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«Allora è un ambiente completo?» dissi. «Una vera sfera di Dyson? Un globo intorno a una stella?»

Aenea scosse la testa. «Per il completamento manca ancora molto, anche se una ventina di anni standard fa hanno collegato tutti i viticci primari del tronco. Tecnicamente è una sfera, ma a questo punto composta in gran parte di buchi, alcuni larghi molti milioni di chilometri.»

«Fottutamente fantastico» dissi, incapace di trovare un’espressione più eloquente. Mi strofinai le guance, sentii la barba lunga. «Ne sono uscito da due settimane?»

«Quindici giorni standard.»

«Di solito il medibox lavora più in fretta.» Terminai il panino, incollai il piatto stagno al piano del tavolino e mi dedicai alla birra.

«Di solito, sì. Di sicuro Rachel ti ha detto che hai trascorso un periodo relativamente breve nel robochirurgo. Ha fatto lei stessa quasi tutti i primi interventi.»

«Perché?»

«Gli scomparti erano occupati. Appena giunti qui, ti abbiamo tolto dalla crio-fuga, ma i tre nel medibox erano in pessime condizioni. De Soya è stato in punto di morte per una settimana intera. Il sergente Gregorius era ferito molto più gravemente di quanto non ci abbia fatto credere quando l’abbiamo incontrato sul Grande Picco. Il terzo, Carel Shan, è morto nonostante l’impegno del medibox e dei medici Ouster.»

«Merda» dissi, abbassando il bulbo di birra. «Mi spiace, è una brutta notizia.» Si finiva per abituarsi a pensare che i robochirurghi aggiustassero praticamente tutto.

Aenea mi guardò con una tale intensità che sentii il suo sguardo scaldarmi la pelle, come me la scaldavano in quel momento i forti raggi del sole. «Come ti senti, Raul?»

«Magnificamente. Qualche dolorino. Riesco a sentire le costole che si saldano. Le cicatrici mi prudono. E ho l’impressione di avere dormito due settimane di fila, ma per il resto sto magnificamente.»

Aenea mi prese la mano: mi accorsi che aveva gli occhi umidi. «Mi sarei incazzata davvero, se tu fossi morto per colpa mia» disse dopo un momento, con voce roca.

«Anch’io.» Le strinsi la mano, alzai gli occhi e all’improvviso balzai in piedi, mandando il bulbo di birra a cadere a spirale nel vuoto e rischiando di seguirlo. Solo le suole di lappolite delle ciabatte mi tennero ancorato. «Santa merda!» esclamai, segnando a dito.

Da quella distanza pareva un calamaro, forse lungo solo un paio di metri. Ma per esperienza personale e perché cominciavo ad abituarmi alla prospettiva in quell’ambiente, sapevo che la realtà era diversa.

«Ah, uno zeplin» disse Aenea. «Gli Akerataeli ne hanno decine di migliaia al lavoro nella biosfera. Stanno nel loro involucro di anidride carbonica e di ossigeno.»

«Non mi mangerà di nuovo, vero?»

Aenea ridacchiò. «Non credo. Quello che ti ha assaggiato di sicuro ha passato parola.»

Cercai la mia birra, vidi il bulbo rotolare un centinaio di metri più in basso, pensai di saltare a prenderlo, ci ripensai e mi sedetti sulla panchina di lappolite.

Aenea mi diede il suo bulbo. «Bevi pure. Non riesco mai a finirli, ’sti cosi.» Mi guardò bere. «Altre domande, giacché ci siamo?»

Mandai giù la sorsata e scrollai le spalle. «Be’, pare che ci sia in giro un mucchio di persone estinte, mitiche e defunte. Ti va di spiegare?»

«Con "estinte" ti riferisci a zeplin, Seneschai e templari?»

«Sì. E agli erg… anche se non li ho ancora visti.»

«I templari e gli Ouster si sono impegnati a proteggere le specie senzienti cui l’uomo dava la caccia, come i coloni su Patto-Maui hanno cercato di salvare i delfini della Vecchia Terra. All’inizio dai primi coloni dell’Egira, poi dall’Egemonia, ora dalla Pax.»

«E le persone mitiche e defunte?»

«Ti riferisci al colonnello Kassad?»

«Anche a Het Masteen. E anche, se è per questo, a Rachel. Pare che qui ci siano tutti i personaggi dei fottuti Canti di Hyperion.»

