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Il gruppo seguì l’uomo in armatura nera, ma lentamente, senza molta voglia.

Catalogarono 362 cadaveri. Molti erano nelle vie, ma per la maggior parte si trovavano negli edifici della città o nei capannoni, negli hangar e nei velivoli spaziali del nuovo spazioporto alla periferia di Arafat-kaffiyeh. Furono scattati ologrammi e le squadre di medicina legale del Sant’Uffizio presero in mano la faccenda e registrarono ogni sito, prima di portare i cadaveri alla morgue della base della Pax, fuori di San Malachia. Fu accertato che tutti i cadaveri erano di persone nate su altri pianeti: tra di loro non c’erano palestinesi né indigeni marziani.

Ma fu soprattutto lo spazioporto a incuriosire e lasciare perplessi gli esperti della Pax.

«Otto navette al servizio dello spazioporto» disse il maggiore Piet. «È un numero notevole. Lo spazioporto di San Malachia ne usa solo due.» Diede un’occhiata al violaceo cielo marziano. «Presumendo che le navi interessate al traffico avessero le proprie navette… almeno due, se erano carghi… allora siamo di fronte a una organizzazione notevole.»

Il Grande Inquisitore guardò l’arcivescovo di Marte, ma Robeson si limitò ad alzare le mani. «Non sappiamo niente di queste operazioni» disse. «Come ho già spiegato, era un progetto dell’Opus Dei.»

«Be’» disse il Grande Inquisitore «per quanto ci risulta, tutto il personale dell’Opus Dei è morto, della vera morte, e non è ricuperabile; perciò adesso la responsabilità passa al Sant’Uffizio. Ha idea dello scopo per cui hanno costruito questo spazioporto? Metalli pesanti, forse? Operazioni minerarie di qualche genere?»

Il governatore Clare Palo scosse la testa. «Questo pianeta è stato sfruttato per più di mille anni. Non vi rimangono metalli pesanti che valgano il costo del trasporto. Nemmeno minerali che valgano le spese di una operazione di ricupero da parte di imprese locali, altro che da parte dell’Opus Dei.»

Il maggiore Piet si alzò il visore e si grattò il mento con la barba di un giorno. «Eppure, eccellenze, da qui spedivano qualcosa, in grande quantità. Otto navette… un sofisticato sistema di griglia… sicurezza automatizzata.»

«Se lo Shrike, o qualsiasi cosa fosse, non avesse distrutto i computer e le apparecchiature di registrazione…» iniziò il comandante Browning.

Il maggiore Piet scosse la testa. «Non è stato lo Shrike. I computer erano già stati distrutti da cariche sagomate e da virus DNA fatti su misura.» Girò lo sguardo sull’edificio amministrativo deserto: la rossa sabbia marziana aveva già trovato il modo di entrare dalle porte e dagli interstizi. «Sospetto che abbiano distrutto le registrazioni prima dell’arrivo dello Shrike. Penso che fossero sul punto di andarsene. Per questo le navette erano pronte al decollo, con i computer di bordo già programmati.»

Padre Farrell annuì. «Ma le coordinate orbitali sono tutto ciò che abbiamo. Nessuna registrazione di chi o che cosa dovevano incontrare qui.»

Il maggiore Piet guardò dalla finestra la tempesta di polvere. «In quel parcheggio ci sono venti autoveicoli da trasporto» mormorò come se parlasse tra sé. «Ciascuno può portare fino a ottanta persone. Una piccola esagerazione logistica, se il contingente dell’Opus Dei comprendeva solo le 326 persone di cui abbiamo trovato i cadaveri.»

Il governatore Clare Palo corrugò la fronte e incrociò le braccia. «Non sappiamo quanto personale dell’Opus Dei si trovasse qui, maggiore. Come ha fatto notare, le registrazioni sono state distrutte. Forse erano migliaia…»

Il comandante Browning intervenne nella discussione dei maggiorenti. «Chiedo scusa, governatore, ma gli alloggiamenti nel perimetro del campo potevano ospitare circa quattrocento persone. Il maggiore potrebbe avere ragione: forse i cadaveri da noi trovati sono l’intero personale dell’Opus Dei.»

«Ma non può esserne sicuro, comandante» replicò Clare Pole, in tono tutt’altro che contento.

«No, signora.»

Clare Pole indicò la tempesta di sabbia che in pratica nascondeva gli autoveicoli parcheggiati. «Lì c’è la prova che avevano bisogno di mezzi di trasporto per un numero di persone molto superiore.»

