«Agli inizi del XXI secolo c’era una fiorente biosfera di vita artificiale sulla Vecchia Terra, sia nelle sfere dati in rapida evoluzione sia nella macrosfera della vita umana. Anche se i successi del calcolo a base DNA, memorie a bolla, elaborazione parallela a fronte d’onda fisso e iperinterconnessione erano appena esplorati, i progettisti umani avevano creato entità a base silicea di notevole ingegnosità. E le avevano create a miliardi. I microchip erano dovunque, dalle sedie alle scatole di fagioli sugli scaffali dei mercati, dalle autovetture alle protesi del corpo umano. Le macchine erano diventate sempre più piccole, al punto che l’abitazione umana media o l’ufficio erano pieni di decine di migliaia di microchip. La sedia riconosceva la propria operatrice appena quella si sedeva e richiamava il file a cui lavorava sul rozzo computer a base silicea, parlava a un altro chip in una caffettiera in modo da preparare il caffè, abilitava la griglia di comunicazione a trattare chiamate e fax e la rozza posta elettronica in arrivo affinché l’operatrice non fosse disturbata, interagiva con il computer principale dell’abitazione o dell’ufficio per rendere ottimale la temperatura e così via. Nei grandi magazzini, microchip nelle scatole di fagioli sugli scaffali notavano il proprio prezzo e le variazioni di prezzo, ordinavano altre scatole quando diminuivano, annotavano le abitudini d’acquisto dei clienti e interagivano con il negozio e gli altri prodotti ivi contenuti. Questa rete d’interazione divenne complessa e indaffarata come lo strato superficiale di schiuma e bollicine e spuma della zuppa organica negli oceani primigenii della Vecchia Terra.
«Nell’arco di quaranf anni dalla cellula artificiale a 80 byte di Tom Ray, l’uomo era abituato a parlare e comunque interagire con innumerevoli forme di vita artificiale, nelle autovetture, in ufficio, in ascensore, perfino nel proprio corpo, man mano che monitor medici e protoderivazioni si muovevano verso la vera nanotecnologia.
«Il TecnoNucleo acquisì esistenza autonoma in questo periodo. L’uomo aveva capito, correttamente risultò, una cosa: perché fossero efficaci, la vita artificiale e l’intelligenza artificiale dovevano essere autonome. Dovevano svilupparsi e diversificarsi come aveva fatto la vita organica sul pianeta. E così fu. Come la biosfera circondava il pianeta, così ora l’ipervita avvolse in una sfera dati vivente la Vecchia Terra. Il Nucleo si sviluppò non solo come entità astratta nell’ambito del flusso della rete della sfera dati, ma nell’interazione di miliardi di minuscole, autonome micromacchine azionate da chip che eseguivano il proprio compito ordinario nel macromondo dell’uomo.
«L’uomo e l’entità Nucleo dai miliardi di sfaccettature, in piena evoluzione, entrarono presto in simbiosi come gli alberi di acacia e le formiche spinicole che proteggono, potano e propagano l’acacia, loro unica fonte di cibo. Questo fatto è noto come coevoluzione e l’uomo capisce il concetto a livello realmente cellulare, poiché sulla Vecchia Terra la maggior parte della vita organica è stata creata e ottimizzata da reciproca danza coevolutiva. Ma dove l’uomo vide una comoda simbiosi, le prime entità del Nucleo videro, furono in grado di vedere, solo nuove opportunità di parassitismo.
«I computer potevano essere spenti, i programmi software potevano essere eliminati, ma la mente alveare del proto-Nucleo si era già trasferita nell’emergente sfera dati che solo una catastrofe planetaria poteva spegnere.
«Alla fine il Nucleo fornì quella catastrofe, il Grande Errore del ’38, ma non prima d’avere diversificato il proprio ambiente e di essersi trasferito al di là della semplice scala planetaria.
«I primi esperimenti della propulsione Hawking, condotti e capiti solo da elementi avanzati del Nucleo, avevano rivelato l’esistenza della realtà del Vuoto che lega, alla base dello spazio di Planck. Le IA del Nucleo di allora — a base DNA, strutturate a onda, spinte da algoritmi genetici, parallele nella funzione — completarono la costruzione delle prime navi a propulsione Hawking e iniziarono il progetto della rete di teleporter.
«L’uomo ha sempre visto la propulsione Hawking come una scorciatoia nel tempo e nello spazio, la realizzazione del suo vecchio sogno di un motore iperspaziale. Ha concettualizzato i teleporter come comodi buchi praticati nello spaziotempo. Questo era il pregiudizio umano, nato dai suoi stessi modelli matematici e confermato dalle più potenti IA del Nucleo. Era tutta una menzogna.
