«Quanti sono gli zeplin controllati dagli Akerataeli qui sull’Albero Stella?» domandai a Aenea, approfittando di un momento in cui era libera.
«Non so» mi rispose. «Chiediamo a Navson.»
«Non ne abbiamo idea» ci disse Navson. «Si riproducono secondo le necessità di lavoro. Gli stessi Akerataeli sono un perfetto esempio di organismo sciame, di mente alveare: le entità disco, singolarmente, non sono senzienti… in parallelo, sono brillanti. Qui i calamari celesti e altre creature di pianeti gioviani si sono riprodotti secondo necessità, per più di settecento anni standard. Azzarderei che ce ne siano parecchie centinaia di milioni al lavoro nella biosfera… forse un miliardo, a questo punto.»
Fissai le minuscole forme sulla superficie sempre più piccola della biosfera. Un miliardo di creature, ciascuna grande come l’altopiano punta d’Ala del mio pianeta natale…
Ancora più avanti, divennero evidenti gli spazi vuoti fra i rami, un milione di chilometri sopra di noi e mezzo milione sotto di noi. La sezione da dove eravamo partiti era la più antica e la più fitta, ma a grande distanza lungo la curvatura interna della biosfera c’erano interruzioni e divisioni, alcune progettate, altre ancora da riempire con materiale vivente. Comunque anche lì lo spazio era pieno di lavoro e di movimento: comete descrivevano archi fra radici, rami, foglie e tronchi, secondo precise traiettorie, e il loro carico d’acqua in superficie era volatilizzato con raggi di calore, regolati dagli Ouster e alimentati dagli erg, emessi dai tronchi e da foglie riflettenti geneticamente adattate che creavano specchi larghi centinaia di chilometri. Mutata l’acqua in vapore, grandi nuvole andavano alla deriva fra le radici striscianti e inumidivano i miliardi di chilometri quadrati di fogliame.
Più grandi delle comete erano le decine di asteroidi accuratamente posizionati e di lune custodi che si muovevano qualche migliaio o decine di migliaia di chilometri sopra la superficie interna ed esterna della sfera vivente: rettificavano la deriva orbitale, creavano maree e forze d’attrazione per favorire la corretta crescita dei rami, facevano ombra sulla superficie interna della biosfera dove l’ombra era necessaria, servivano da basi d’osservazione e da baracche per gli innumerevoli giardinieri Ouster e templari che sorvegliavano il progetto di decennio in decennio e di secolo in secolo.
E ora, a mezzo minuto luce dalla biosfera, accelerando verso il sole come in cerca del punto di traslazione Hawking, nella vasta cavità della sfera verde si vedeva altro traffico: navi da guerra Ouster, tutte obsolete per gli standard della Pax, con bolle per il motore Hawking o con enormi campi di contenimento a endoreattore; cacciatorpediniere ad alta accelerazione di tipo antiquato e navi C3 di un’epoca da tempo passata; eleganti mercantili sunjammer con grandi vele curve di monofilm luccicante, e dappertutto singoli angeli Ouster che battevano le ali scintillanti per bordeggiare verso il sole o per tornare a precipizio verso la biosfera.
Aenea e gli altri rientrarono nella nave per continuare la discussione. L’argomento era importante: escogitare un modo per impedire alla Pax di attaccare, una finta o una manovra diversiva che impedisse alla flotta in formazione di precipitarsi da questa parte. Ma io avevo in mente cose più importanti.
Quando A. Bettik si girò per lasciare la loggia, gli toccai il braccio. «Puoi restare qui a parlare un minuto?»
«Certo, signor Endymion.» La voce dell’androide era gentile come sempre.
Attesi di essere solo con lui nella loggia (il brusio di conversazione all’interno ci consentiva riservatezza all’esterno) e mi appoggiai alla ringhiera. «Mi spiace che non abbiamo avuto tante occasioni di parlare, dal nostro arrivo qui sull’Albero Stella» dissi.
