«Lasciali liberi e verrò giù.»
Nemes scrollò di nuovo le spalle, ma gettò sulla piattaforma il Dalai Lama, come se fosse carta straccia.
Rachel corse accanto al bambino, vide che era ferito e sanguinante, ma vivo; lo rialzò e si girò, furibonda, verso Nemes e i suoi cloni.
«Nò!» gridò Aenea.
Non l’avevo mai sentita usare quel tono: inchiodò sul posto Rachel e anche me.
«Rachel» disse Aenea, con voce di nuovo calma «per favore, ora porta sulla nave Sua Santità e la Dorje Phamo.» Era un ordine espresso con cortesia, ma un ordine al quale non avrei mai potuto disubbidire. Neppure Rachel disubbidì.
La nave si abbassò lentamente, morfizzò la loggia in una scaletta e la estese. Aenea iniziò a scendere. Mi affrettai a seguirla. Mettemmo piede sulla piattaforma di cedro bonsai, avevo collaborato a sistemare tutte le assi, e Rachel passò davanti a noi, guidando il bambino e la vecchia su per la scaletta. Mentre Rachel passava, Aenea le toccò la testa. La scaletta si ritirò e tornò a essere la loggia. Theo e A. Bettik uscirono e restarono con Rachel e la Dorje Phamo. Qualcuno aveva portato dentro il bambino che sanguinava da varie ferite.
Eravamo a due metri da Rhadamanth Nemes. I due cloni l’affiancarono.
«Manca qualcuno» disse Nemes. «Dov’è il tuo… ah, eccolo.»
Lo Shrike fluì dalle ombre del padiglione. Dico fluì perché, anche se si era mosso, non l’avevo visto camminare.
Continuavo ad aprire e chiudere i pugni. Tutto era sbagliato, in quella resa dei conti. Sulla nave mi ero tolto il giubbotto termico, ma portavo ancora la stupida dermotuta e l’imbracatura da scalata, priva però di gran parte degli attrezzi. L’imbracatura e gli strati multipli mi avrebbero rallentato.
"Rallentato per cosa?" Avevo già visto Nemes in azione. Per meglio dire, non l’avevo vista, tanto era veloce. Quando lei e lo Shrike si erano affrontati su Bosco Divino, c’era stato un movimento confuso, poi delle esplosioni, poi niente. Nemes avrebbe potuto tagliare la testa a Aenea e usare le mie viscere per giarrettiere nel tempo che avrei impiegato io a stringere i pugni.
"Pugni." La nave era disarmata, ma nella biblioteca c’era il fucile d’assalto del sergente Gregorius. La prima cosa che ci avevano insegnato nella Guardia nazionale era: non combattere mai a mani nude, quando potresti ramazzare un’arma.
Mi guardai intorno. La piattaforma era pulita e spoglia: nemmeno una ringhiera da staccare e usare come bastone. Troppo ben costruita per strapparne un solo pezzo di legno.
Diedi un’occhiata alla parete a strapiombo alla mia sinistra. Niente pietre scalzate. Nelle fenditure erano rimasti piantati alcuni chiodi e tasselli da rocciatore (ci erano serviti per tenerci agganciati mentre costruivamo quel piano e il padiglione, ma poi non eravamo andati in giro a toglierli tutti) ma erano ben saldi e non sarei riuscito a estrarli (a Nemes probabilmente sarebbe bastato un solo dito) per usarli come arma. E poi, che cosa me ne facevo, di un chiodo o di un tassello a espansione, contro quel mostro?
Lì non c’era niente da usare come arma. Sarei morto a mani nude. Mi augurai di mettere a segno, prima che lei mi stendesse, un colpo, o almeno un tentativo di sventola.
Aenea e Nemes avevano occhi solo l’una per l’altra. Nemes si era limitata a un solo sguardo allo Shrike, dieci passi alla sua destra. Ora disse: «Sai che non ti riporterò alla Pax, eh, puttanella?»
«Sì» disse Aenea. Ricambiò con intensità lo sguardo dell’altra.
Nemes sorrise. «Ma credi che la tua creatura spinosa ti salverà di nuovo.»
«No» disse Aenea.
«Fai bene, perché non ti salverà.» Rivolse un cenno ai suoi cloni.
Adesso so i loro nomi, Scilla e Briareo. E so che cosa vidi dopo.
