— La tua elasticità mentale è impressionante — disse Nebogipfel scrutandomi, — almeno, per un uomo al tuo stadio evolutivo.
Ignorai il commento: ormai ero abbastanza vicino alla macchina. Cautamente, Nebogipfel sfiorò con un dito una sbarra della gabbia, che si accese di un bagliore improvviso. Un alito di brezza gli arruffò il sottile strato di pelliccia che gli copriva il braccio. Il Morlock ritirò la mano di scatto. Nell’osservare i perni, visualizzai i semplici movimenti necessari a sfilare le leve di tasca e a rimontarle: sarebbe occorso meno di un secondo. Ma ci sarei riuscito prima che Nebogipfel mi tramortisse con i suoi raggi verdi?
D’improvviso mi sentii oppresso in maniera insopportabile dall’oscurità e dal fetore dei Morlock. Potrei fuggire da tutto questo in un attimo, pensai, mosso da un impeto irresistibile.
— Qualcosa non va? — Con i suoi grandi occhi scuri, Nebogipfel mi scrutava, e sembrava pronto a scattare. Capii che aveva dei sospetti. Mi ero forse tradito? Ebbi la certezza che le bocche d’innumerevoli armi mi minacciassero dall’oscurità circostante: ancora pochi secondi e sarei stato perduto.
Il sangue mi pulsava alle tempie come un ruggito, sfilai di tasca le leve e con un grido balzai nella macchina. Con un solo movimento, innestai le leve sui perni e le spostai all’indietro. Quando la macchina cominciò a vibrare, un lampo verde mi fece temere il peggio, poi le stelle scomparvero e il silenzio mi avvolse. Provai una straordinaria sensazione di torsione, quindi mi accorsi con orrore di sprofondare; ma quel disagio non mi inquietava, perché si trattava dell’esperienza ormai familiare del viaggio temporale.
Lanciai un grido trionfante. Ce l’avevo fatta, stavo tornando indietro nel tempo! Ero libero!
Allora sentii qualcosa di freddo e morbido attorno alla gola, come se un insetto mi avesse sfiorato, e avvertii un fruscio.
Mi portai una mano al collo, e toccai la pelliccia di un Morlock.
LIBRO SECONDO
Paradosso
1
L’Argo cronotica
Afferrai l’avambraccio esile, liberandomi il collo. Un corpo villoso giaceva disteso accanto a me nella gabbia di nichel e d’ottone, un magro viso occhialuto era vicino al mio, e il fetore dolciastro dei Morlock era potente.
— Nebogipfel!
Il petto del Morlock si alzava e si abbassava, ansimante: era mai possibile che avesse paura? Con voce acuta, fioca, disse: — Dunque sei fuggito. E tanto facilmente…
Aggrappato alla macchina, sembrava una bambola di stracci e di crine. Mi ricordava il mondo d’incubo da cui ero scappato. Sono certo che avrei potuto gettarlo fuori in un attimo, eppure mi trattenni. In tono tagliente, ribattei: — Forse voi Morlock avete sottovalutato la mia intraprendenza. Ma tu… sospettavi, vero?
— Sì. Proprio all’ultimo momento… Credo di aver imparato a interpretare il linguaggio inconsapevole del tuo corpo. Ho capito che intendevi azionare la macchina. Ho avuto appena il tempo di raggiungerti, prima che… — Poi Nebogipfel sussurrò: — Credi che ci potremmo sistemare meglio? Sono in una posizione piuttosto scomoda, e temo di cadere dalla macchina. — E mi osservò mentre riflettevo sulla proposta.
Capii di dover prendere una decisione: dovevo o non dovevo accogliere Nebogipfel come passeggero a bordo della macchina? Tuttavia la mia incertezza fu brevissima, perché mi conoscevo abbastanza bene per sapere che non me ne sarei sbarazzato.
Risposi: — E va bene!
Così, noi due, argonauti cronotici, eseguimmo una sorta di balletto bizzarro all’interno della gabbia della macchina: tenendo un braccio di Nebogipfel, sia per impedirgli di cadere, sia per accertarmi che non cercasse di raggiungere i comandi, mi piegai spostandomi in maniera da sedermi sul sellino. Non ero mai stato agile neppure da giovane, perciò, quando vi riuscii, ansimavo ed ero esasperato. Intanto, Nebogipfel si accomodò come meglio poté all’interno della gabbia.
