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C’erano altri, almeno quaranta persone avevano riempito la piccola pagoda, mentre l’ultima luce del sole svaniva e il chiarore dell’Oracolo e di tre delle sue sorelle illuminavano la sommità delle nubi in basso, ma dimenticai il loro nome, quella sera, mentre mangiavamo tsampa e momo, bevevamo birra a volontà e tenevamo accese le torce nel Hsuan-k’ung Ssu.

Alcune ore più tardi, quella stessa sera, uscii per svuotarmi la vescica. A. Bettik mi mostrò dov’erano i gabinetti. Avevo pensato che ci si limitasse a usare il bordo delle piattaforme, ma l’androide mi garantì che in un mondo dove le strutture abitative avevano diversi piani (nella maggior parte dei casi, una struttura ne aveva altre sopra e altre sotto) un’azione del genere era giudicata maleducazione. I gabinetti erano nel fianco della parete a strapiombo, delimitati da partizioni di bambù, e i servizi igienici consistevano in tubi genialmente progettati, canali di scolo che finivano in profonde fenditure della parete rocciosa, oltre a lavandini intagliati in banconi di pietra. C’era perfino una zona docce e acqua a riscaldamento solare per il bucato.

Mi lavai le mani e il viso, tornai sulla piattaforma (la brezza gelida contribuì a farmi smaltire un poco la sbornia) mi fermai accanto all’androide nel chiarore delle lune e guardai la pagoda illuminata dove tutti quanti si erano disposti in cerchi concentrici al cui centro c’era la mia giovane amica. Risate e confusione erano scomparse. Uno alla volta, monaci e sant’uomini e montatori e carpentieri e scalpellini e abati dei gompa e sindaci e muratori rivolgevano a bassa voce domande alla giovane donna e lei rispondeva.

La scena mi ricordò qualcosa, un’immagine recente, che impiegai un minuto a inquadrare: durante la decelerazione a quaranta UA in quel sistema solare, la nave mi aveva mostrato un ologramma del sole di tipo G e dei suoi undici pianeti, due fasce di asteroidi e innumerevoli comete. Aenea era decisamente il sole di quel sistema e tutti gli uomini e le donne in quella stanza orbitavano intorno a lei, con la certezza con cui nella proiezione della nave orbitavano pianeti, asteroidi e comete.

Mi appoggiai a un montante di bambù e guardai A. Bettik. «Farebbe meglio a stare attenta» dissi piano all’androide, pronunciando con cura ogni parola «o cominceranno a trattarla come un dio.»

A. Bettik annuì lievemente. «Non pensano che la signorina Aenea sia un dio, signor Endymion.»

«Bene.» Circondai col braccio le spalle dell’androide. «Bene.»

«Tuttavia» proseguì A. Bettik «molti di loro si stanno convincendo, malgrado lei si sforzi di correggerli, che Aenea è Dio.»

17

La sera in cui A. Bettik e io portiamo la notizia dell’arrivo della Pax, Aenea lascia il gruppo di discussione, si avvicina a noi fermi sulla soglia e ascolta attentamente.

«Chim Din dice che il Dalai Lama ha consentito agli agenti della Pax di occupare il vecchio monastero del lago Lontra all’ombra dello Shivling» comunico.

Aenea rimane in silenzio.

«Non avranno il permesso di usare le loro macchine volanti, ma sono liberi di andare a piedi in qualsiasi parte della provincia. In qualsiasi parte!»

Aenea annuisce.

Mi viene voglia di afferrarla e di scuoterla. «Ciò significa che presto sentiranno parlare di te, ragazzina» dico, brusco. «Nel giro di qualche settimana, forse di qualche giorno, qui ci saranno missionari che ficcheranno il naso dappertutto e informeranno l’enclave della Pax.» Lascio uscire il fiato. «Merda, saremo fortunati se saranno semplici missionari e non militari.»

Aenea resta in silenzio ancora un minuto. Poi dice: «Siamo già fortunati che non si tratti della Commissione per la giustizia e la pace».

«Non mi hai ancora spiegato che cos’è questa Commissione.»

Aenea scuote la testa. «Niente che al momento abbia importanza, Raul. Quelli della Pax avranno di sicuro qualche affare qui, altro che… che soffocare l’eterodossia.»

