«Questa è una biosfera» ripeté Rachel. «Solo che qui non ci sono pianeti. Comete, sì; ma non pianeti.» Indicò un punto.
Molto lontano, forse a centinaia di migliaia di chilometri, dove l’interno della sfera vivente si scoloriva in un verde confuso anche nel vuoto, una lunga striscia bianca si muoveva lentamente e attraversava uno squarcio nero fra i tronchi.
«Una cometa» ripetei come uno sciocco.
«Per l’irrigazione» disse Rachel. «Ne occorrono milioni. Per fortuna nella Nube di Oort ce ne sono parecchi miliardi. E altri miliardi sono nella Fascia di Kuiper.»
Rimasi a guardare. Là fuori c’erano altri puntini bianchi, ciascuno con una lunga coda luminosa. Mentre li guardavo, alcuni si mossero fra i tronchi e i rami, mi diedero un’idea della scala di quella biosfera. "Le traiettorie delle comete passano nelle aperture della materia vegetale. Se questa è davvero una sfera, nel percorso verso l’esterno del sistema le comete dovrebbero ripassare attraverso il globo vivente. Che sorta di fiducia occorre per fare una cosa del genere?"
«Cos’è questa cosa nel cui interno ci troviamo?» domandai.
«Una capsula ambientale» rispose Rachel. «Un bulbo di vita. Questo è fatto su misura per il servizio medico. Non si limita a monitorare flebo, segni vitali e rigenerazione dei tessuti; fa crescere e produce molte medicine e altri prodotti chimici.»
Toccai il materiale quasi trasparente. «Quanto è spesso?»
«Circa un millimetro. Ma è molto resistente. Ci può proteggere dalla maggior parte degli impatti di micrometeoriti.»
«Dove si procurano gli Ouster un simile materiale?»
«Biofabbricano i geni e quello cresce da solo. Te la senti di uscire per vedere Aenea e incontrare altre persone? Aspettano tutti il tuo risveglio.»
«Sì» dissi e poi, rapidamente: «No! Rachel?».
Lei mi galleggiò vicino, aspettando. Notai quanto erano luminosi i suoi occhi neri in quella luce sorprendente. Quasi uguali a quelli della mia amata.
«Rachel…» iniziai, impacciato.
Lei aspettò e toccò la parete trasparente per orientarsi a testa in su rispetto a me.
«Rachel, a dire il vero non abbiamo parlato molto…»
«Non ti ero simpatica» disse lei, con un sorriso gentile.
«Non è vero… cioè, era vero, in un certo senso… ma solo perché all’inizio non capivo la situazione. Per Aenea ero stato via cinque anni… era difficile… ero geloso, penso.»
Rachel inarcò il sopracciglio. «Geloso, Raul? Pensavi che Aenea e io fossimo state amanti negli anni della tua assenza?»
«Be’, no… cioè, non sapevo…»
Rachel alzò la mano, risparmiandomi altro imbarazzo. «Non eravamo amanti» disse. «Mai state. Aenea non avrebbe nemmeno immaginato una cosa del genere. Forse Theo si sarebbe trastullata con l’idea, ma sapeva dall’inizio che Aenea e io eravamo destinate ad amare certi uomini.»
La fissai. "Destinate?"
Rachel sorrise di nuovo. Potevo immaginare quel sorriso sulla bimbetta di cui Sol Weintraub parlava nei Canti di Hyperion. «Non preoccuparti, Raul. Si dà il caso che io sappia per certo che Aenea non ha mai amato nessuno tranne te. Anche quando era bambina. Anche prima di incontrarti. Sei sempre stato il suo prescelto.» Il suo sorriso divenne triste. «Fossimo tutti così fortunati!»
Aprii bocca per parlare, esitai.
Rachel tornò seria. «Oh, capisco. Ti ha parlato dell’intervallo di un anno, undici mesi, sette giorni, sei ore?»
«Sì» risposi. «E del fatto che ha avuto…» Mi interruppi. Sarebbe stato sciocco restare sconvolto davanti a quella donna così forte. Non mi avrebbe mai più guardato allo stesso modo.
«Un figlio» terminò per me Rachel.
La guardai come se cercassi una risposta nei suoi bei lineamenti. «Aenea te ne ha parlato?» Avevo la sensazione di tradire in un certo senso la mia amica, cercando di avere da altri quella informazione. Ma non potevo fermarmi. «Sapevi a quel tempo…»
«Dove si trovava?» disse Rachel, ricambiando il mio intenso sguardo. «Che cosa le accadeva? Che si sposava?»
A ogni domanda potevo solo annuire.
«Sì» disse Rachel. «Lo sapevamo.»