«Forse si trattava di un contingente in avanscoperta» ipotizzò il comandante Browning. «Per preparare la strada a un distaccamento più numeroso.»

«Allora perché distruggere le registrazioni e le IA limitate?» disse il maggiore Piet. «Come mai si ha l’impressione che fossero sul punto di andarsene per sempre?»

Il Grande Inquisitore alzò la mano guantata di nero. «Per il momento poniamo fine alle ipotesi. Domani il Sant’Uffizio comincerà a raccogliere deposizioni e a effettuare interrogatori. Governatore, possiamo usare il suo ufficio al palazzo?»

«Ma certo, eccellenza.» Clare Palo chinò il capo, per mostrare deferenza, o per nascondere gli occhi, o l’uno e l’altro.

«Molto bene» disse il Grande Inquisitore. «Comandante, maggiore, chiamate gli skimmer. Lasceremo qua fuori le squadre di medicina legale e i tecnici della morgue.» Scrutò dalla finestra la tempesta che non smetteva di peggiorare: il suo ruggito attraversava con chiarezza i dieci strati di plastica trasparente. «Qual è il termine locale per indicare le tempeste di sabbia?»

«Simùn» rispose il governatore Clare Palo. «Un tempo tempeste come questa coprivano l’intero pianeta. Ora aumentano d’intensità anno dopo anno.»

«Gli indigeni dicono che sono gli antichi dèi marziani» mormorò l’arcivescovo Robeson. «Reclamano ciò che era loro.»

A meno di tredici anni luce dal sistema solare della Vecchia Terra, nello spazio sopra il pianeta Vitus-Gray-Balianus B, un’astronave che un tempo si chiamava Raffaele, ma che ora non aveva nome, concluse la decelerazione e si pose in orbita geosincrona. Le quattro creature viventi a bordo della nave galleggiavano a gravità zero e guardavano con attenzione l’immagine del pianeta desertico comparsa sul quadro col grafico di rotta.

«Quanto sono attendibili i tuoi rilevamenti di perturbazioni nei campi teleporter in questo periodo?» disse la femmina di nome Scilla.

«Più attendibili di molti altri indizi» disse quella che pareva la sua gemella, Rhadamanth Nemes. «Controlleremo.»

«Cominciamo da una delle basi della Pax?» domandò il maschio di nome Gige.

«Dalla più grande» rispose Rhadamanth Nemes.

«Allora dalla base Bombasino» disse Briareo, controllando il codice sul quadro. «Emisfero nord. Lungo il percorso del canale centrale. Popolazione di…»

«La popolazione non conta» lo interruppe Rhadamanth Nemes. «Conta solo se la bambina Aenea e l’androide e quel bastardo di Endymion sono passati da questa parte.»

«Navetta pronta» disse Scilla.

Con i quattro a bordo, la navetta entrò sibilando nell’atmosfera e protese le ali mentre attraversava il terminatore; tramite il radiofaro, usò il codice diskey vaticano per ottenere via libera per l’atterraggio; scese fra Scorpioni, skimmer militari e VEM blindati. Un innervosito tenente venne ad accogliere i quattro passeggeri e li scortò nell’ufficio del comandante della base.

«Fate parte della Guardia nobile?» disse il comandante Solznykov, scrutandoli in viso e nello stesso tempo esaminando i dati comparsi sul diskey interfase.

«L’abbiamo già detto» replicò Rhadamanth Nemes, in tono piatto. «I nostri documenti, i chip di ordini e il diskey lo confermano. Quante volte dobbiamo ripeterlo, comandante?»

Sopra l’alto colletto della giubba militare, il viso e il collo di Solznykov divennero paonazzi. Invece di rispondere, il comandante abbassò gli occhi sull’ologramma interfase. Tecnicamente, quegli ufficiali della Guardia nobile, appartenenti a una delle nuove unità speciali del papa, potevano far valere su di lui il proprio grado. Tecnicamente, potevano farlo fucilare e scomunicare, dal momento che il loro grado di capo coorte della Guardia nobile comprendeva i poteri della Flotta della Pax e del Vaticano. Tecnicamente, secondo la formulazione e il codice di priorità del diskey, potevano far valere il proprio grado su un governatore planetario o imporre la politica della Chiesa all’arcivescovo residente di un pianeta. Tecnicamente, Solznykov desiderò che quei lividi scherzi di natura non si fossero mai mostrati sul suo arretrato pianeta.