In teoria non avrei dovuto vedere nulla, perché in quell’istante tutt’e tre le creature mutarono di fase. In teoria doveva esserci solo un lampo confuso color cromo, poi il caos, poi niente… Ma Aenea mi toccò la nuca. Provai il solito formicolio elettrico del contatto fra la sua pelle e la mia, ma a un tratto la luce fu diversa, più fonda, più scura, e l’aria intorno a noi divenne densa come acqua. Mi accorsi che il mio cuore pareva essersi fermato; non battevo le palpebre, non respiravo. C’era di che allarmarsi, lo so, ma in quel momento non mi pareva importante.
Aenea mi bisbigliò nell’auricolare del cappuccio ripiegato della dermotuta, o forse mi parlò direttamente con quel tocco alla nuca, non saprei. "Non possiamo mutare di fase con loro né servircene per combatterli. È un abuso dell’energia del Vuoto che lega. Ma posso fare in modo che ci sia possibile guardare."
E ciò che vedemmo era davvero incredibile.
All’ordine di Nemes, Scilla e Briareo si lanciarono contro lo Shrike, mentre il demone di Hyperion alzava le quattro braccia e scattava in direzione di Nemes, solo per essere intercettato dai due cloni. Anche con la nostra capacità visiva alterata, la nave impietrita a mezz’aria, i nostri amici sulla loggia immobili come statue, un uccello sopra il precipizio imprigionato nell’aria densa, come un insetto nell’ambra, il movimento improvviso dello Shrike e dei due cloni fu quasi troppo veloce per seguirlo.
Ci fu un urto terribile a un metro da Nemes, che si era cambiata in un’argentea effigie di se stessa e che non trasalì nemmeno. Briareo vibrò un colpo che, ne sono convinto, avrebbe spezzato in due la nostra nave. Il pugno rimbalzò sul collo munito di punte dello Shrike, con un rumore di terremoto sottomarino riprodotto alla moviola; poi con un calcio Scilla mandò a gambe all’aria lo Shrike. E lo Shrike cadde lungo disteso, ma non prima d’avere afferrato Scilla, con due delle quattro braccia, e di avere conficcato profondamente in Briareo artigli affilati come rasoi.
I cloni di Nemes parvero accogliere con piacere il corpo a corpo e si lanciarono sullo Shrike, con denti che azzannavano a vuoto e unghie che artigliavano. Il profilo delle mani e delle braccia irrigidite dei cloni era affilatissimo, una lama da ghigliottina più tagliente delle lame e delle spine dello Shrike.
Le tre creature si colpirono e si azzannarono con frenesia selvaggia, rotolarono sulla piattaforma facendo schizzare in aria schegge di cedro bonsai, andarono a sbattere contro la parete rocciosa. In un secondo furono di nuovo in piedi. Le grandi mascelle dello Shrike erano chiuse sul collo di Briareo, mentre Scilla colpiva una delle quattro braccia del demone, la piegava all’indietro e pareva spezzargli un giunto. Sempre tenendo fra le mascelle Briareo, con un digrignare e raspare di denti sull’argentea testa del clone, lo Shrike si girò di scatto per affrontare Scilla, ma intanto i due lo avevano afferrato per le lame e le spine del cranio e spingevano all’indietro, tanto che mi aspettai di sentire lo schiocco del collo rotto e di vedere la testa rotolare lontano.
Nemes, invece, in qualche modo riuscì a trasmettere un ordine e senza un attimo d’esitazione i due cloni si staccarono dalla parete rocciosa e si lanciarono verso la ringhiera sul lato della piattaforma prospiciente l’abisso. Capii la loro intenzione: scagliare lo Shrike nel vuoto, fargli fare la fine della guardia del corpo del Dalai Lama.
Forse anche lo Shrike capì, perché strinse a sé i due cloni, con tanta forza che le punte nel petto e nei polsi penetrarono profondamente nel campo di forza degli avversari che si dibattevano e artigliavano. Il tre si girarono, ruzzolarono, balzarono in piedi come un folle giocattolo a molla in tre parti, regolato sul modo "iperveloce"; alla fine lo Shrike, con i due cloni chiaramente impalati nelle spine, andò a sbattere contro la robusta ringhiera di cedro, la squarciò come se fosse di cartone bagnato, e senza smettere di lottare precipitò nell’abisso.
Aenea e io guardammo l’alta figura argentea munita di scintillanti spine e le due figure più basse che continuavano a mulinare braccia e gambe, le guardammo cadere, cadere, divenire più piccole, più piccole, precipitare nelle nubi ed esserne inghiottite. Chi guardava dalla nave, lo sapevo, non aveva visto niente, a parte l’improvvisa scomparsa di tre delle figure sulla piattaforma, dove ora restavano solo Nemes, Aenea e io. L’argentea creatura che era Nemes girò verso di noi il viso cromato e inespressivo.