"Nemes ruota il braccio, manca di un millimetro il mio ventre, mentre dondolo indietro e in fuori, ma il movimento la manda a precipitare più avanti, più lontano dalla cornice e dalla parete rocciosa, nel buco dove poco prima c’era la piattaforma.
"Striscio contro la parete dello strapiombo, cerco di arrestare lo slancio. La corda si spezza.
"Rimango a braccia larghe contro la parete, comincio a scivolare. La destra è inutile. Con le dita della sinistra trovo uno stretto appiglio, lo perdo, scivolo più velocemente, col piede sinistro trovo una sporgenza di un centimetro. Sporgenza e attrito mi trattengono contro la parete rocciosa il tempo sufficiente a dare un’occhiata da sopra la spalla sinistra.
"Mentre precipita, Nemes si torce, tenta di cambiare traiettoria quanto basta a conficcare gli artigli o il braccio-falce nel margine della piattaforma più bassa, l’unica che le resta.
"La manca di quattro o cinque centimetri. Cento metri più in basso colpisce un affioramento roccioso e riceve una spinta verso l’esterno, sopra le nubi. Un nugolo di scalini, pali, travi e piloni di piattaforma precipita un chilometro sotto di lei.
"Nemes urla, un frammentato, acuto e penetrante urlo di pura rabbia e di frustrazione, e l’eco rimbalza di roccia in roccia intorno a me."
Non riesco più a tenere la presa. Ho perduto troppo sangue e ho troppi muscoli lacerati. Sento la roccia scivolare sotto il petto, la guancia, il palmo, il piede in tensione.
Guardo alla mia sinistra per dire addio a Aenea, anche solo con gli occhi.
Il suo braccio mi afferra quando già inizio a staccarmi. Mentre guardavo Nemes precipitare, Aenea è salita in free-climbing sopra di me.
Il cuore mi batte all’impazzata: ho il terrore che il mio peso stacchi tutt’e due dalla roccia. Mi sento scivolare, sento la forte mano di Aenea scivolare, sono coperto di sangue. Aenea non mi lascia.
«Raul» dice. La voce le trema, ma di emozione, non di stanchezza o paura.
Il suo piede nella sporgenza è l’unica cosa che ci tiene contro la parete, ma Aenea libera la sinistra, la porta in alto e aggancia la sua corda di sicurezza al mio penzolante moschettone ancora attaccato al chiodo.
Scivoliamo tutt’e due in fuori, ci graffiamo. Aenea mi abbraccia subito, mi stringe con le gambe. È una ripetizione del mio abbraccio a Nemes, ma stavolta alimentato dall’amore e dalla passione di vivere, non dall’odio e dall’impulso di distruggere.
Cadiamo per otto metri, il limite della sua corda di sicurezza. Penso che il mio peso aggiunto strapperà il chiodo o spezzerà la corda.
Per il contraccolpo rimbalziamo tre o quattro volte, restiamo sospesi nel vuoto. Il chiodo tiene. La corda tiene. La stretta di Aenea tiene.
«Raul» dice di nuovo Aenea. «Mio Dio, mio Dio.» Credo che mi dia buffetti sulla testa, ma in realtà cerca di rimettere a posto i brandelli di cuoio capelluto e di impedire che l’orecchio si stacchi del tutto.
«Va tutto bene» cerco di dire, ma scopro di avere le labbra gonfie e sanguinanti. Non posso pronunciare le parole che devo dire alla nave.
Aenea capisce. Si sporge su di me e parla nel microfono della dermotuta. "Nave… vieni a prenderci. Presto."
L’ombra scende, si muove come per schiacciarci. La loggia è di nuovo affollata di persone a occhi sgranati, mentre la nave si stabilizza a tre metri da noi, grigi strapiombi da una parte e dall’altra ora, ed estende una passerella. Mani amiche ci traggono in salvo.
Aenea non smette di tenermi stretto con braccia e gambe finché non ci portano nella nave, sul tappeto della biblioteca, lontano dall’abisso.
Sento confusamente la voce della nave: "Ci sono navi da guerra che corrono nel sistema verso di noi. Una si trova proprio sopra l’atmosfera, diecimila chilometri a ovest, e si avvicina…".
«Portaci fuori di qui» ordina Aenea. «Su dritto e fuori. Tra un attimo di darò le coordinate all’interno del sistema. Vai!»
Ho le vertigini e chiudo gli occhi al ruggito dei motori a fusione. Ho la confusa impressione che Aenea mi baci, mi tenga stretto, mi baci le palpebre e la fronte insanguinata e la guancia. Piange.
