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Nonostante tutte le mie avventure, infatti, le leve della macchina del tempo erano al sicuro nelle mie tasche.

Uscii dalla capanna e vidi Nebogipfel che mi veniva incontro, lasciando nella sabbia le sue impronte da bradipo. Mi domandai da quanto tempo fosse lì ad aspettarmi.

Senza tanti preamboli, giacché i Morlock non sono inclini a conversare senza necessità, c’incamminammo sul versante della collina, diretti verso Richmond Park.

Come ho già detto, la mia casa si trovava in Petersham Road, sotto Hill Rise, a mezza costa sul versante di Richmond Hill; situata a poche centinaia di metri dal fiume, offriva una vista parziale dei prati di Petersham e degli alberi che nascondevano il paesaggio a occidente. Nell’anno 657.208, invece, nulla ostacolava lo sguardo, libero di spaziare sulla valle profonda dove il Tamigi scorreva nel suo nuovo letto, scintillante alla luce delle stelle. Nell’oscurità si notavano i pozzi di riscaldamento dei Morlock. Quel versante era in gran parte coperto di sabbia o di muschio, ma non mancavano anche prati con la stessa erba soffice che avevo trovato nell’Interno della Sfera.

Il nuovo letto del fiume serpeggiava più o meno a un miglio di distanza da quello del diciannovesimo secolo. Aveva tagliato l’ansa da Hampton a Kew, cosicché Twickenham e Teddington si trovavano sulla sponda orientale. La valle mi sembrava più profonda che nella mia epoca, o forse Richmond Hill era diventata più alta. Rammentai di aver osservato un analogo spostamento del Tamigi durante il mio primo viaggio nel tempo. Le discrepanze della storia umana mi parvero nient’altro che un’increspatura nella lenta e inesorabile azione dei processi geologici.

Alzai lo sguardo in direzione di Richmond Park, chiedendomi per quanto tempo i boschi e le mandrie di cervi e di daini fossero sopravvissuti ai venti del mutamento. Ormai, il parco doveva essere nulla più che un deserto, popolato soltanto di cactus e di ulivi. Il mio cuore s’indurì. D’accordo, i Morlock erano saggi e pazienti, le conoscenze e i progressi che avevano raggiunto sulla Sfera erano ammirevoli, ma la loro trascuratezza nei confronti della vecchia Terra era vergognosa.

Nei pressi di Richmond Gate, vicino a quello che era stato lo Star and Garter e a meno di un chilometro dal luogo dove sorgeva la mia casa, vidi scintillare alla luce delle stelle una piattaforma rettangolare che sembrava dello stesso materiale vitreo del pavimento della Sfera. Infatti era dotata di una varietà di blocchi e di divisori che riconobbi come gli strumenti caratteristici dei Morlock. La piattaforma era deserta: non c’era nessun altro, tranne Nebogipfel e me. Al centro riconobbi una struttura goffa e sgraziata di ottone e nichel, con le parti in avorio che luccicavano sotto le stelle come ossa sbiancate, e un sellino da bicicletta nel mezzo: sì, era la macchina del tempo, ancora intatta, e pronta a riportarmi a casa!

22

Rotazioni e inganni

Con il cuore palpitante, faticai a seguire Nebogipfel con passo fermo. Infilai le mani nelle tasche della giacca, afferrando le due leve di controllo. Ero già abbastanza vicino alla macchina per vedere i perni su cui le leve andavano inserite, ed ero deciso ad avviare la macchina al più presto possibile, per andarmene da quel mondo.

— Come puoi vedere — dichiarò Nebogipfel — la macchina è indenne. L’abbiamo spostata, ma senza toccare nessuno dei suoi meccanismi…

Era molto concentrato, quindi cercai di distrarlo: — Dimmi una cosa… ora che l’avete studiata e che conoscete le mie teorie, qual è la vostra impressione?

— La tua macchina è un’invenzione straordinaria, molto progredita per la tua epoca.

Non mi sono mai piaciuti troppo i complimenti: — Ma è la plattnerite che mi ha permesso di costruirla.