«Lo spazio di Planck, il Vuoto che lega, è un ambiente multidimensionale con realtà propria e — il Nucleo l’avrebbe presto scoperto — con topografia propria. Il motore Hawking non era e non è affatto un motore nel senso classico, ma un apparecchio d’ingresso che sfiora la topografia dello spazio di Planck per il tempo appena sufficiente a cambiare coordinate nel continuum dello spaziotempo tetradimensionale. I teleporter invece permettono il vero e proprio ingresso nell’ambiente Vuoto che lega.
«Per l’uomo, la realtà era ovvia: si entra qui in un buco nello spaziotempo e si esce istantaneamente lì da un altro teleporter. Mio zio Martin aveva una casa teleporter le cui stanze esistevano su decine di pianeti diversi. I teleporter crearono la Rete dei mondi dell’Egemonia. Un’altra invenzione, l’astrotel — un ambiente per trasmissioni a velocità superiore a quella della luce — permise la comunicazione istantanea fra sistemi solari. Erano stati realizzati tutti i presupposti per una società interstellare.
«Ma il Nucleo non perfezionò il motore Hawking, il teleporter e l’astrotel per comodità dell’uomo. A dire il vero, il Nucleo non perfezionò mai niente, nel suo rapporto con il Vuoto che lega.
«Il Nucleo sapeva fin dall’inizio che il motore Hawking era poco più di un fallito tentativo di entrare nello spazio di Planck. La propulsione di veicoli spaziali mediante il motore Hawking era un po’ come muovere un vascello oceanico provocando una serie di esplosioni a poppa e cavalcando le onde d’urto: grosso modo efficace, ma del tutto inefficiente. Il Nucleo rivendicava di avere creato i teleporter, ma sapeva che, malgrado sembrasse il contrario, nel periodo di massimo splendore della Rete dei mondi non c’erano milioni di teleporter: ce n’era solo uno. Tutti i teleporter erano in realtà una singola porta d’ingresso nello spazio di Planck, manipolata nello spaziotempo per dare l’illusione di una miriade di porte. Se il Nucleo avesse tentato di spiegare la verità all’uomo, avrebbe forse usato l’analogia del raggio di una torcia fatto lampeggiare rapidamente qua e là in una stanza chiusa. Non ci sono parecchie fonti di luce, ma una sola spostata rapidamente. Il Nucleo però non si prese mai la briga di spiegare i teleporter: anzi, finora ha mantenuto il segreto.
«Inoltre il Nucleo sapeva che la topografia del Vuoto che lega poteva essere modulata per trasmettere dati istantaneamente, via astrotel, ma che questo era un uso maldestro e distruttivo dell’ambiente spazio di Planck: un po’ come comunicare da un capo all’altro di un continente per mezzo di terremoti artificiali. Ma offrì all’uomo il servizio astrotel senza spiegarlo, perché così conveniva ai suoi scopi. Il Nucleo aveva i suoi piani per l’ambiente spazio di Planck.
«Fin dai primissimi esperimenti il Nucleo capì che il Vuoto che lega era l’ambiente perfetto per la sua stessa esistenza. Per i propri network di sfere dati non doveva più dipendere da comunicazioni elettromagnetiche o a modulazione di neutrini. Poteva fare a meno di esseri umani o di sonde automatiche per viaggiare fra le stelle ed espandere i parametri fisici del proprio network. Con il semplice spostamento degli elementi primari del Nucleo nel Vuoto che lega, le IA avrebbero avuto un sicuro nascondiglio dai rivali organici, un nascondiglio che era al tempo stesso in nessun luogo e in tutti i luoghi.
«Durante la migrazione delle IA dalle sfere dati a base umana alla megasfera del Vuoto che lega, il Nucleo scoprì che lo spazio di Planck non era un universo vuoto. Dietro le sue montagne metadimensionali e nelle profondità dei suoi arrayos spazioquantici si nascondeva… qualcosa di diverso. Qualcuno. Nel Vuoto che lega c’erano intelligenze. Il Nucleo sondò l’ambiente e poi si ritrasse con stupore reverenziale e con terrore davanti al potenziale potere di quegli Altri. Costoro erano i Leoni e Tigri e Orsi di cui parlava Ummon, l’IA del Nucleo che sosteneva di avere creato e ucciso mio padre.