«Rachel…» La voce di Aenea mi giunge come da molto lontano. «Puoi fare una diagnosi?»
Dita diverse da quelle della mia amata mi toccano brevemente. Sento fitte di dolore, ma sempre più remote. Il gelo scende su di me. Cerco di aprire gli occhi, ma non riesco: sono chiusi dal sangue rappreso o dal gonfiore o da tutt’e due.
«Le ferite che sembrano più gravi sono le meno pericolose» dice Rachel, con tono pacato ma professionale. «Le lacerazioni al cuoio capelluto e all’orecchio, la gamba rotta, eccetera. Credo però che abbia lesioni interne, non solo la frattura di costole, ma emorragie interne. E le ferite d’artiglio alla schiena arrivano al midollo spinale.»
Aenea piange ancora, ma usa un tono di comando. «Voi, Lhomo, A. Bettik, aiutatemi a metterlo nel medibox.»
"Mi spiace" mi giunge, remota, la voce della nave, appena al limite della coscienza "ma i tre scomparti del robochirurgo sono occupati. Il sergente Gregorius è crollato per le lesioni interne e si trova nel terzo scomparto. Tutti e tre i pazienti al momento sono tenuti in vita artificialmente e non possono essere rimossi."
«Maledizione» impreca sottovoce Aenea. «Raul? Amore mio, riesci a sentirmi?»
Sto per rispondere, per dire che mi sento bene, che non c’è da preoccuparsi, ma dalle labbra gonfie e dalla mascella slogata mi esce solo un gemito arruffato.
«Raul» continua Aenea «dobbiamo allontanarci dalle navi della Pax. Ti metteremo in un cubicolo di crio-fuga, amore mio. Ti faremo dormire un poco, in attesa che nel medibox ci sia uno scomparto libero. Riesci a sentirmi, Raul?»
Rinuncio a parlare e trovo la forza per un cenno di assenso. Qualcosa mi penzola sulla fronte, come un berretto umido messo di traverso. Il mio cuoio capelluto.
«Va bene» dice Aenea. Si china più vicino e bisbiglia nell’orecchio che ancora mi resta: «Ti amo, mio caro amico. Tornerai in perfetta forma. Questo lo so!»
Delle mani mi sollevano, mi trasportano, alla fine mi depongono su una superficie dura e fredda. Il dolore infuria, ma è una cosa remota e non riguarda me.
Prima che facciano scorrere il coperchio del cubicolo di crio-fuga, sento distintamente la voce della nave che annuncia con calma: "Quattro navi da guerra della Pax ci intimano l’alt. Dicono che se non ci fermiamo entro dieci minuti, ci distruggeranno. Posso far notare che siamo ad almeno undici ore da qualsiasi possibile punto di traslazione? Tutte e quattro le navi della Pax sono a tiro".
Odo la voce stanca di Aenea: «Continua la rotta verso le coordinate che ti ho dato, Nave. Nessuna risposta alle navi della Pax».
Cerco di sorridere. Un’esperienza che abbiamo già avuto: tentare di battere in velocità, con grandi probabilità contrarie, navi della Pax. Ma c’è una cosa che sto imparando e che mi piacerebbe spiegare a Aenea, se la bocca mi funzionasse e se la mente mi si schiarisse un poco: per quanto a lungo si battano, le probabilità sfavorevoli alla fine hanno sempre la meglio. La considero una rivelazione di scarsa importanza, satori atteso da troppo tempo.
Ma ora il freddo striscia su di me, dentro di me, mi gela il cuore e la mente e le ossa e le viscere. Posso solo augurarmi che si tratti delle bobine di crio-fuga che agiscono più rapidamente di quanto non ricordi dal mio ultimo viaggio. Se si tratta della morte, allora, be’, è la morte. Ma voglio rivedere Aenea.
È il mio ultimo pensiero.
24
"Cado!" Col cuore che mi batteva all’impazzata, mi svegliai in quello che pareva un universo differente.
Galleggiavo, non cadevo. Sulle prime pensai di essere in un oceano, un oceano salato con forte spinta idrostatica, di galleggiare come un feto in un mare color seppia; ma poi capii che non c’era gravità né onde né correnti, che l’elemento non era acqua, ma densa luce color seppia. "La nave?" No, ero in un ambiente ampio, vuoto, oscurato, ma circondato di luce, un vuoto ovoide della larghezza di quindici metri o più, con pareti di pergamena dalle quali vedevo la luce filtrata di un sole ardente e qualcosa di più complesso, una vasta struttura organica che si curvava e si allontanava da tutti i lati. Mossi debolmente le mani e mi toccai il viso, la testa, il corpo, le braccia…