Nei miei primi giorni qui, Aenea mi aveva parlato della lotta in atto nello spazio della Pax e nei dintorni: una rivolta palestinese su Marte, che aveva portato all’evacuazione del pianeta e al bombardamento atomico dall’orbita; ribellioni dei liberi mercanti nei Territori della Fascia di Lambert e su Mare Infinitum; combattimenti continui su Ixion e su decine di altri pianeti. Vettore Rinascimento, con le sue gigantesche basi della Flotta della Pax e con i suoi innumerevoli bar e bordelli, era diventato un nido di vespe di pettegolezzi e di informazioni riservate. E poiché ora le navi in servizio nella Flotta della Pax erano per la maggior parte veicoli classe Arcangelo a propulsione Gideon, le notizie erano di solito vecchie di qualche giorno al massimo.

Una delle voci più interessanti sentite da Aenea prima di venire su T’ien Shan riguardava la diserzione dell’equipaggio di almeno una nave classe Arcangelo: la nave era fuggita nello spazio Ouster e ora faceva rapide incursioni nello spazio della Pax per assalire convogli della Pax Mercatoria, rendeva inutilizzabili i mercantili con equipaggio, anziché distruggerli, e per colpire le task force della Flotta della Pax che si preparavano ad attaccare gli Ouster al di là della Grande Muraglia. Nelle ultime settimane di Aenea e di A. Bettik su Vettore Rinascimento correva la voce che le basi della Flotta in quel sistema solare fossero in pericolo. Altre voci indicavano che numerosi elementi della Flotta erano adesso trattenuti nel sistema di Pacem per difendere il Vaticano. Quale che fosse la verità delle storie riguardanti la nave fuorilegge Raffaele, era incontestabile che la crociata contro gli Ouster promossa da Sua Santità era stata ritardata di anni da quegli attacchi di sorpresa con sganciamento immediato.

Ma mentre aspetto la risposta di Aenea alla notizia dell’arrivo della Pax su T’ien Shan, niente di tutto questo pare importante. Mi domando che cosa faremo ora. Ci teleporteremo sul prossimo pianeta?

Invece di parlare di fuga, Aenea dice: «Il Dalai Lama organizza una cerimonia ufficiale di benvenuto per i funzionari della Pax».

«E allora?» replico dopo un momento.

«Allora dobbiamo assicurarci di ottenere un invito» dice Aenea.

Non credo che mi sia caduta davvero la mascella, ma ho proprio questa impressione.

Aenea mi tocca la spalla. «Ci penserò io. Parlerò a Charles Chi-kyap Kempo e a Kempo Ngha Wang Tashi per assicurarmi che inseriscano anche noi tra gli invitati alla cerimonia.»

Sono letteralmente senza parole. Aenea torna al suo gruppo di persone in attesa, silenziose, serene, nella soffusa luce di lanterna.

Leggo queste parole su micropergamena, ricordo d’averle scritte nei miei ultimi giorni nella scatola di Schrödinger in orbita intorno al pianeta Armaghast, ricordo d’averle scritte nella fretta della certezza che le leggi della probabilità e la meccanica quantistica avrebbero presto rilasciato il cianuro nel mio universo a ciclo chiuso e mi stupisco per l’uso del presente nella narrazione. Poi ricordo la ragione di questa scelta.

Quando mi condannarono a morte nella scatola di Schrödinger, che in realtà non è un parallelepipedo, ma un ovoide, mi concessero di portarmi alcune cose in quell’esilio terminale. I vestiti erano i miei. Per capriccio, mi avevano dato un piccolo tappeto da mettere sul pavimento della cella: un tappeto antico, lungo meno di due metri e largo uno, con un piccolo strappo a una estremità. Una copia del tappeto Hawking del console. Avevo perduto quello vero su Mare Infinitum, molti anni prima, e i particolari di come era tornato in mio possesso saranno illustrati più avanti nel mio racconto. Avevo dato ad A. Bettik il vero tappeto Hawking, ma di sicuro i miei aguzzini si sono divertiti all’idea di adornare la mia cella finale con quella inutile copia di tappeto volante.