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"Come diavolo ci riesce?" mi stupii.

Anche stavolta, senza accorgermene, subvocalizzai il pensiero, perché udii la profonda, caratteristica risata di Lhomo e subito dopo ricevetti: "Usa le ali, Raul. E collabora con l’albero e con gli erg!".

Collabora con l’albero e con gli erg? Il mio amico aveva di sicuro perduto la ragione.

Poi vidi Aenea estendere le ali, manovrarle sia col pensiero sia col movimento delle braccia. Più avanti rispetto a lei, il mondo di rami si avvicinava a velocità terrificante. Allora cominciai a capire il trucco.

"Così va bene." La voce di Drivenj Nicaagat. "Prendi il vento repulsore. Bene."

Vidi i due Ouster svolazzare come farfalle e il torrente di plasma che si alzava dall’Albero Stella a circondarli; all’improvviso li sorpassai a grande velocità, come se loro avessero aperto il paracadute e io fossi ancora in caduta libera.

Ansimando nel campo della dermotuta, col cuore che batteva forte, allargai braccia e gambe e ordinai mentalmente alle ali di diventare più grandi. Le pieghe di energia baluginarono e si espansero di almeno due chilometri. Sotto di me, una distesa di foglie si spostò, si girò con lentezza diretta a uno scopo ben preciso, come in un documentario al rallentatore di fiori che cerchino la luce; le foglie si piegarono e si sovrapposero, formarono un liscio disco parabolico del diametro di almeno cinque chilometri e divennero perfettamente riflettenti.

La luce del sole mi colpì col suo splendore. Se avessi guardato senza protezione agli occhi, sarei stato accecato all’istante. Invece i visori della tuta si polarizzarono. Io udii la luce del sole colpire la dermotuta e le ali, con un forte picchiettio come di pioggia contro un tetto di lamiera. Distesi le ali per cogliere l’ardente folata di luce nello stesso istante in cui gli erg sull’Albero Stella più in basso chiudevano la matrice dell’eliosfera, ripiegavano contro di noi il torrente di plasma, facevano decelerare rapidamente ma non dolorosamente Aenea e me. Battemmo le ali e passammo nei pergolati di rami esterni dell’Albero Stella, mentre i visori della dermotuta continuavano a far balenare dati davanti ai miei occhi:

La qual cosa in qualche modo mi assicurò che l’albero forniva il giusto quantitativo di luce solare basato sulla sua massa e luminosità, mentre l’erg forniva la giusta quantità di plasma eliosferico e di ritorno magnetico per portarci a un delta-v prossimo a zero prima che colpissimo uno degli enormi rami principali o incrociassimo il campo di contenimento.

Aenea e io seguimmo gli Ouster, usando le ali come loro usavano le proprie, risalendo e poi battendole, frenando e poi espandendole per catturare la luce del sole per una nuova accelerata, calando a precipizio fra i rami esterni, risalendo sopra il frondoso strato esterno dell’Albero Stella, poi tuffandoci di nuovo in profondità fra i rami, ripiegando le ali per passare fra capsule o ponti coperti, al di là dei campi di contenimento, precipitando intorno ad affaccendati calamari celesti i cui tentacoli erano dieci volte più lunghi della nave del console che ora decelerava con prudenza nel livello delle foglie, poi riaprendo le ali per saettare al di là di banchi di migliaia di piastrine Akerataeli di un azzurro pulsante che parvero salutarci al nostro passaggio.

Proprio sotto il baluginio del campo di contenimento c’era un enorme ramo piattaforma. Non sapevo se le ali avrebbero funzionato nel campo, ma Palou Koror attraversò con un semplice scintillio la barriera, come un tuffatore che tagli con eleganza l’acqua, seguito da Drivenj Nicaagat, da Lhomo, da Aenea, infine da me; ripiegai le ali fino a ridurne il diametro a una decina di metri, attraversai la barriera di energia e tornai di nuovo in un ambiente di aria, di suoni, di odori, di brezze.

Atterrammo sulla piattaforma.

«Davvero bravi, per il primo volo» disse Palou Koror, con voce ora sintetizzata per l’atmosfera. «Volevamo condividere con voi un breve momento della nostra vita.»

