Sollevai a due mani la massa pulsante, trattenni il fiato, chiusi gli occhi, me la lasciai cadere sulla testa.
Occorsero meno di cinque secondi. Per un terribile istante fui sicuro di non poter respirare, sentendo la massa viscida coprirmi il naso e la bocca; ma poi ricordai di inspirare e respirai ossigeno fresco e puro.
"Mi senti, Raul?" La voce di Aenea era molto più distinta di quanto non fosse stata attraverso gli auricolari della vecchia dermotuta.
Risposi con un cenno affermativo, poi subvocalizzai: "Sì. Fa uno strano effetto!"
"Signora Aenea, signor Endymion, siete pronti?"
Impiegai un secondo per capire che era la voce del secondo Ouster spazio-adattato, Drivenj Nicaagat, sulla banda della dermotuta. Avevo già udito la sua voce, ma trasmessa mediante sintetizzatore di linguaggio. Sulla linea diretta, era perfino più chiara e melodiosa del cinguettio di Sian Quintana Ka’an.
"Siamo pronti" rispose Aenea. Scendemmo la scala a chiocciola, passammo in mezzo alla folla e uscimmo sulla loggia.
"Buona fortuna, signora Aenea, signor Endymion." Era A. Bettik, che ci parlava per mezzo della nave. L’androide toccò la spalla a tutt’e due mentre noi ci avvicinavamo alla balaustra della loggia dove aspettavano Koror e Nicaagat.
Anche Lhomo ci aspettava: l’argentea dermotuta gli metteva in rilievo i muscoli delle braccia e delle cosce, il ventre piatto. Per un attimo mi sentii impacciato: da un lato avrei voluto indossare qualcosa sopra lo strato di fluido argenteo spesso millesimi di millimetro, dall’altro rimpiangevo di non essermi impegnato per mantenere in forma il fisico. Aenea era bellissima, pareva una statua cromata. Ero lieto che nessuno, a parte l’androide, ci avesse seguito sulla loggia.
Ora la nave si trovava a meno di duemila chilometri dall’Albero Stella e decelerava forte. Palou Koror saltò con facilità sulla sottile balaustra della loggia, tenendosi in equilibrio nella gravità un sesto del normale. Drivenj Nicaagat seguì il suo esempio, imitato da Lhomo e poi da Aenea; per ultimo, con molta meno grazia, mi unii a loro. Avevo la schiacciante sensazione di trovarmi a grande altezza e allo scoperto: il grande bacino verde dell’Albero Stella sotto di noi, le pareti di foglie che si alzavano a distanze incommensurabili su tutti i lati, la massa della nave che descriveva una curva e spariva sotto di noi in equilibrio sulla sottile colonna di fiamma di fusione come un edificio traballante su un fragile pilastro azzurrino. Provai un senso di nausea: stavamo per saltare nel vuoto.
"Non preoccupatevi, staccherò il campo di contenimento nel preciso istante in cui lo attraverserete e passerò ai repulsori EM finché non sarete lontano dai gas di scarico del motore." Capii che a parlare era la nave. Non avevo idea di che cosa stavamo per fare.
"Le tute dovrebbero darvi una rozza idea del nostro adattamento" diceva intanto Palou Koror. "Certo, per quelli fra noi che hanno scelto l’integrazione totale, non sono le tute semisenzienti e i loro microprocessori molecolari e consentirci di vivere e muoverci nello spazio, ma i circuiti adattati nella nostra pelle, sangue, occhi, cervello."
"Come facciamo a…" iniziai, trovando una certa difficoltà a subvocalizzare, come se la bocca asciutta avesse effetto sui muscoli della gola.
"Tranquilli" disse Nicaagat. "Non apriremo le ali finché non saremo alla distanza giusta. Le ali non si urteranno: i campi non lo permetterebbero. I comandi sono del tutto intuitivi. I sistemi visivi della tuta dovrebbero interfacciarsi col vostro sistema nervoso e con i neurosensori, richiamando i dati quando occorre."
"Dati? Quali dati?" Nelle mie intenzioni era solo un pensiero, ma la trasmittente della tuta diffuse la mia voce.
Aenea mi prese la mano. "Sarà divertente, Raul. Gli unici minuti liberi che avremo oggi, credo. O per un bel pezzo."
