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«No, signor Endymion.»

Strinsi la spalla di A. Bettik. «Grazie, amico mio. Mi dispiace di averti fatto queste stupide domande. Solo che… non capisco… da qualche parte c’è un… merda, non importa. È solo una stupida emozione umana.» Mi girai per andarmi a unire agli altri.

A. Bettik mi prese per il polso e mi fermò. «Signor Endymion» disse piano «se l’emozione a cui si riferisce è l’amore, nella mia esistenza ho osservato la specie umana abbastanza a lungo da sapere che l’amore non è mai un’emozione stupida. Credo che la signora Aenea abbia ragione, quando insegna che potrebbe essere la principale energia dell’universo.»

Rimasi a guardarlo a bocca aperta, mentre lasciava la loggia e tornava nell’affollata biblioteca.

Erano sul punto di prendere una decisione.

«Secondo me» diceva Aenea, mentre entravo nella sala «dovremmo mandare un messaggio per mezzo della navetta a propulsione Gideon. Mandarlo direttamente e subito.»

«Confischeranno la navetta» disse Sian Quintana Ka’an, nel suo musicale contralto. «Ed è l’unica nave a propulsione istantanea che ci resta.»

«Bene» disse Aenea. «Quelle navi sono un abominio. Ogni volta che le si usa, si distrugge una parte del Vuoto che lega.»

«Tuttavia» disse Paul Uray, nel suo rauco dialetto Ouster, dando l’impressione di qualcuno che parlasse per radio fra scariche di statica «resta la possibilità di usare la navetta come mezzo di tiro.»

«Per lanciare testate nucleari o armi al plasma contro l’armada?» replicò Aenea. «Mi pareva che avessimo accantonato questa eventualità.»

«È il nostro unico modo di colpirli prima che ci colpiscano» disse il colonnello Kassad.

«Non sarebbe di alcun vantaggio» disse la Vera Voce dell’Albero Stella Ket Rosteen. «Le navette automatiche non sono costruite per la precisione. Una nave da guerra Arcangelo la distruggerebbe a minuti luce dal bersaglio. Sono d’accordo con Colei che insegna. Mandiamo il messaggio.»

«Ma il messaggio fermerà il loro attacco?» domandò Systenj Coredwell.

Aenea mosse la mano in quel gesto che conoscevo bene. «Non ci sono garanzie… ma se il messaggio li spiazza, almeno useranno le loro navette automatiche istantanee per rinviare l’attacco. Il tentativo vale la pena, ritengo.»

«E cosa dirà il messaggio?» domandò Rachel.

«Per favore, passatemi quella pergamena e lo stilo» disse Aenea.

Theo andò a prendere l’occorrente e lo depose sullo Steinway. Tutti, compreso me, si affollarono intorno a Aenea, che scrisse:

A papa Urbano XVI e al cardinale Lourdusamy.

Vengo su Pacem, al Vaticano.

Aenea.

«Ecco» disse la mia giovane amica, passando la pergamena a Navson Hamnim. «Per favore, appena avremo attraccato, mettila nella navetta corriere; predisponi il radarfaro su "Contiene messaggio scritto" e invia la navetta nel sistema di Pacem.»

L’Ouster prese la pergamena. Non avevo ancora imparato l’arte di leggere l’espressione facciale degli Ouster, ma capivo che qualcosa rendeva incerto Navson Hamnim. Forse era una forma ridotta dello stesso confuso timore che in quel momento mi riempiva il petto.

"Vengo su Pacem" pensai. Che diavolo significava, maledizione? Come poteva, Aenea, andare su Pacem e restare viva? Impossibile. E dovunque lei andasse, ero certo di una sola cosa: sarei stato al suo fianco. Ciò significava che Aenea avrebbe ucciso anche me, se era di parola. Com’era sempre stata. "Vengo su Pacem." Era solo un trucco per trattenere la loro flotta? Una vuota minaccia? un modo di tenerli in stallo? Avevo voglia di scuotere la mia amata fino a farle cadere i denti, o finché non mi avesse spiegato tutto.

«Raul» disse Aenea. Con un gesto mi invitò ad avvicinarmi.

Forse, pensai, questa era la spiegazione che volevo, forse dall’altra parte della stanza aveva letto la mia espressione e aveva visto il mio tumulto interiore. Invece Aenea disse solo: «Palou Koror e Drivenj Nicaagat mi mostreranno cosa si prova a volare come un angelo. Vuoi venire con me? Lhomo ha già accettato».

"Volare come un angelo?" Per un momento fui sicuro che straparlasse.