Il cranio calvo di A. Bettik luccicava nella ricca luce del sole. Il suo sguardo era calmo e amichevole. «Va bene lo stesso, signor Endymion. Dal nostro arrivo, il susseguirsi di eventi è stato abbastanza frenetico. Convengo tuttavia che questo manufatto…» mosse l’unica mano a indicare la gigantesca curvatura dell’Albero Stella che pareva svanire nei pressi dello splendore del sole centrale «invita alla ricerca di occasioni per parlarne.»
«Non volevo parlare dell’Albero Stella né degli Ouster» dissi piano, sporgendomi dalla sua parte.
A. Bettik annuì e aspettò in silenzio.
«Tu hai accompagnato Aenea su tutti i pianeti che ha visitato, dalla Vecchia Terra a T’ien Shan, vero?» dissi. «Ixion, Patto-Maui, Vettore Rinascimento e gli altri.»
«Sì, signor Endymion. Ho avuto il privilegio di viaggiare con lei durante tutto il tempo in cui lei permise ad altri di accompagnarla nel viaggio.»
Mi mordicchiai il labbro; mi rendevo conto che stavo per fare la figura dello sciocco, ma non avevo scelta. «E quando lei non ti permise di accompagnarla nel viaggio?»
«Quando la signora Rachel, la signora Theo e gli altri rimasero con me su Groombridge Dyson D? Continuammo il lavoro della signora Aenea, signor Endymion. Sono stato particolarmente impegnato nella costruzione del…»
«No, no» lo interruppi. «Volevo domandarti che cosa sai della sua assenza.»
A. Bettik esitò. «Virtualmente nulla, signor Endymion» disse poi. «La signora Aenea ci comunicò di doversi assentare per qualche tempo. Aveva provveduto al nostro impiego e alla continuazione del lavoro con i suoi… studenti. Un giorno andò via e rimase via per quasi due anni standard…»
«Un anno, undici mesi, sette giorni e sei ore.»
«Sì, signor Endymion. Esatto.»
«E al suo ritorno non ti ha mai detto dov’era stata?»
«No, signor Endymion. Per quanto ne so, non l’ha mai rivelato a nessuno di noi.»
Avrei voluto afferrare A. Bettik per le spalle, fargli capire perché quella informazione era d’importanza vitale per me. Ma l’androide avrebbe capito? Non lo sapevo. Invece, sforzandomi di usare un tono calmo, quasi disinteressato (e fallendo miseramente) dissi: «Hai notato qualcosa di diverso in Aenea, quando tornò da quella vacanza, A. Bettik?».
Il mio amico androide esitò: non per riluttanza a parlare, pareva, ma per la difficoltà di ricordare sfumature d’emozione umana. «Subito dopo il suo ritorno partimmo per T’ien Shan, signor Endymion» disse poi. «Se ben ricordo, per alcuni mesi la signora Aenea fu soggetta a forti sbalzi d’umore… euforica un minuto, in preda alla più nera disperazione il minuto dopo. Ma quando lei è giunto su T’ien Shan, quella crisi emotiva pareva essersi già attenuata.»
«E non ha mai detto che cosa la provocasse?» Mi sentivo un porco a parlare così alle spalle della mia amata, ma sapevo che lei non avrebbe toccato con me quell’argomento.
«No, signor Endymion. Non mi parlò mai della causa. Presumo che si trattasse di uno o più eventi accaduti durante il periodo di assenza.»
Inspirai a fondo. «Prima che partisse, sugli altri pianeti, Amritsar, Patawpha, uno qualsiasi dei pianeti prima della sua partenza da Groombridge Dyson D… ha avuto… è stata… c’è stato qualcuno?»
«Non capisco, signor Endymion.»
«C’è stato un uomo nella sua vita, A. Bettik? Qualcuno verso il quale mostrasse affetto? Qualcuno che sembrasse in grande intimità con lei?»
«Ah» disse l’androide. «No, signor Endymion, non mi pare che ci fosse qualche maschio che mostrasse uno speciale interesse per la signora Aenea, se non come insegnante e possibile messia, naturalmente.»
«Già. E nessuno tornò con lei, dopo un anno, undici mesi, sette giorni e sei ore?»