Galleggiavo davvero, trattenuto da una leggera imbracatura fissata a un nastro di lappolite posto sulla ricurva parete interna. Ero scalzo, indossavo solo una morbida veste di cotone che non riconobbi… pigiama? camice d’ospedale?
La pelle del viso era molto sensibile al tatto; sentii sotto le dita nuove rughe che forse erano cicatrici. Non avevo capelli, la pelle del cranio pareva carne viva, era tutta una cicatrice; l’orecchio era ancora al suo posto, ma doleva solo a sfiorarlo. Sulle braccia avevo parecchie deboli cicatrici, visibili però anche nella fioca luce. Tirai su la veste e guardai la gamba che mi ero malamente fratturato tempo prima. Guarita e solida. Mi tastai le costole: sensibili ma intatte. In fin dei conti ero riuscito a trovare posto nel medibox.
Evidentemente espressi ad alta voce quel pensiero, perché una figura che galleggiava accanto a me disse: «Alla fine ci sei entrato, Raul Endymion. Ma una parte delle operazioni chirurgiche è stata eseguita alla vecchia maniera… da me».
Sobbalzai, galleggiai in su contro i nastri di lappolite. Non era la voce di Aenea.
La sagoma scura galleggiò più vicino e riconobbi la forma, i capelli e finalmente la voce. «Rachel» dissi. Avevo la lingua secca, le labbra screpolate. Gracchiai il nome, più che pronunciarlo.
Rachel si avvicinò ancora e mi porse una bottiglia da spremere. Le prime gocce uscirono come sferette rotolanti, gran parte mi schizzò il viso, ma presto capii il trucco e spremetti il liquido direttamente nella bocca aperta. L’acqua era fresca, meravigliosa.
«Da due settimane assumi per endovena liquidi e sostanze nutritive» disse Rachel. «Ma è meglio se bevi direttamente.»
«Due settimane?» Mi guardai intorno. «Aenea? Sta… stanno…»
«Stanno tutti bene» disse Rachel. «Aenea è indaffarata. Ha passato qui con te la maggior parte delle due settimane, ad assisterti, ma quando doveva uscire con Minmun e con gli altri mi faceva stare con te.»
«Minmun?» Scrutai dalla parete trasparente. Una stella luminosa, più piccola del sole di Hyperion. Le incredibili geometrie della struttura si curvavano e si allontanavano dalla sala ovoidale. «Dove mi trovo? Come siamo arrivati qui?»
Rachel ridacchiò. «Rispondo alla seconda domanda, perché in pochi minuti capirai da solo la risposta alla prima. Aenea ha fatto balzare qui la nave. Il padre capitano de Soya, il sergente Gregorius e l’ufficiale Carel Shan conoscevano le coordinate di questo sistema solare, ma erano privi di conoscenza. Però anche il quarto superstite, l’ex prigioniero Hoag Liebler, sapeva dove si nascondeva questo posto.»
Guardai di nuovo dalla parete. La struttura pareva enorme… un traforo di luce e di ombra che da quella sorta di capsula si estendeva in tutte le direzioni. Come potevano nascondere una cosa così grande? E chi la nascondeva?
«Come abbiamo fatto ad arrivare in tempo a un punto di traslazione?» gracchiai; mi schizzai in bocca altri globuli d’acqua. «Credevo che la navi da guerra della Pax stessero per attaccarci.»
«Ci hanno attaccato, infatti. Non saremmo mai potuti giungere a un punto di traslazione Hawking prima che ci distruggessero. Ecco… non è più necessario che tu stia appiccicato alla parete.» Staccò i nastri di lappolite e mi trovai a galleggiare liberamente. Anche a gravità zero, mi sentivo debolissimo.
Mi orientai in modo da guardare ancora in viso Rachel, nella fioca luce color seppia. «Allora come ci siamo riusciti?»
«Non c’è stata traslazione. Aenea ha indirizzato la nave in un punto dello spazio da dove ci siamo teleportati direttamente in questo sistema.»
«Teleportati?» C’era forse un teleporter spaziale funzionante? Come quelli che usavano un tempo le navi della Force per i trasferimenti? Non credevo che qualcuno di quei teleporter fosse sopravvissuto alla Caduta.
