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Un altro Ouster, Systenj Coredwell come appresi più tardi, allargò le mani in un gesto che, come avrei scoperto, significava "niente da fare". Notai in quell’occasione che aveva dita palmate. «Quasi tutte le navi da combattimento» disse «sono dovute andare alla Grande Muraglia per tenere a bada la loro task force Pesceluna. Lo scontro è durissimo. Ci si aspetta che poche navi facciano ritorno.»

«Secondo il vostro servizio segreto, la Pax sa cosa avete qui?» domandò Aenea.

Navson Hamnim allargò le mani in una leggera variazione del gesto di Coredwell. «Crediamo di no. Ma ormai sanno che questa è stata una importante base provvisoria per le nostre recenti battaglie difensive. Sarei propenso a credere che la ritengano solo una base come tante, forse con un anello parziale di foresta orbitale.»

«Possiamo fare qualcosa per distruggere la crociata prima che venga da questa parte?» disse Aenea, parlando a tutti i presenti.

«No.» Quella parola dura e semplice provenne dall’uomo alto che mi era stato presentato come colonnello Fedmahn Kassad. Kassad parlava l’inglese della Rete, ma con una cadenza bizzarra. Era alto, molto snello ma muscoloso, con una rada barbetta lungo la mascella e intorno alla bocca. Nei Canti del vecchio poeta era descritto come abbastanza giovane, ma questo guerriero era come minimo sulla sessantina standard, aveva profonde rughe intorno alla bocca e agli occhi piuttosto piccoli, carnagione resa ancora più scura dalla lunga esposizione al sole del deserto e agli ultravioletti dello spazio profondo, capelli a spazzola che parevano corti chiodi d’argento.

Tutti guardarono Kassad e aspettarono.

«Con la distruzione della nave di de Soya» disse il colonnello «è svanita anche la nostra sola possibilità di validi attacchi di sorpresa con sganciamento immediato. Le poche navi da guerra a propulsione Hawking che ci restano accumulerebbero un debito temporale di almeno due mesi per balzare al sistema di Lacaille 9352 e tornare indietro. A quell’ora, quasi certamente le Arcangelo della crociata saranno già state qui e ripartite… e noi saremmo senza difese.»

Con una spinta del piede Navson Hamnim si scostò dalla parete della capsula e si orientò col fianco destro in alto rispetto a Kassad. «Quelle poche navi da guerra non ci offrono difesa in ogni caso» disse, piano, in un inglese della Rete dalla cadenza musicale. «Non dovremmo considerare la possibilità di attacchi suicidi?»

Aenea galleggiò fra i due. «Secondo me, non dovremmo pensare affatto a morire» disse. «Né a permettere la distruzione della biosfera.»

"Sentimento positivo" disse una voce nella mia testa. "Ma non tutti i sentimenti positivi possono essere sostenuti da correnti ascensionali di azione possibile."

«Vero» disse Aenea, guardando le piastrine. «Ma forse nel caso attuale le correnti ascensionali si formeranno.»

"Buone termali a voi tutti" disse la voce nella mia testa. Le piastrine si mossero verso la parete della capsula, che aprì per loro un diaframma, e uscirono.

Aenea trasse un respiro. «Ci troviamo fra sette ore sulla Yggdrasill per pranzare e continuare la discussione? Forse a qualcuno sarà venuta un’idea.»

Non ci furono obiezioni. Esseri umani, Ouster e Seneschai uscirono da una ventina di aperture che l’attimo prima non c’erano.

Aenea mi venne vicino e mi abbracciò di nuovo. Le accarezzai i capelli.

«Amico mio» disse lei, piano. «Vieni con me.»

Era la sua personale capsula di soggiorno, la nostra capsula personale mi disse, e assomigliava molto a quella dove mi ero svegliato, a parte la presenza di scaffali di materia organica, nicchie, scrittoio, armadi ripostiglio e apparecchiature per interfaccia comlog. Alcuni miei vestiti, presi dalla nave del console, erano piegati in bell’ordine in un armadio e i miei stivali di ricambio erano conservati in un cassettone di fibroplastica.

Aenea prese del cibo da un armadio frigo e si mise a preparare panini. «Sarai affamato, amore mio» disse, spezzando un pane scuro. Vidi formaggio di zigocapra sul bancone di lappolite per gravità zero, alcune fette di roastbeef che provenivano di sicuro dalla nave del console, vasetti di mostarda e diversi boccali con coperchio contenenti birra di riso di T’ien Shan. All’improvviso mi accorsi di essere affamato come un lupo.

