Aenea annuì e sorrise. «Con lo Shrike, anche.»
Esitai. Lo Shrike era emerso dalle Tombe, Moneta chissà come aveva viaggiato con lui, e così, per quanto i Canti dicessero chiaramente che Kassad aveva distrutto lo Shrike in quella grande battaglia finale, il mostro era inspiegabilmente ancora vivo e viaggiava con Moneta e con il corpo di Kassad nel…
"Oh, maledizione" pensai "il poema diceva davvero che Kassad era morto?"
«Zio Martin ha dovuto falsificare parti della storia, sai» disse Aenea. «Si è fatto raccontare alcune cose da Rachel, ma si è preso licenze poetiche nelle parti che non capiva.»
«Ah» dissi. "Rachel" pensai. "Moneta." I Canti avevano chiaramente suggerito che la ragazza-bambina Rachel, che con il padre Sol andò avanti nel futuro, sarebbe tornata come la donna Moneta. L’amante fantasma del colonnello Kassad. La donna che lui avrebbe seguito nel futuro, incontro al proprio destino… E che cosa mi aveva detto Rachel, qualche ora prima, quando avevo espresso il sospetto che lei ed Aenea fossero amanti? "Si dà il caso che io sia legata a un certo soldato, maschio, che incontrerai oggi. Be’, in realtà, un giorno sarò legata a lui. Cioè… merda, è complicato."
Proprio complicato. Avevo il mal di testa. Posai il bulbo di birra e mi presi la testa fra le mani.
«È ancora più complicato» disse Aenea.
La scrutai, guardando tra le dita. «Ti va di spiegare?»
«Sì, ma…»
«Lo so, lo so. In un altro momento.»
«Sì» disse Aenea, mentre le prendevo la mano.
«C’è una ragione per cui non possiamo parlarne adesso?»
Aenea annuì. «Adesso dobbiamo andare nella nostra capsula e rendere opache le pareti.»
«Andiamo?»
«Sì.»
«E poi che facciamo?»
«Poi» disse Aenea, staccandosi dalla stuoia di lappolite e tirandomi con sé «facciamo l’amore per ore.»
25
Gravità zero. Assenza di peso.
Mai in precedenza avevo apprezzato realmente quei termini e quella realtà.
La nostra capsula di soggiorno era opaca al punto che la ricca luce della sera pareva filtrare da spessa pergamena. Ancora una volta ebbi l’impressione di trovarmi in un cuore caldo. Ancora una volta capii quanto Aenea fosse nel mio cuore.
All’inizio l’incontro sfiorò l’imparzialità scientifica: Aenea mi tolse con cautela i vestiti, esaminò le cicatrici chirurgiche in via di guarigione, mi sfiorò le costole rotte e saldate, mi passò la mano lungo la schiena.
«Dovrei radermi» dissi. «E fare la doccia.»
«Sciocchezze» mormorò lei. «Ti ho fatto spugnature e bagno sonico ogni giorno, anche stamattina. Sei perfettamente pulito, amore mio. E mi piace la barba lunga.» Mi accarezzò la guancia.
Galleggiavamo sopra i ripiani-armadio, cedevoli e smussati. Aiutai Aenea a togliersi camicetta, calzoni e biancheria. Ogni capo restava a mezz’aria ed Aenea lo spingeva con un calcio nel cassetto dell’armadio; quando tutto fu dentro, chiuse col piede il pannello di fibra vegetale. Ci mettemmo a ridere. I miei vestiti galleggiavano ancora nell’aria tranquilla, le maniche della camicia parevano gesticolare lentamente.
«Prendo il…» cominciai.
«No, non prendi niente» disse Aenea. Mi tirò a sé.
Anche il bacio richiede nuove tecniche, a gravità zero. I capelli di Aenea si raccolsero intorno alla testa come una corona illuminata dal sole, mentre le tenevo fra le mani il viso e la baciavo: labbra, occhi, guance, fronte, labbra di nuovo. Cominciammo a rotolare lentamente, sfiorando la parete liscia e luminosa. Uno di noi diede una spinta e rotolammo insieme nel centro della capsula ovale.
I nostri baci divennero più convulsi. Ogni volta che uno dei due si muoveva per tenere più stretto l’altro, cominciavamo a girare intorno al nostro invisibile centro di massa, braccia e gambe intrappolate mentre ci stringevamo più forte e giravamo più rapidamente. Senza liberarci e interrompere il bacio, protesi il braccio, aspettai che la parete tiepida come carne fosse a portata e fermai il movimento. Il contatto ci spinse via dalla parete e ci mandò di nuovo a roteare, piano piano, verso il centro.
