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— Qual è la natura di questo progetto?

— Ascolta… Sappiamo che da ogni evento si formano molte storie: forse un numero infinito di storie. Immagina te stesso in due storie adiacenti, separate, diciamo, da dettagli come i rimbalzi della tua boccia… Ebbene, potrebbero queste due copie di te stesso comunicare fra loro?

Dopo breve meditazione, risposi: — Ne abbiamo già discusso, ma… Non vedo come. La macchina del tempo mi consente di viaggiare avanti e indietro in un singolo ramo della storia. Se tornassi indietro per cambiare un rimbalzo della boccia, mi aspetterei di viaggiare in avanti e di constatare la differenza, perché sembra che la macchina tenda a seguire la biforcazione, ossia la nuova storia, quando ne crea una. — Con certezza. conclusi: — No, le due versioni di me stesso non potrebbero comunicare.

— Neppure se ti fornissi ogni concepibile macchina, o apparecchio di misurazione?

— No. Esisterebbero due copie di ogni apparecchio, ciascuno non collegato al suo gemello, come accadde a me.

— Benissimo. Questa è una posizione ragionevole e sostenibile, fondata sull’assunto implicito che le storie gemelle, dopo la biforcazione, non si influenzano a vicenda in alcun modo. Dal punto di vista tecnico, tu presumi che gli operatori quantici siano lineari… Tuttavia — la voce di Nebogipfel si animò nuovamente di entusiasmo — potrebbe esistere un modo per porre in comunicazione le due storie, se, a qualche livello fondamentale, esse rimanessero intrecciate. Se negli operatori quantici esistesse una quantità di non linearità, tanto piccola da essere quasi inindividuabile…

— Allora la comunicazione sarebbe possibile?

— L’ho visto accadere: nel Mare, voglio dire. I Costruttori vi sono riusciti, ma soltanto al livello sperimentale minimo. — Ciò detto, Nebogipfel descrisse il “fonografo Everett”: — Prende il nome dallo scienziato del ventesimo secolo della tua storia che per primo concepì l’idea. Naturalmente, i Costruttori hanno un’altra definizione, che però non è facile rendere in Inglese. — Spiegò quindi che le non linearità si manifestavano a livello infinitesimale. — Immagina di eseguire, per esempio, la misurazione della rotazione di un atomo… — E descrisse l’interazione “non lineare” tra la rotazione dell’atomo e il suo campo magnetico. — L’universo si divide in due, naturalmente, a seconda dell’esito dell’esperimento, dopo il quale si permette all’atomo di attraversare il proprio campo non lineare. Questo è l’operatore quantico anomalo a cui accennavo. Ebbene, è possibile organizzare le condizioni in maniera tale che l’azione compiuta in una storia dipenda da una decisione presa nella seconda storia… — E proseguì la spiegazione con un’abbondanza di dettagli, che includevano i particolari tecnici di quello che egli stesso definì un “apparecchio StemGerlach”.

Tuttavia lo ascoltai, perché m’interessava capire i concetti fondamentali: — È dunque possibile? — interruppi. — Mi stai dicendo che i Costruttori hanno inventato apparecchi di comunicazione infrastorica, uno dei quali è questo biliardo?

L’idea cominciò a entusiasmarmi. Tutti quei discorsi sulle bocce da biliardo e sugli atomi rotanti erano interessantissimi, ma se per mezzo di un fonografo Everett avessi potuto comunicare con le altre versioni di me stesso nelle altre ramificazioni della storia, e magari con la mia casa, a Richmond, nel 1891…

Tuttavia, Nebogipfel mi deluse: — No, non ancora. Il biliardo utilizza l’effetto non lineare, ma soltanto per. ehm, evidenziare determinate storie. Se non altro, si manifestano una certa selezione e un certo controllo dei problemi, però…Gli effetti sono minimi. E le non linearità vengono soppresse dall’evoluzione temporale.

— Sì, ma tu che cosa ne pensi? — insistetti, spazientito. — Collocando qui il biliardo, il nostro Costruttore intendeva forse cercare di dirci che tutte queste cose, la non linearità e la comunicazione fra le storie, sono per noi d’importanza estrema?

— Può darsi — concesse Nebogipfel. — Di sicuro, però, sono importanti per lui.

7

Gli eredi meccanici dell’umanità

Con l’avvertenza che si trattava in gran parte di un edificio di supposizioni, fondato sui pochi fatti accertati che lui stesso era riuscito a recuperare dal Mare d’Informazioni, Nebogipfel ricostruì parzialmente i cinquanta milioni di anni di storia dell’umanità.

Probabilmente, l’umanità e i suoi discendenti avevano realizzato diversi progetti di colonizzazione stellare. Ad uno di questi apparteneva il lancio di astronavi dalla Città Orbitale, a cui avevamo assistito durante il nostro viaggio a bordo della scialuppa temporale.

— Se si ha pazienza — spiegò Nebogipfel — non è difficile costruire una nave interstellare. Immagino che i discendenti dei tuoi amici del 1944 nel paleocene avrebbero potuto inventare una macchina del genere soltanto un secolo o due dopo la nostra partenza. Naturalmente, occorre un’unità di propulsione, chimica, ionica o laser, o magari una vela solare come quella che abbiamo potuto osservare. Inoltre, si può usufruire delle risorse del sistema solare per sfuggire all’attrazione del sole. Per esempio, si potrebbe superare Giove, e sfruttare la massa del pianeta per scagliare la nave stellare verso il sole. Con una spinta al perielio si potrebbe facilmente raggiungere la velocità di fuga solare.

— Così si potrebbe uscire dal sistema solare?

— E giunti in un nuovo sistema sarebbe necessario, per stabilirvisi, un processo inverso: lo sfruttamento dei pozzi gravitazionali delle stelle e dei pianeti. Potrebbero occorrere dieci o centomila anni per compiere un viaggio del genere, date le distanze fra le stelle…

— Mille secoli? Ma chi potrebbe mai sopravvivere tanto a lungo? Quale nave…? Soltanto il problema dei rifornimenti…

— Non capisci. Non si manderebbero umani. La nave sarebbe un automa: una macchina dotata di capacità operative e d’intelligenza almeno equivalenti a quella di un umano. Il suo compito sarebbe quello di sfruttare le risorse del sistema stellare di destinazione, cioè i pianeti, le comete, gli asteroidi, la polvere solare, e tutto ciò che si può trovare, per creare una colonia.

— I tuoi “automi” assomigliano molto ai nostri amici, i Costruttori Universali.

Il Morlock non rispose.

— Capisco l’utilità di mandare una macchina a raccogliere informazioni, ma per il resto… A che cosa servirebbe? Quale sarebbe la funzione di una colonia priva di umani?

— Una macchina del genere potrebbe costruire qualsiasi cosa, con risorse e tempo sufficienti. Mediante la sintesi delle cellule e l’inseminazione artificiale potrebbe persino creare umani, che diventerebbero gli abitanti della nuova colonia. Capisci?

Tale prospettiva mi parve tanto innaturale e abominevole che protestai, ma non a lungo, perché non tardai a rammentare, con riluttanza, che avevo assistito alla “creazione” di un Morlock in maniera molto simile.

— Però il compito più importante della sonda — proseguì Nebogipfel — sarebbe quello di costruire molte copie di se stessa, che potrebbero essere rifornite, per esempio, con i gas ricavati dalle stelle, e inviate in altri sistemi stellari, più lontani. E così, poco a poco ma inesorabilmente, la colonizzazione della galassia procederebbe.