«Non tutti» disse Aenea, sottovoce e con una certa tristezza. «Il console è morto. A padre Duré non è mai stato consentito di vivere. E mia madre non c’è più.»

«Scusa, ragazzina.»

Aenea mi toccò di nuovo la mano. «Niente, niente. So che cosa vuoi dire: lascia sconcertati.»

«Conoscevi già il colonnello Kassad o Het Masteen?»

«Mia madre mi parlò di loro, naturalmente, e zio Martin aveva alcune cose da aggiungere alla descrizione data nel suo poema. Ma erano scomparsi prima che io nascessi.»

«Scomparsi» ripetei. «Non intendi dire morti?» Cercai di ricordare le stanze dei Canti. Nel racconto del vecchio poeta, Het Masteen, il templare, la Vera Voce dell’Albero, era scomparso su Hyperion durante il viaggio sul carro a vento nel mar d’Erba, poco dopo che la sua nave-albero, la Yggdrasill, era bruciata in orbita. Gli schizzi di sangue nella cabina del templare facevano pensare allo Shrike. Het Masteen aveva lasciato sul carro a vento l’erg racchiuso nel cubo di Moebius. Dopo un certo tempo, i pellegrini avevano trovato Het Masteen nella valle delle Tombe del Tempo. Il templare non aveva saputo spiegare la sua assenza, aveva solo detto che il sangue nella cabina non era suo, aveva gridato che era suo dovere essere la Voce dell’Albero della Sofferenza, ed era morto.

Il colonnello Kassad era scomparso più o meno nello stesso periodo, poco dopo l’ingresso dei pellegrini nella valle delle Tombe del Tempo; ma, secondo i Canti di Martin Sileno, il colonnello della Force aveva seguito la sua amante fantasma, Moneta, nel lontano futuro dove lui sarebbe morto combattendo contro lo Shrike. Chiusi gli occhi e recitai:

Più tardi, nel massacro della valle,

Moneta e alcuni dei guerrieri scelti

feriti tutti,

pesti e straziati dall’orda di Shrike,

videro il corpo di Fedmahn Kassad

ancora stretto in un mortale abbraccio

al muto Shrike.

Alzarono il guerriero, lo toccarono

con la reverenza dovuta alla perdita,

gli lavarono il corpo devastato,

e dentro il Monolito di Cristallo

l’accompagnarono.

Qui l’eroe fu disteso su una lastra

di marmo bianco,

con ai piedi le armi ritrovate.

Nella valle più in là, d’un grande fuoco

s’accese l’aria.

Donne e uomini umani portar torce

nel fitto buio,

mentre scendevan altri dolcemente

nel vivido mattino di turchese,

altri venivan su navi fatate,

bolle di luce,

ed altri ancor sull’ali d’energia

o avvolti in aloni d’oro e verde.

Più tardi, sotto i fuochi delle stelle,

addio disse Moneta a quegli amici

futuri ed entrò nella Sfinge. Grandi

folle cantarono.

Ratti sporsero il muso tra stendardi

caduti dove caddero gli eroi,

mentre il vento fra lame bisbigliava

e punte e spine e cromo e carapace.

E così allora,

giù nella valle,

le Grandi Tombe luccicaron tremule,

trasfigurarono dall’oro al cupo bronzo

e nel tempo si mossero a ritroso.

«Che memoria impressionante!» commentò Aenea.

«Nonna mi dava uno scappellotto a ogni errore. Non cambiare discorso. Il templare e il colonnello per me sono morti.»

«E morti saranno. E morti saremo tutti.»

Aspettai che uscisse dalla fase "oracolo di Delfi".

«I Canti dicono che Het Masteen fu portato via da qualche parte, in qualche tempo, dallo Shrike» riprese Aenea. «Più tardi, dopo essere tornato, morì nella valle delle Tombe del Tempo. Il poema non dice se restò via un’ora o trent’anni. Zio Martin non lo sapeva.»

La guardai con l’aria di chi non abbocca. «E Kassad, ragazzina? Nel suo caso i Canti sono precisi: il colonnello segue Moneta nel lontano futuro, attacca battaglia contro lo Shrike…»

«Legioni di Shrike, in realtà» mi corresse Aenea.

«Già.» Non avevo mai capito quella parte. «Ma pare che non ci siano interruzioni temporali: il colonnello segue Moneta, combatte, muore. Il suo corpo senza vita è deposto nel Monolito di Cristallo e inizia con Moneta il grande viaggio indietro nel tempo.»