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Per secoli, dopo la morte della Vecchia Terra, Marte era stato un pianeta così arretrato che la Rete non vi aveva posto teleporter; un pianeta desertico, interessante solo per gli orfani della Nuova Palestina (il leggendario colonnello Fedmahn Kassad, scoprì con sorpresa il cardinale Mustafa, era nato su Marte, in un campo di trasferimento di palestinesi) e per i cristiani zen che tornavano al bacino Hellas per ristabilire sul Massiccio Zen l’illuminazione del loro maestro Schrauder. Per circa un secolo era parso che il gigantesco progetto di terraforming avrebbe funzionato — mari riempirono gli enormi bacini d’impatto e felci cicladee proliferarono lungo il fiume Marineris — ma poi ci furono le battute d’arresto, vennero a mancare i fondi per combattere l’entropia e iniziarono i sessantamila anni della glaciazione seguente.

Al culmine della civiltà della Rete dei Mondi, l’ala militare dell’Egemonia, la Force, aveva istallato sul pianeta rosso i teleporter e aveva crivellato di habitat gran parte del gigantesco vulcano Olimpo, per stabilirvi la loro Scuola di comando. L’isolamento di Marte dal commercio e dalla cultura delle Rete fu molo utile alla Force e il pianeta rimase una base militare fino alla Caduta dei teleporter. Nel secolo successivo alla Caduta, residui della Force formarono una brutale dittatura militare, la cosiddetta Macchina da guerra marziana, che estese il proprio dominio fino ai sistemi solari Centauro e Tau Ceti e che sarebbe potuta divenire il germe di un secondo impero interstellare, se la Pax non fosse intervenuta: sconfisse rapidamente le flotte marziane, ricacciò la Macchina da guerra nel sistema della Vecchia Terra, mandò i signori della guerra a nascondersi tra le rovine delle basi orbitali della Force e negli antichi tunnel sotto il monte Olimpo, creò basi della Flotta della Pax nella cintura degli asteroidi e fra le lune di Giove, inviò infine su Marte missionari e governatori della Pax.

Sul pianeta rosso era rimasto poco da convertire per i missionari e poco da amministrare per i funzionari della Pax. L’aria era divenuta rarefatta e gelida; le grandi città erano state abbandonate; i grandi simùn, le tempeste di sabbia da polo a polo, erano ricomparsi; epidemie e pestilenze si aggiravano nei gelidi deserti, decimando le ultime bande di nomadi che discendevano dalla un tempo nobile specie di marziani; e poco più che affusolati cactus da brandy crescevano ora là dove molto tempo prima prosperavano i grandi frutteti di meli e i campi di bradburie.

Stranamente, furono proprio i maltrattati e oppressi palestinesi del gelato pianoro di Tharsis a sopravvivere e prosperare. Gli orfani dell’antica diaspora nucleare del 2038 si erano adattati al rude sistema di vita marziano e, al momento dell’arrivo dei missionari, avevano esteso la propria cultura islamica a molte delle tribù nomadi superstiti e alle città-stato del pianeta. I neopalestinesi, che per più di un secolo si erano rifiutati di sottomettersi alla spietata Macchina da guerra marziana, ora non mostravano alcun desiderio di cedere alla Chiesa la propria autonomia.

Lo Shrike era comparso proprio nella capitale palestinese Arafat-kaffiyeh e aveva massacrato centinaia, forse migliaia, di persone.

Il Grande Inquisitore conferì con i suoi collaboratori, si incontrò con i comandanti della Flotta della Pax in orbita e scese in forze sul pianeta. Lo spazioporto principale, nella città capoluogo di San Malachia, fu chiuso al traffico civile, ma la cosa non suscitò disagi, visto che per una settimana marziana non era in programma l’arrivo di navette commerciali o passeggeri. Sei scialuppe d’assalto precedettero la navetta del Grande Inquisitore; quando il cardinale Mustafa pose piede sul suolo marziano, sul tarmac della Pax, per l’esattezza, cento guardie svizzere e commandos del Sant’Uffizio circondavano lo spazioporto. La delegazione ufficiale marziana di benvenuto, che comprendeva l’arcivescovo Robeson e il governatore Clare Palo, fu perquisita e controllata con sonde soniche, prima di avere il benestare per la cerimonia.

