Выбрать главу

Si costrinse a sorridere. «Le nostre forze sono a vostra disposizione» disse. «Cosa posso fare per voi?»

La donna magra e pallida di nome Nemes tenne sopra la scrivania del comandante una olocard e l’attivò. All’improvviso, nello spazio fra lei e il comandante comparvero a mezz’aria tre teste formato naturale: due di esseri umani, la terza chiaramente di un androide dalla pelle azzurra.

«Non credevo che nella Pax fossero rimasti degli androidi» disse Solznykov.

«Ha ricevuto rapporti sulla presenza nel suo territorio di una di queste tre persone, comandante?» disse Nemes, senza badare alle parole di Solznykov. «È probabile che ne sia stata riferita la presenza lungo il grande fiume che scorre dal polo nord all’equatore.»

«In realtà è un canale…» cominciò Solznykov e si interruppe. Aveva l’impressione che nessuno dei quattro forestieri fosse interessato alla normale conversazione o a dati non pertinenti. Chiamò nell’ufficio il suo aiutante, colonnello Vinara.

«Nomi?» domandò, mentre Vinara preparava il comlog.

Nemes disse tre nomi che non significavano nulla per il comandante.

«Non sono nomi locali» disse Solznykov, mentre il colonnello Vinara controllava gli archivi. «I membri della cultura indigena — si chiama Spettroelica di Amoiete — hanno la tendenza ad accumulare nomi come i miei cani da caccia a Patawpha raccoglievano zecche. Vede, hanno quella triplice unione matrimoniale dove…»

«Non sono persone del luogo» lo interruppe Nemes. Sopra il colletto rosso dell’uniforme, le labbra parevano esangui come il resto del viso cereo. «Provengono da un altro pianeta.»

«Ah, bene» disse Solznykov, sollevato al pensiero che non avrebbe avuto a che fare con quei quattro scherzi di natura per più di un paio di minuti. «In questo caso, non possiamo aiutarvi. Vedete, lo spazioporto qui a Bombasino è l’unico funzionante su Vitus-Gray-Balianus B, ora che abbiamo chiuso quello di Keroa Tambat, a gestione indigena; inoltre, a parte qualche spaziale che finisce nelle nostre celle, l’immigrazione qui è inesistente. I locali sono tutti Spettroelica… e, be’, amano i colori, certo, ma un androide risalterebbe come… allora, colonnello?»

Il colonnello Vinara alzò gli occhi dalla ricerca sul database. «Né le immagini né i nomi hanno riscontri con i nostri dati, a parte un bollettino generale inviato tramite la Flotta della Pax, circa quattro anni e mezzo standard fa.» Lanciò un’occhiata interrogativa alle guardie nobili.

Nemes e gli altri lo guardarono senza fare commenti.

Il comandante Solznykov allargò le braccia. «Mi spiace. Nelle ultime due settimane locali siamo stati impegnati in un’importante esercitazione da me diretta, ma se fosse giunto qualcuno che si fosse adattato a queste descrizioni…»

«Signore» disse il colonnello Vinara «c’erano quei quattro spaziali che hanno disertato.»

"Maledizione!" pensò Solznykov. Si rivolse alle guardie nobili: «Quattro spaziali della Pax Mercatoria sono sbarcati illegalmente per non affrontare l’accusa di uso illecito di droghe. A quanto ricordo, erano tutti maschi sulla sessantina e…» si girò verso il colonnello Vinara, cercando di dirgli, con lo sguardo e il tono, di chiudere il maledetto becco «… e abbiamo trovato i loro cadaveri nel Big Greasy, non è vero, colonnello?»

«Tre cadaveri, signore» precisò il colonnello Vinara, refrattario ai segnali del suo comandante. Controllava di nuovo il database. «Un nostro skimmer è precipitato presso Keroa Tambat e la Sanità ha inviato… la dottoressa Abne Molina, a valle lungo il canale, in compagnia di un missionario, per prendersi cura dei feriti.»

«Che c’entra questa storia, colonnello?» scattò Solznykov, brusco. «Gli ufficiali qui presenti cercano una ragazzina, un trentenne e un androide.»

«Sì, signore» disse Vinara, sorpreso, alzando gli occhi dal comlog. «Ma la dottoressa Molina ha comunicato per radio di avere curato un extraplanetario ammalato a Chiusa Childe Lamonde. Abbiamo presunto che fosse il quarto spaziale…»

Rhadamanth Nemes mosse un passo avanti, con tale rapidità che il comandante Solznykov trasalì senza volerlo: nel rapido movimento della donna c’era qualcosa di non umano.