In quel momento, in equilibrio sulla balaustra, sull’orlo di una terrificante caduta verticale nelle fiamme di fusione e nel vuoto, non capii esattamente il significato delle sue parole.
"Venite" disse Palou Koror e saltò dalla ringhiera.
Aenea e io saltammo insieme, tenendoci per mano.
Aenea mi lasciò la mano e ruotammo lontano l’uno dall’altra. Il campo di contenimento si aprì e ci proiettò a distanza di sicurezza; il motore a fusione si spense, mentre noi cinque roteavamo lontano dalla nave, e poi si riaccese: la nave parve precipitare verso l’alto e lontano da noi, per la diversa velocità di decelerazione; e continuammo a cadere, una sensazione opprimente, cinque sagome argentee, a braccia e gambe larghe, che si separavano sempre più in fretta l’una dall’altra, che precipitavano insieme verso il traliccio dell’Albero Stella ancora parecchie migliaia di chilometri più indietro. Poi le ali si aprirono.
"Per i nostri scopi di oggi, bastano ali-luce larghe un chilometro" disse nel mio orecchio la voce di Palou Koror. "Se dovessimo viaggiare più lontano o a velocità maggiore, sarebbero molto più estese… anche parecchie centinaia di chilometri."
Quando alzai le braccia, i pannelli di energia estrusi dalla dermotuta si srotolarono come ali di farfalla. Sentii davvero l’improvvisa spinta della luce del sole.
"Sentiamo soprattutto la corrente della linea del campo magnetico primario che seguiamo" disse Palou Koror. "Se posso intervenire sulla vostra tuta per un secondo… ecco fatto."
La visione mutò. Guardai a sinistra, dove Aenea era in caduta libera, già distante vari chilometri, una lucente crisalide argentea contro ali dorate in espansione. Gli altri brillavano dietro di lei. Vedevo davvero il vento solare, la particelle cariche e le correnti di plasma che fluivano a spirale verso l’esterno lungo la geometria infinitamente complessa della eliosfera: rosse linee di campo magnetico distorto, disposte a spire, come dipinte sulla superficie interna della conchiglia di un nautilo in continuo mutamento; e tutto quel ritorto, multistrato, variegato fremito di fiumi di plasma rifluiva verso un sole che non pareva più una pallida stella, ma il punto focale di milioni di linee di campo convergenti, distese di plasma espulse a 400 chilometri al secondo e attratte in quelle forme dai pulsanti campi magnetici negli equatori nord e sud. I festoni viola delle linee magnetiche sfrecciavano verso l’interno, si intrecciavano con il rosso cremisi delle correnti di campo che esplodevano verso l’esterno. Vedevo i vortici azzurri dell’onda d’urto eliosferica intorno ai margini esterni dell’Albero Stella, le lune e le comete che tagliavano il plasma come navi che solcassero di notte le onde fosforescenti di un oceano, e vedevo le nostre ali dorate interagire con quell’ambiente di plasma e di correnti magnetiche, afferrare fotoni come miliardi di lucciole nelle nostre reti: vele che si gonfiavano alle correnti di plasma, i nostri corpi argentei che acceleravano lungo le grandi pieghe scintillanti e le geometrie magnetiche a spirale della matrice eliosferica.
In aggiunta a questa visione accresciuta, sul quadro visivo della tuta si sovrapponevano dati di traiettoria e di calcolo che per me non avevano significato, ma che per quegli Ouster spazio-adattati rappresentavano senza dubbio la differenza fra la vita e la morte. Equazioni e funzioni passavano in un lampo, parevano galleggiare lontano nel punto focale critico; ne ricordo solo qualche esempio:
Non capii nessuna di quelle equazioni, ma capii che ci avvicinavamo all’Albero Stella a velocità troppo elevata. In aggiunta alla velocità della nave, avevamo ricevuto la spinta del vento solare e del fiume di plasma. Cominciavo a capire che quelle ali di energia potevano spingere lontano da una stella, anche a velocità impressionante; ma come ci si fermava in uno spazio che pareva inferiore a mille chilometri?
"È fantastico." La voce di Lhomo. "Stupefacente."
Ruotai la testa e vidi il nostro amico aviatore di T’ien Shan, molto lontano a sinistra e vari chilometri più in basso. Lhomo era già entrato nella zona delle foglie, planava e risaliva proprio sopra la confusa macchia azzurrina del campo di contenimento che circondava come membrana osmotica i rami e gli spazi fra i rami.