gridò l’ultima parola.
Aenea si rivolse al sergente. «Ha una tazza o un bicchiere?»
«C’è la tazza del medikit» borbottò il gigante, cercandola. «Ma non abbiamo acqua…»
«Io ne ho un poco» disse la mia amica. Sganciò dalla cintura la borraccia con rivestimento isolante.
Mi aspettavo il vino, invece era solo l’acqua che avevamo messo nella borraccia prima di lasciare il Tempio a mezz’aria, un’infinità di ore fa. Aenea non si preoccupò di cercare tamponi disinfettanti o bisturi sterilizzati; mi chiamò vicino a lei, mi tolse dal cinturone il coltello da caccia e si passò la lama su tre polpastrelli, con un rapido movimento che mi fece accapponare la pelle. Il suo sangue fluì, rosso. Aenea tuffò le dita nella tazza di plastica trasparente, solo per un attimo, ma bastò a provocare nell’acqua filiformi volute scarlatte.
«Beva» disse al padre capitano de Soya, aiutandolo a sollevare la testa.
Il prete capitano bevve, tossì, bevve ancora. Quando Aenea gli depose la testa sul cuscino macchiato, chiuse gli occhi.
«In ventiquattro ore il crucimorfo sarà scomparso» mormorò Aenea.
Il padre capitano de Soya ripeté quel rauco verso simile a una risata chioccia. «Fra un’ora sarò morto.»
«Fra quindici minuti sarà nel robochirurgo» disse Aenea, toccandogli la mano meno ustionata. «Ora dorma, ma non mi muoia, Federico… non mi muoia. Abbiamo molto da dirci. E lei ha un grande servizio da compiere per me… per noi.»
Il sergente Gregorius si era avvicinato. «Signorina Aenea…» disse. Si interruppe, strusciò i piedi, riprovò. «Signorina Aenea, posso prendere un po’ di quella… acqua?»
Aenea lo guardò. «Sì, sergente… ma quando avrà bevuto, non potrà mai più portare un crucimorfo. Mai più. Niente risurrezione. E poi ci sono… effetti collaterali.»
Gregorius scacciò con un gesto ogni obiezione. «Per dieci anni ho seguito il mio capitano. Lo seguirò anche adesso.» Bevve un lungo sorso di acqua rosata di sangue.
De Soya aveva gli occhi chiusi. Pensavo che si fosse addormentato o che fosse svenuto per il dolore. Ma ora li aprì e disse a Gregorius: «Sergente, ti spiace portare al signor Endymion il pacco che abbiamo tolto dalla scialuppa?»
«Subito, capitano» disse il sergente. Frugò nel mucchio di detriti in un angolo della stanzetta e mi porse un tubo sigillato, lungo poco più di un metro.
Guardai il prete capitano. De Soya pareva galleggiare fra il delirio e lo shock. «Lo aprirò quando il capitano starà meglio» dissi al sergente.»
Gregorius annuì, prese la tazza, si accostò a Carel Shan e versò un po’ d’acqua nella bocca aperta dell’ufficiale privo di conoscenza. «Carel potrebbe morire prima dell’arrivo della vostra nave» disse. Alzò gli occhi. «O a bordo ci sono due medibox?»
«No» disse Aenea. «Ma il nostro ha tre scomparti. Potrà curare anche lei.»
Gregorius scrollò le spalle. Si avvicinò all’uomo col braccio rotto, Liebler, e gli offrì la tazza. L’uomo si limitò a fissarlo.
«Forse più tardi» disse Aenea.
Gregorius annuì e le restituì la tazza. «Il comandante in seconda era prigioniero sulla nostra nave» disse. «Una spia. Un nemico del capitano. Tuttavia il padre capitano ha rischiato la vita per tirarlo fuori della cella, si è ustionato per salvarlo. Non credo che Hoag capisca che cosa è accaduto.»
Allora Liebler alzò gli occhi. «Lo capisco» disse a voce bassa. «Solo, non lo capisco.»
Aenea si alzò. «Raul, mi auguro che tu abbia ancora il trasmettitore.»
Mi frugai nelle tasche e lo trovai subito. «Vado fuori e comunico a vista» dissi. «Userò lo spinotto della dermotuta. Ordini per la nave?»