Rachel scuoteva la testa. «Non c’era nessun teleporter. Niente. Solo un punto arbitrario a qualche centinaio di chilometri dalla seconda luna. È stato un bell’inseguimento, le navi della Pax ci intimavano l’alt e minacciavano di aprire il fuoco. Alla fine l’hanno aperto: raggi di energia che saettavano verso di noi da decine di fonti. Non saremmo diventati neppure un campo di detriti, ma semplici gas in una traiettoria sempre più ampia. Invece abbiamo raggiunto il punto verso cui Aenea si dirigeva e all’improvviso ci siamo trovati… qui.»
Non dissi di nuovo: "Dov’è, qui?", ma galleggiai fino alla parete ricurva e cercai di scrutare dall’altra parte. La parete era calda al tatto, spugnosa, organica, e filtrava la maggior parte della luce del sole. Di conseguenza all’interno c’era una bella luce soffusa, che però rendeva difficile vedere fuori: si scorgeva solo la stella ardente e una traccia dell’incredibile struttura geometrica al di là della nostra capsula.
«Sei pronto a vedere dove?» disse Rachel.
«Sì.»
«Capsula, superficie trasparente, per favore.»
Di colpo più niente ci separava dall’esterno. A momenti gridai di terrore. Invece agitai braccia e gambe nel tentativo di trovare una superficie solida a cui aggrapparmi, finché Rachel non si avvicinò e con mano ferma mi stabilizzò.
Eravamo nello spazio. La capsula intorno a noi era semplicemente scomparsa. Galleggiavamo nello spazio… avevamo l’impressione di galleggiare nello spazio, a parte la presenza d’aria respirabile, ed eravamo quasi alla punta estrema di un…
Albero non è la parola esatta. Ne avevo visti di alberi. Quello non era un albero.
Ma avevo sentito parlare molto dei vecchi Alberi Mondo dei templari, avevo visto il ceppo dell’Albero Mondo su Bosco Divino, e avevo sentito parlare delle navi-albero lunghe chilometri che viaggiavano tra i sistemi solari ai tempi del pellegrinaggio di Martin Sileno.
Questo non era un Albero Mondo né una nave-albero.
Avevo sentito pazzesche leggende (da Aenea, a dire il vero, perciò con ogni probabilità non erano leggende) riguardanti un anello arboreo intorno a una stella, un anello fantasticamente intrecciato di materia vivente che si estendeva intorno a un astro del tipo del sole della Vecchia Terra. Una volta avevo provato a calcolare quanta materia vivente sarebbe stata necessaria per un anello del genere e avevo concluso che quella storia era di sicuro una balla.
Questo non era un anello arboreo.
Ciò che si estendeva all’esterno, ai miei lati, curvando all’interno su scala troppo grande per essere comprensibile alla mia mente formata a livello planetario, era una sfera di materia vivente vegetale, diramata e intrecciata: tronchi del diametro di decine o centinaia di chilometri, rami larghi chilometri, foglie larghe centinaia di metri, sistemi di radici aeree che si estendevano per centinaia, no, migliaia di chilometri nello spazio, rami ingraticciati e avviluppati che si protendevano all’interno e all’esterno in tutte le direzioni, tronchi lunghi come il Mississippi della Vecchia Terra che parevano in lontananza minuscoli fuscelli, forme arboree delle dimensioni del continente Aquila su cui ero nato che si mescolavano in migliaia di altre macchie e masse di verzura, tutte piegate in dentro e in fuori, da ogni parte, in ogni direzione; c’erano molti squarci neri, buchi nello spazio, alcuni più grandi dei tronchi e della verzura che si intrecciava intorno a essi, ma in nessun punto gli squarci erano completi, dappertutto i tronchi e i rami e le radici si intrecciavano, aprivano innumerevoli miliardi di foglie verdi alla stella che ardeva lontano nel luogo geometrico al centro del…
Chiusi gli occhi.
«Non può essere reale.»
«È reale» disse Rachel.
«Gli Ouster?»
«Sì» confermò l’amica di Aenea, la bambina dei Canti. «E i templari. E gli erg. E… altri. È vivo, ma artificiale… una cosa curata.»
«Impossibile. Occorrerebbero milioni di anni per far crescere questa… sfera.»
«Biosfera» precisò Rachel, con un sorriso.
Scossi la testa. «Biosfera è un vecchio termine, riguarda solo il sistema chiuso di vita su un pianeta e intorno a esso.»