I panini erano grossi e ben ripieni. Aenea li mise su piatti stagni, fatti di una robusta fibra vegetale, prese il suo e un bulbo di birra, con un calcio si spinse verso la parete esterna. Comparve una porta a diaframma che cominciò ad aprirsi.

«Ah…» protestai, allarmato. Volevo dire: "Scusa, Aenea, ma là fuori c’è il vuoto dello spazio. Non esploderemo per la decompressione e faremo una morte orribile?".

Aenea si diede la spinta e varcò la porta organica. Scrollai le spalle e la seguii.

Là fuori c’erano passerelle, ponti sospesi, scale di lappolite, balconate, terrazze, tutti di fibra vegetale dura come acciaio e serpeggianti intorno alle capsule, agli steli, ai rami e ai tronchi, come tanta edera. C’era anche aria respirabile. Odorava di foresta dopo la pioggia.

«Campo di contenimento» dissi. Be’, dovevo aspettarmelo. In fin dei conti, se l’antichissima nave del console aveva una loggia esterna…

Mi guardai intorno. «Cosa lo alimenta? Pannelli solari?»

«Indirettamente» rispose Aenea. Trovò per noi una panca e una stuoia di lappolite. Non c’erano ringhiere, in quel balconcino dal fitto intreccio. Il gigantesco ramo, largo almeno trenta metri, finiva in una profusione di foglie sopra di noi e la rete traforata dei tronchi e dei rami "sotto" di noi convinse il mio orecchio interno che eravamo di molti chilometri su una parete di verdi travature incrociate. Resistetti all’impulso di gettarmi disteso sulla stuoia di lappolite e di tenermi aggrappato come se ne andasse della vita. Vidi svolazzare un ragnatelide radiante, seguito da un uccellino più piccolo dalla coda forcuta.

«Indirettamente?» ripetei a bocca piena per un grosso boccone.

«Gli erg convertono in campo di contenimento la maggior parte della luce solare» spiegò Aenea. Sorseggiò la birra e guardò la distesa all’apparenza infinita di foglie sopra di noi, sotto di noi, tutt’intorno a noi, foglie rivolte tutte in direzione della vivida stella. Non c’era aria sufficiente a darci un cielo azzurro, ma il campo di contenimento polarizzava la zona superiore quanto bastava a impedire che si restasse accecati, se si guardava verso il sole.

Rischiai di sputare il boccone; invece bene o male lo inghiottii e dissi: «Erg? Come nei leganti d’energia di Aldebaran? Parli sul serio? Come l’erg portato nell’ultimo pellegrinaggio su Hyperion?»

«Sì» disse Aenea. I suoi occhi neri adesso erano puntati su di me.

«Pensavo che fossero estinti.»

«No.»

Bevvi un lungo sorso dal bulbo di birra e scossi la testa. «Sono confuso.»

«Ne hai il diritto, mio caro amico» disse piano Aenea.

«Questo posto…» con un debole gesto indicai la parete di rami e di foglie che si estendeva lontano come un orizzonte planetario, la curva infinitamente distante di verde e di nero lontano sopra di noi «è impossibile.»

«Non proprio. I templari e gli Ouster ci hanno lavorato, su questo e su altri simili a questo, per un migliaio di anni.

Ripresi a masticare. Il formaggio e il roastbeef erano ottimi. «Così questo è il luogo dove andarono le migliaia o milioni di alberi che abbandonarono Bosco Divino al tempo della Caduta.»

«Alcuni» disse Aenea. «Ma già molto prima della Caduta, i templari lavoravano con gli Ouster per sviluppare anelli di foresta orbitale e biosfere.»

Scrutai in alto. Le distanze mi davano le vertigini. La sensazione di essere su quella piccola piattaforma fronzuta tanti chilometri sopra il nulla mi faceva barcollare. Molto più in basso, sulla nostra destra, quello che pareva un minuscolo rametto verde si mosse lentamente fra il traforo di rami. Vidi il velo del campo di energia intorno al presunto rametto e capii di avere sotto gli occhi una delle leggendarie navi-albero dei templari, quasi certamente lunga chilometri.