«Dove si trova Chiusa Childe Lamonde?» domandò Rhadamanth Nemes.

«È solo un villaggio lungo il canale, un’ottantina di chilometri a sud di qui» rispose Solznykov. Si girò verso il colonnello Vinara, come se fosse responsabile e colpevole di tutta quell’agitazione. «Quando ci spediscono il prigioniero?»

«Domani mattina, signore. Uno skimmer ambulanza ha in programma di raccogliere l’equipaggio precipitato a Keroa Tambat alle 06.00 e farà una fermata a…» Si interruppe, vedendo che le quattro guardie nobili giravano sui tacchi e si dirigevano alla porta.

Nemes rallentò quanto bastava per dire: «Comandante, sgombri uno spazio aereo fra qui e Chiusa Childe Lamonde. Prenderemo la navetta.»

«Ah, non è necessario!» disse il comandante, controllando lo schermo sulla scrivania. «Quello spaziale è sotto arresto e sarà consegnato… ehi!»

I quattro ufficiali della Guardia nobile erano già usciti dall’ufficio e attraversavano il tarmac. Solznykov si precipitò sul pianerottolo e gridò: «Qui le navette non hanno il permesso di operare nell’atmosfera se non per atterrare a Bombasino. Ehi! Manderemo uno skimmer. Ehi! Quasi certamente quello spaziale non è uno dei vostri… lo teniamo sotto custodia… ehi!»

I quattro non girarono la testa. Raggiunsero la nave, le ordinarono di morfizzare un ascensore e sparirono nello scafo. Sirene d’allarme risuonarono per la base e il personale corse a mettersi al riparo, mentre la pesante navetta decollava sui razzi direzionali, passava alla propulsione EM e accelerava verso sud, superando il perimetro dello spazioporto.

«Porcocristo fu Giuseppe» bestemmiò sibilando il comandante Solznykov.

«Prego, signore?» disse il colonnello Vinara.

Solznykov gli lanciò un’occhiata che avrebbe fuso il piombo. «Prepari subito due skimmer… no, facciamo tre. Una squadra di marines a bordo di ognuno. Questo è il nostro orticello e quei quattro anemici scassapalle di guardie nobili non ci devono buttare neanche una cartaccia, senza che glielo diciamo noi. Voglio che gli skimmer arrivino prima di loro e che quel fottuto spaziale sia preso in custodia… in nostra custodia… anche a costo di rompere il culo a ogni indigeno Spettroelica da qui a Chiusa Childe Lamonde. Capito, colonnello?»

Vinara riusciva solo a fissare il suo comandante.

«Scattare!» gridò il comandante Solznykov.

Il colonnello Vinara scattò.

10

Non dormii per tutta quella notte e il giorno seguente, torcendomi dal dolore, andando avanti e indietro dal letto al bagno, portando con me l’apparecchiatura per la flebo, sforzandomi dolorosamente di orinare e poi controllando il ridicolo filtro in cerca del calcolo renale che mi faceva morire. A un certo punto della tarda mattinata riuscii a espellere il calcolo.

Per un minuto non riuscii a crederci. Nell’ultima mezz’ora il tormento era diminuito, era solo l’eco del dolore alla schiena e all’inguine, ma mentre fissavo la pietruzza rossastra nel cono del filtro, un po’ più grossa di un granello di sabbia ma molto più piccola di un sassolino, non riuscivo a credere che proprio quella robetta mi avesse procurato tanta sofferenza per tutte quelle ore.

"Credici" disse Aenea. Si sedette sul bordo del lavandino e mi guardò rimettere a posto la giacca del pigiama. "Nella vita sono spesso le cose più piccole a causare la sofferenza più grande."

«Già» dissi. Capivo, vagamente, che Aenea non era lì… non avrei orinato davanti a nessuno e tanto meno davanti a lei. Fin dalla prima iniezione di ultramorfina avevo allucinazioni e vedevo Aenea.

"Complimenti" disse l’allucinazione Aenea. Il suo sorriso pareva abbastanza reale — quel modo di arricciare le labbra, un po’ birbante, un po’ stuzzicante, a cui ero abituato — e vedevo che indossava i jeans verdi e la blusa di cotone bianca che spesso portava quando lavorava nel caldo del deserto. Ma vedevo anche, attraverso di lei, il lavandino e i morbidi asciugamani.