— Perché mi hai seguito? — domandai.
Scrutando il paesaggio oscuro e vago del viaggio temporale, Nebogipfel non rispose.
Tuttavia, credetti di capire. Rammentavo la curiosità e la meraviglia che Nebogipfel aveva manifestato nell’ascoltare il mio resoconto del futuro, durante il viaggio interplanetario a bordo della capsula. Nel seguirmi, aveva ubbidito all’impulso di scoprire se il viaggio temporale fosse realmente possibile: un impulso provocato da una curiosità che, come la mia, discendeva da quella delle scimmie.
Tutto ciò mi suscitò un’oscura commozione: un lieve moto di simpatia nei confronti del Morlock. L’umanità era cambiata molto nel lungo intervallo di tempo che separava le nostre epoche, però il comportamento del mio compagno di viaggio dimostrava che la curiosità, la spinta implacabile alla ricerca, e la temerarietà che vi si accompagnava, non si erano del tutto estinte.
D’improvviso, sbucammo alla luce: in alto, vidi lo smantellamento della Sfera, la luce solare inondò la macchina e Nebogipfel ululò.
Mi tolsi gli occhiali. Il sole, dapprima immobile nel cielo, non tardò a spostarsi, tracciando sempre più rapidamente un arco nel cielo. Ritornò il succedersi della notte e del giorno, simile a un batter d’ali. Infine, il movimento del sole, divenuto troppo rapido per poter essere percepito, si trasformò in una striscia luminosa, e l’alternarsi del giorno e della notte fu sostituito da un crepuscolo perlaceo, uniforme e freddo.
Dunque l’asse e la rotazione terrestri erano stati nuovamente modificati.
Seduto all’interno della gabbia, Nebogipfel si raccolse in se stesso, curvando le spalle, la testa china sul petto, la schiena accesa di bianco nella luce crepuscolare: a quanto pareva, gli occhiali, che ancora indossava, non erano una protezione sufficiente.
Non potei fare a meno di ridere. Ricordavo che non mi aveva avvertito prima che la capsula diretta verso la Terra fosse espulsa dalla Sfera, nello spazio: ebbene, quella era la sua punizione.
— Nebogipfel! È soltanto la luce del sole!
Il Morlock alzò la testa. Nella luminosità divenuta più intensa, gli occhiali si erano oscurati tanto da diventare impenetrabili. La pelliccia del viso era arruffata e sembrava bagnata di lacrime. Sotto la pelliccia del corpo s’intravedeva la pelle candida. — Non si tratta soltanto degli occhi — spiegò. — Persino quando è molto debole, la luce mi fa soffrire. Se ci fermeremo in pieno giorno…
— Ti ustionerai!
Discendente di numerose generazioni di Morlock che avevano sempre vissuto nell’oscurità, Nebogipfel sarebbe stato vulnerabile al sole, persino a quello, debole, dell’Inghilterra, più di quanto lo sarebbe stata la persona più pallida e lentigginosa a quello dei tropici.
— Ecco… — aggiunsi, sfilandomi la giacca. — Questa dovrebbe proteggerti…
Raccogliendosi ancor più in se stesso, Nebogipfel si gettò addosso la giacca.
— Inoltre, fermerò la macchina di notte, così che, al nostro arrivo, non correrai rischi, e potrò trovarti un riparo. — Riflettendo, mi resi conto che sarebbe stato comunque conveniente arrivare durante la notte: sarebbe stato proprio un bello spettacolo se fossi apparso a Richmond Hill, in mezzo a una folla di passanti a bocca aperta, in compagnia di un mostro proveniente dal futuro.
La vegetazione perenne scomparve dalla collina, e il ciclo delle stagioni ricominciò. Riattraversammo l’Epoca degli Edifici Immensi, che ho già descritto. Al riparo della giacca, Nebogipfel osservò, evidentemente affascinato, i ponti che passavano come bruma sul paesaggio in rapidissima trasformazione. Quanto a me, provai un sollievo intenso nel riavvicinarmi al mio secolo.