«Hanno una dermotuta in più, se vuoi venire» diceva intanto Aenea. «Ma dobbiamo muoverci subito. Siamo quasi tornati all’Albero Stella e la nave attraccherà fra qualche minuto. Het Masteen deve continuare il carico e l’approvvigionamento della Yggdrasill e io ho cento cose da fare prima di domani.»

«Va bene» dissi, senza sapere a che cosa acconsentissi. «Vengo anch’io.» In quel momento ero abbastanza ingrugnito da pensare che la risposta era una meravigliosa metafora per tutti i miei dieci anni di odissea: "Va bene, non so cosa faccio né dove mi caccio, ma conta anche me nel gruppo".

Uno degli Ouster adattati allo spazio, Palou Koror, ci diede le dermotute. Avevo già usato le dermotute, naturalmente… l’ultima volta risaliva solo a qualche settimana prima (anche se mi parevano mesi o anni) quando con Aenea e A. Bettik avevo scalato il T’ai Shan, il Grande Picco del Regno di mezzo… ma non avevo mai visto né toccato una dermotuta come quelle.

L’invenzione delle dermotute risale a parecchi secoli fa e si basa sull’idea che il modo migliore per non esplodere nel vuoto non è l’ingombrante tuta pressurizzata dei primi giorni del volo spaziale, ma un rivestimento così sottile da consentire la traspirazione anche mentre protegge la pelle dal terribile calore, dal freddo e dal vuoto dello spazio. In tutti questi secoli le dermotute non sono cambiate molto, se non per incorporare filamenti per riciclare l’aria e pannelli osmotici. La mia ultima dermotuta era un manufatto dell’Egemonia, abbastanza efficiente, prima che con le sue unghie Rhadamanth Nemes la riducesse a brandelli.

Ma questa non era una dermotuta normale. Argentea, malleabile come mercurio, mi diede la sensazione, quando Palou Koror me la passò, di un caldo grumo di protoplasma privo di peso. Si muoveva davvero come mercurio. No, si muoveva e scorreva come una fluida creatura vivente. Per la sorpresa la lasciai quasi cadere; la presi al volo con l’altra mano e me la vidi rifluire di alcuni centimetri su per il polso e il braccio, come un alieno che assorbisse carne.

Di sicuro mi lasciai sfuggire un’esclamazione, perché Aenea disse: «Sì, Raul, è viva. Quella dermotuta è un organismo, geni modificati su misura e interventi di nanotecnologia, ma un organismo spesso solo tre molecole».

«Come faccio a metterla?» dissi, guardandola rifluire su per il braccio fino alla manica e poi ritrarsi. Sospettai che quella creatura fosse più un carnivoro che un indumento. E poi, il guaio delle dermotute è che vanno portate a contatto della pelle: non si possono tenere strati di stoffa sotto una dermotuta. In nessuna parte del corpo.

«Ah, è facile» disse Aenea. «Niente acrobazie, come per le vecchie dermotute. Basta spogliarsi, restare immobili e lasciarsela cadere sulla testa. La dermotuta rifluisce addosso. Dobbiamo sbrigarci.»

La spiegazione non mi ispirò grande entusiasmo.

Aenea e io chiedemmo permesso, salimmo la scala a chiocciola e andammo nella stanza da letto in punta della nave. Ci spogliammo rapidamente. Guardai la mia amata, in piedi, nuda, accanto all’antico (e comodo, come ben ricordavo) letto del console, e fui sul punto di suggerirle un modo migliore di passare il tempo prima dell’attracco. Ma Aenea agitò il dito per ammonirmi, alzò sopra la testa il grumo di argenteo protoplasma e se lo lasciò cadere nei capelli.

Era allarmante, guardare quell’organismo color argento inghiottire Aenea, fluire su di lei dai capelli come metallo liquido, coprirle gli occhi e la bocca e il mento, scorrerle lungo il collo come lava riflettente, poi coprirle spalle, seni, ventre, fianchi, pube, cosce, ginocchia… Alla fine Aenea alzò prima un piede, poi l’altro, e il rivestimento fu completo.

«Tutto a posto?» dissi, con una voce preoccupata, mentre il mio grumo mi pulsava nella mano, ansioso di mettere le grinfie su di me.

Aenea, o la statua cromata che era stata Aenea, alzò il pollice e poi si indicò la gola. Capii che cosa voleva dire: come per le dermotute dell’Egemonia, da ora in poi ci saremmo parlati mediante i microfoni di subvocalizzazione.