— Sì. Mi piacerebbe studiare meglio questa “plattnerite”. — Nebogipfel si mise gli occhiali e scrutò le scintillanti sbarre di quarzo della macchina. — Abbiamo discusso brevemente della molteplicità della storia e della possibile esistenza di diversi mondi. Tu stesso sei stato testimone…

— Il mondo degli Eloi e dei Morlock, e quello della Sfera.

— Si possono concepire le diverse versioni di storia come corridoi paralleli, ciascuno dei quali esiste indipendentemente dagli altri. La tua macchina consente di percorrerli avanti e indietro. Osservando da un punto qualsiasi all’interno di un corridoio, si può vedere un flusso storico completo e coerente, senza essere consapevoli dell’esistenza di altri corridoi. E i corridoi non possono influenzarsi a vicenda. In alcuni di essi, però, le condizioni possono cambiare: persino le leggi fisiche possono essere diverse…

— Continua.

— Hai detto che il funzionamento della macchina dipende da una torsione dello spazio e del tempo, che trasforma il viaggio temporale in un viaggio spaziale. Sono d’accordo: l’effetto della plattnerite è appunto questo. Ma come avviene? Immagina un universo… cioè un’altra dimensione di storia, in cui la torsione spazio-temporale sia molto accentuata.

Nebogipfel descrisse un universo che andava al di là della mia comprensione, in cui la rotazione faceva parte della struttura stessa di quell’universo.

— La rotazione sarebbe intrinseca a ogni punto dello spazio e del tempo. Un sasso scagliato da qualunque punto seguirebbe una traiettoria a spirale: l’inerzia agirebbe come un compasso, ruotando intorno al punto di lancio. Secondo alcuni, il nostro stesso universo potrebbe essere sottoposto a una tale rotazione, ma a una velocità enormemente lenta: centomila milioni di anni per compiere una singola rotazione. Il principio dell’universo rotante venne avanzato per la prima volta proprio da Kurt Gödel, pochi decenni dopo la tua partenza.

— Gödel? — Impiegai un attimo per ricordare quel nome. — Lo stesso che dimostrò l’imperfettibilità della matematica?

— Esatto.

Camminando attorno alla macchina, tenni le leve ben strette nelle mani. Volevo raggiungere la posizione più favorevole per salire sulla macchina. — Ma in che modo tutto ciò spiega il funzionamento del mio apparecchio…

— Si tratta della rotazione assiale. In un universo rotante, è possibile muoversi nello spazio, ma viaggiando nel passato o nel futuro. Anche il nostro universo ruota, però tanto lentamente che un viaggio simile sarebbe di centomila milioni di anni luce, e richiederebbe quasi un milione di milioni di anni.

— Dunque poco pratico…

— Immagina invece un universo molto più denso del nostro: così denso, in qualsiasi punto, quanto il nucleo di un atomo di materia. Ebbene, per una rotazione completa impiegherebbe poche frazioni di secondo.

— Ma non siamo in un universo del genere! — Agitai una mano nell’aria. — Questo è evidente.

— Ma tu forse sì, per poche frazioni di secondo, grazie alla tua macchina, o almeno alla plattnerite. La mia ipotesi è che, a causa di qualche proprietà della plattnerite, la macchina del tempo si sposta rapidamente avanti e indietro fra il nostro universo e un altro universo ultradenso, sfruttando a ogni passaggio la torsione assiale della realtà per viaggiare lungo una serie di pieghe nel passato o nel futuro. Dunque, ti muovi a spirale attraverso il tempo.

Riflettei su queste idee. Erano senza dubbio straordinarie, anche se mi sembravano semplicemente una proiezione fantastica delle mie speculazioni preliminari sulla compenetrazione fra spazio e tempo, nonché sulla fluidità delle rispettive dimensioni. Inoltre, l’impressione soggettiva che avevo ricavato dal viaggio nel tempo era in effetti legata a sensazioni di torsione e rotazione. — Sbalorditivo! — commentai. — Ma credo sia necessario uno studio più approfondito.