«Eri lì con lei?»
Rachel parve esitare, come se soppesasse la risposta. «No» disse infine. «A. Bettik, Theo e io abbiamo aspettato quasi due anni il suo ritorno. Abbiamo portato avanti il suo… ministero pastorale? la sua missione?… qualsiasi cosa sia, l’abbiamo portata avanti mentre lei non c’era, impartendo alcune sue lezioni, trovando chi voleva partecipare alla comunione, facendo sapere quando lei sarebbe tornata.»
«Allora sapevi quando sarebbe tornata?»
«Sì» disse Rachel. «Il giorno esatto.»
«Come?»
«Era il giorno in cui doveva tornare. Aveva approfittato di ogni minuto possibile senza mettere a repentaglio la missione. La Pax ci dava la caccia, il giorno seguente ci avrebbero catturati tutti, se Aenea non fosse tornata e non ci avesse teleportato via.»
Annuii, ma non pensavo al fatto che Aenea era scampata per miracolo alla Pax. «Hai conosciuto… lui?» dissi, cercando senza successo di mantenere un tono neutro.
Rachel mantenne un’espressione seria. «Il padre di suo figlio, vuoi dire? Il marito di Aenea?»
Intuivo che Rachel non voleva mostrarsi crudele, ma le sue parole mi straziarono più degli artigli di Nemes. «Sì» risposi. «Lui.»
Rachel scosse la testa. «Quando Aenea se ne andò, nessuno di noi l’aveva mai incontrato.»
«Ma sai perché decise che fosse lui il padre di suo figlio?» insistetti. Mi sentivo come il Grande Inquisitore che ci eravamo lasciati alle spalle su T’ien Shan.
«Sì» disse Rachel, ricambiando lo sguardo, senza rivelarmi altro.
«Aveva a che fare con… con la sua missione?» Mi sentivo la gola sempre più stretta, la voce sempre più tesa. «Si tratta di qualcosa che lei deve fare… di qualche ragione per cui da loro doveva nascere un figlio? Non puoi dirmi qualcosa, Rachel?»
Allora lei mi prese per il polso, stringendo forte. «Raul, sai che Aenea ti spiegherà tutto, quando sarà il momento.»
Mi liberai e sbuffai con malagrazia. «Quando sarà il momento…» brontolai. «Cristo santo, questa frase mi dà la nausea. E non ne posso più di aspettare.»
Rachel si strinse nelle spalle. «Allora affronta Aenea. Minaccia di picchiarla, se non ti dice tutto. Hai massacrato di botte quella Nemes, Aenea non dovrebbe essere un problema.»
Le lanciai un’occhiataccia.
«Parlando seriamente, Raul, questa è una faccenda fra te ed Aenea. Posso solo dirti che sei l’unico uomo di cui lei abbia mai parlato e, per quanto ne so, l’unico che abbia mai amato.»
«Come diavolo fai a…» cominciai, furioso, ma mi costrinsi a chiudere la bocca. Le diedi goffamente dei colpetti sul braccio e il movimento iniziò a farmi girare sul mio asse. Non è facile stare vicino a qualcuno, a gravità zero, senza toccarlo. «Grazie, Rachel» conclusi.
«Sei pronto a vedere tutti gli altri?»
Inspirai a fondo. «Quasi. La superficie della capsula può diventare riflettente?»
«Capsula, luminosità novanta per cento» ordinò Rachel. «Alta riflessività interna.» A me disse: «Ti controlli allo specchio prima del grande appuntamento?».
La parete era diventata riflettente quasi quanto una pozza d’acqua cheta; non uno specchio perfetto, ma abbastanza chiara e luminosa da mostrarmi un Raul Endymion con cicatrici sul viso e la testa pelata, cuoio capelluto roseo come pelle di neonato, tracce di lividi e di gonfiori intorno agli occhi, magro, molto magro. Ossa e muscoli del viso e della parte superiore del corpo parevano abbozzati a tratti di carboncino. Gli occhi parevano diversi.
«Cristo santo» ripetei.
Rachel mi rivolse un gesto. «Il robochirurgo ti voleva trattenere ancora una settimana, ma Aenea non poteva aspettare. Le cicatrici non sono permanenti, la maggior parte, almeno. I medicinali che la capsula ti ha somministrato per endovena si prendono cura della rigenerazione. Fra un paio di settimane standard cominceranno a ricrescerti i capelli.»
Mi toccai il cuoio capelluto: era come accarezzare il sedere coperto di cicatrici e ipersensibile di un orrendo neonato. «Un paio di settimane» dissi. «Magnifico. Fottutamente magnifico.»