Aenea interruppe il bacio e scostò per un attimo la testa, continuando a tenermi per le braccia e guardandomi. L’avevo vista sorridere diecimila volte negli ultimi dieci anni della sua vita, credevo di conoscerli tutti i suoi sorrisi, ma quello fu il più profondo, più antico, più misterioso e più birbante che avessi mai visto.
«Non muoverti» bisbigliò Aenea; facendo leggermente leva sul mio braccio, ruotò a mezz’aria.
«Aenea…» riuscii solo a dire e poi non potei dire niente. Chiusi gli occhi, dimentico di tutto tranne le sensazioni. Sentivo le sue mani, strette sulla parte posteriore delle gambe, tirarmi verso di lei.
Dopo un attimo le sue ginocchia si posarono sulle mie spalle, le sue cosce mi urtarono lievemente il petto. Allungai la mano verso l’incavo della sua schiena e tirai Aenea più vicino, strusciando la guancia contro il sodo muscolo della coscia interna. A Taliesin West, una delle cuoche aveva un gatto soriano. Spesso, la sera, quando me ne stavo seduto da solo sulla terrazza sud a guardare il tramonto e a sentire le pietre cedere il calore accumulato durante il giorno, aspettando il momento in cui Aenea e io ci saremmo seduti nel suo soggiorno a parlare di tutto e di niente, guardavo il gatto lappare la ciotola di panna. Ora visualizzai quel gatto, ma nel giro di qualche minuto non riuscii più a visualizzare niente, tranne l’immediata e irresistibile sensazione della mia amata che si apriva a me, del tenue sapore di mare, dei nostri movimenti simili al montare della marea, di tutti i miei sensi incentrati nella lenta ma crescente sensazione nel nucleo di me stesso.
Non saprei dire per quanto tempo continuammo a galleggiare a quel modo. Un eccitamento così irresistibile è come un fuoco che bruci tempo. L’intimità assoluta è una dispensa dalle esigenze spaziotemporali dell’universo. Solo le crescenti priorità della nostra passione e l’ineluttabile bisogno di aumentare sempre più la nostra vicinanza segnarono i minuti del nostro atto d’amore.
Aenea allargò ancora le gambe, si spostò, mi lasciò con la bocca ma non con la mano. Roteammo ancora nella luce sfumata, le sue dita e la mia erezione al centro del nostro lento giro. Ci baciammo, labbra umide, mentre Aenea rafforzava la stretta intorno a me. «Ora» bisbigliò. Ubbidii.
Se c’è un vero segreto per l’universo, è questo: quei primi secondi di ardore, di penetrazione, di completa accoglienza da parte dell’amata. Ci baciammo ancora, dimentichi del nostro lento rotolare, nella ricca luce che assumeva intorno a noi una calda intensità di cuore. Aprii gli occhi quanto bastava a vedere i capelli di Aenea ondeggiare come il mantello di Ofelia nel mare d’aria scuro come vino dove galleggiavamo. Avevo davvero l’impressione di tenere la mia amata nell’acqua di un mare salato e profondo, spinto a galla e privo di peso, il suo calore intorno a me come la marea montante, il nostro movimento regolare come i frangenti contro calda sabbia.
«Oops…» bisbigliò Aenea, dopo solo un momento di simile perfezione.
Interruppi per un attimo il bacio, quanto bastava a stabilire che cosa ci aveva separati. «Legge di Newton» bisbigliai contro la sua guancia.
«A ogni azione…» bisbigliò Aenea, ridacchiando piano, tenendomi la spalla come una nuotatrice che si riposi un poco.
«… una reazione uguale e contraria» terminai, sorridendo, finché lei non mi baciò di nuovo.
«Soluzione» bisbigliò Aenea. Con le gambe mi circondò i fianchi. I suoi seni galleggiarono fra noi, i capezzoli mi titillarono il petto.
Poi si distese, di nuovo la nuotatrice, ora tenendosi solo a galla, braccia larghe ma dita ancora intrecciate alle mie. Continuammo a ruotare lentamente intorno al nostro comune centro di gravità, un lento ruzzolio, la mia testa che si girava e scendeva e girava come un cavaliere su un delfino che facesse lente capriole sotto l’acqua illuminata dal sole; ma non ero interessato all’elegante balistica del nostro atto d’amore, non ne ero nemmeno consapevole, ero semplicemente immerso nell’amore. Ci muovemmo più velocemente nel caldo mare d’aria.