Dallo spazioporto, il gruppo del Sant’Uffizio fu trasportato su mezzi di terra per vie in rovina al recente palazzo del governatore, costruito dalla Pax nella zona periferica di San Malachia. Lo spiegamento di agenti della sicurezza era notevole. Oltre agli agenti personali del Grande Inquisitore, ai marines della Flotta, alle forze di polizia del governatore e al reparto di guardie svizzere dell’arcivescovo, un reggimento di fanteria corazzata della Guardia nazionale era accampato attorno al palazzo. Qui furono mostrate al Grande Inquisitore le prove che, due settimane prima, lo Shrike era comparso sul pianoro Tharsis.

«È assurdo» disse il Grande Inquisitore, la notte prima di volare sulla scena dell’attacco dello Shrike. «Tutti quegli ologrammi e quei video o sono vecchi di due settimane oppure sono presi da grande altezza. Cosa abbiamo? Alcuni ologrammi di ciò che dev’essere lo Shrike e alcune sfocate scene di massacro. Fotografie di cadaveri di cittadini della Pax trovati dalla Guardia nazionale all’ingresso in città. Ma dove sono gli abitanti locali? Dove sono i testimoni oculari? Dove sono i duemilasettecento cittadini di Arafat-kaffiyeh?»

«Non lo sappiamo» rispose il governatore Clare Palo.

«Abbiamo inviato un rapporto al Vaticano» disse l’arcivescovo Robeson. «La navetta corriere Arcangelo ci ha portato l’ordine di non manomettere le prove. E di aspettare il vostro arrivo.»

Il Grande Inquisitore scosse la testa e prese una delle fotografie su carta. «E questa cos’è? Una base della Flotta della Pax alla periferia di Arafat-kaffiyeh? Questo spazioporto è più nuovo di quello di San Malachia.»

«Non è della Flotta» rispose il capitano Wolmak, comandante della Jibril e nuovo responsabile della task force del sistema della Vecchia Terra. «Ma calcoliamo che, nella settimana precedente la comparsa dello Shrike, da trenta a cinquanta navette al giorno usassero quell’impianto.»

«Da trenta a cinquanta navette al giorno» ripeté il Grande Inquisitore. «E non erano navette della Flotta! Di chi erano, allora?»

Nessuno aprì bocca.

«Della Pax Mercatoria?» insistette il Grande Inquisitore.

«No» rispose infine l’arcivescovo. «Non erano della Pax Mercatoria.»

Il Grande Inquisitore incrociò le braccia e attese.

«Erano navette noleggiate dall’Opus Dei» spiegò il governatore Clare Palo, con voce sottile.

«Per quale scopo?» domandò il Grande Inquisitore. In quella suite del palazzo erano state ammesse solo guardie del Sant’Uffizio, poste a intervalli di sei metri lungo la parete di pietra.

Il governatore allargò le braccia. «Non sappiamo, eccellenza.»

«Domenico» intervenne l’arcivescovo, con un leggero tremito nella voce «abbiamo ricevuto l’ordine di non indagare.»

Il Grande Inquisitore avanzò di un passo, incollerito. «L’ordine di non indagare… da chi? Chi ha l’autorità di ordinare all’arcivescovo residente e al governatore planetario della Pax di non interferire?» Non si curò di mascherare la collera. «In nome di Cristo! Chi ha un simile potere?»

L’arcivescovo guardò il cardinale Mustafa, con occhi dolenti ma con aria di sfida. «In nome di Cristo, per l’appunto, eccellenza. I rappresentanti dell’Opus Dei avevano diskey ufficiali della Commissione pontificia per la giustizia e la pace. Ci hanno detto che si trattava di faccende della sicurezza, ad Arafat-kaffiyeh. Ci hanno detto che non erano affari nostri. Ci hanno detto di non interferire.»

Il Grande Inquisitore sentì il sangue montargli alla testa: stentò a tenere a freno la collera. «La sicurezza, su Marte o in qualsiasi altro luogo della Pax, è responsabilità del Sant’Uffizio!» replicò in tono piatto. «La Commissione pontificia per la giustizia e la pace non ha alcun privilegio qui! Dove sono i suoi rappresentanti? Perché non partecipano a questa riunione?»

Il governatore Clare Palo alzò la mano e indicò la fotografia tra le dita del Grande Inquisitore. «Eccoli lì, eccellenza. Quelli sono i funzionari della Commissione.»