Aenea disattivò la dermotuta intorno al viso e lasciò che rifluisse in un collare di mercurio fluido. Aveva occhi luminosi, pieni di vita come mai li avevo visti. Era rossa d’entusiasmo, aveva i capelli madidi. «Meraviglioso!» esclamò. Si girò, mi prese per la mano, mi tenne stretto. «Meraviglioso… Grazie infinite. Grazie, grazie, grazie, cittadino Nicaagat, cittadino Koror.»

«È stato un piacere, riverita maestra» disse Nicaagat, con un inchino.

Alzai gli occhi e mi accorsi che la Yggdrasill era ormeggiata proprio sopra di noi: il chilometro di rami e tronchi della nave-albero si fondeva perfettamente con i rami della biosfera. La notai solo perché un calamaro spaziale aveva ormeggiato la nave del console e in quel momento la tirava lentamente in una capsula hangar. Cloni d’equipaggio, impegnati in un febbrile lavoro, portavano nella nave di Het Masteen carichi di provviste e cubi di Moebius; decine di cordoni ombelicali di supporto vita e di steli vegetali di collegamento correvano dall’Albero Stella alla nave-albero.

Aenea mi stringeva ancora la mano. Quando girai lo sguardo dalla nave-albero sospesa sopra di noi alla mia amica, Aenea si sporse e mi baciò sulle labbra. «Riesci a immaginarlo, Raul? Milioni di Ouster spazio-adattati vivono realmente là fuori, vedono in continuazione tutta quella energia, volano per settimane e mesi nel vuoto dello spazio, corrono nelle tumultuose rapide delle sfere magnetiche e nei vortici intorno ai pianeti, cavalcano le onde d’urto del vento solare, per dieci o più UA, e poi volano ancora oltre, ai confini dell’eliosfera, da settantacinque a centocinquanta UA dalla stella, là dove il vento solare cessa e inizia l’ambiente interstellare. Odono davvero il sibilo e i bisbigli e il rombo dei frangenti dell’oceano dell’universo. Riesci a immaginarlo?»

«No» risposi. Non ci riuscivo. Non sapevo di che cosa parlasse. A quel tempo, almeno.

A. Bettik, Rachel, Theo, Kassad e gli altri scesero da una liana di transito. Rachel portò gli abiti per Aenea. A. Bettik aveva quelli per me.

Ouster e altri circondarono di nuovo la mia amica, cercarono risposte a domande urgenti, chiarimenti di ordini, fecero rapporti sull’imminente lancio della navetta automatica a propulsione Gideon. La pressione della folla ci separò.

Aenea girò la testa e mi salutò col braccio. Alzai la mano, ancora argentata dalla dermotuta, per ricambiare il saluto, ma lei era già sparita.

Quella sera alcune centinaia di noi presero una capsula di trasporto trainata da un calamaro celeste per raggiungere un sito a molte migliaia di chilometri a nordest sul piano dell’eclittica lungo il guscio interno della biosfera Albero Stella; ma il viaggio durò meno di trenta minuti, perché il calamaro usò una scorciatoia, tagliando un arco nello spazio dalla nostra sezione di sfera a quella di destinazione.

Il complesso di capsule viventi e di piattaforme pubbliche, di rami torre e di ponti di collegamento in quella sezione dell’albero ancora molto vicina alla nostra regione, per la geografia di quella gigantesca struttura, pareva diversa — più ampia, più barocca, davvero aliena — e gli Ouster e i templari di quella zona parlavano un dialetto leggermente diverso, mentre gli Ouster spazio-adattati si ornavano con bande di colore scintillante che non avevo ancora visto. Lì, nelle zone fornite di atmosfera, c’erano altri tipi di uccelli e di animali: pesci esotici che nuotavano nell’aria nebbiosa, grandi branchi di creature simili alle orche della Vecchia Terra, munite però di corte braccia e di eleganti mani. E questa zona distava solo poche migliaia di chilometri da quella che conoscevo. Non riuscivo a immaginare la diversità di culture e di forme di vita in tutta quella biosfera. Per la prima volta capii ciò che Aenea e gli altri avevano continuato a ripetermi: le sezioni già ultimate della biosfera avevano maggiore superficie di tutti i pianeti scoperti dall’uomo nei suoi mille anni di volo interstellare. Una volta completato l’Albero Stella e accelerata la biosfera interna, il volume di spazio vivibile,avrebbe superato quello di tutti i pianeti abitabili della Via Lattea.