«Fare presto» disse Aenea.
Non fu facile portare nella nave il padre capitano de Soya, quasi privo di conoscenza, e Carel Shan, svenuto. I due non avevano la tuta spaziale e all’esterno c’era in pratica il vuoto. Il sergente Gregorius ci disse di avere usato un pallone di trasferimento gonfiabile per trascinarli dal relitto della scialuppa al Tempio dell’Imperatore di Giada, ma il pallone era rimasto danneggiato. Avevo circa quindici minuti per riflettere sul problema. Quando comparve la nave, che scendeva sui repulsori EM e sulla coda di azzurre fiamme di fusione, le ordinai di atterrare proprio davanti alla camera stagna del tempio, di morfizzare la rampa elevatrice fino al portello stagno e di estendere il campo di contenimento intorno al portello e alla scala. Poi fu solo questione di prendere dal reparto infermeria le barelle a levitazione e disporvi i due uomini senza far loro troppo male. Shan rimase privo di conoscenza, ma la pelle di de Soya si squamava, mentre lo spostavano sulla barella. Il prete capitano si agitò e aprì gli occhi, ma non emise lamento.
Dopo mesi trascorsi su T’ien Shan, trovavo ancora familiare l’interno della nave del console, ma familiare come un sogno ricorrente che si ha di una casa dove si è vissuti molto tempo prima. Dopo avere messo nel robochirurgo de Soya e l’ufficiale dei sistemi di fuoco, provai uno strano effetto a stare sul tappeto del ponte del pozzetto olografico, con l’antico pianoforte Steinway, in compagnia di Aenea e di A. Bettik come sempre, ma anche di un gigante ustionato che reggeva ancora il fucile d’assalto e dell’ex ufficiale in seconda che rimuginava in silenzio sui gradini del pozzetto.
"Diagnosi completate nel robochirurgo" disse la nave. "Al momento la presenza dei noduli del parassita a forma di croce rende impossibile la cura. Devo concludere la cura o iniziare la crio-fuga?"
«Crio-fuga» disse Aenea. «Fra ventiquattr’ore il medibox dovrebbe essere in grado di intervenire su di loro. Per favore, tienili in vita e in stasi fino a quel momento.»
"Signorsì" disse la nave. E poi: "Signorina Aenea? Signor Endymion?".
«Sì» dissi io.
"Devo informarvi che, da quando ho lasciato la terza luna, sono stata individuata e seguita da sensori a lungo raggio. Mentre parliamo, almeno trentasette navi da guerra della Pax si dirigono da questa parte. Una è già in orbita di parcheggio intorno a questo pianeta; un’altra ha appena intrapreso l’insolita manovra di balzare in propulsione Hawking dentro il pozzo gravitazionale del sistema."
«Va bene» disse Aenea. «Non preoccuparti.»
"Ritengo che abbiano intenzione di intercettarci e di distruggerci" disse la nave. "E possono farlo, prima che lasciamo l’atmosfera."
«Lo sappiamo» sospirò Aenea. «Te lo ripeto, non preoccuparti.»
"Senz’altro" disse la nave, nel tono più efficiente che le avessi mai sentito usare. "Destinazione?"
«La fenditura bonsai a sei chilometri a est del Hsuan-k’ung Ssu» disse Aenea. «Del Tempio a mezz’aria. Svelta.» Guardò il cronometro da polso. «Però tieniti bassa, Nave. Nello strato di nubi.»
"Le nubi di fosgene o le nubi di particelle d’acqua?" volle sapere la nave.
«Più bassa possibile» disse Aenea. «A meno che le nubi di fosgene non ti danneggino.»
"Oh, no, certo" disse la nave. "Vuole che tracci una rotta che ci porti attraverso i mari di acido? Non farebbe differenza, per i radar di profondità della Pax, ma richiederebbe solo una piccola aggiunta di tempo e…"
«No» la interruppe Aenea. «Solo le nubi.»
Guardammo nella sfera del pozzetto olografico la nave che si lanciava giù dal baratro dei Suicidi e si tuffava per dieci chilometri nelle nubi grigie e poi nelle nubi verdi. Saremmo giunti alla fenditura nel giro di qualche minuto.