Alzai una mano, colto da un’ispirazione: — No. Se me lo permetti, ti chiamerò Mosè.
Bevve un lungo sorso di brandy e mi scrutò con gli occhi grigi colmi di autentica rabbia: — Come lo sa?
Da quando avevo lasciato la casa dei miei genitori, tenevo segreto il mio primo nome, Mosè, che odiavo, perché a scuola mi aveva causato tormenti infiniti.
— Non importa — risposi. — Con me, il tuo segreto è al sicuro.
— Senta… mi sto stancando di questi giochetti… Lei arriva qui, con il suo… compagno, si prende la libertà di denigrare il mio abbigliamento, e io non conosco ancora il suo nome!
— Forse sì, invece.
Il giovane serrò le lunghe dita intorno al bicchiere. Era consapevole che stava succedendo qualcosa di strano e di portentoso, ma non sapeva che cosa. Gli vedevo in viso, chiaro come il giorno, il misto di entusiasmo, d’impazienza e di timore, che avevo provato tanto spesso nell’affrontare l’ignoto.
— Ascolta… sono pronto a dirti tutto quello che vuoi sapere, come promesso. Ma prima…
— Sì?
— Sarei lieto di visitare il tuo laboratorio. E anche Nebogipfel, ne sono certo. Parlaci di te, e intanto imparerai qualcosa su di me.
Per un poco, Mosè rimase seduto con il bicchiere in mano, poi con gesti bruschi rimise i bicchieri sul vassoio, si alzò, e prese la candela dalla mensola del caminetto: — Seguitemi.
4
L’esperimento
Tenendo alta la candela, Mosè ci guidò lungo il gelido corridoio fino al laboratorio. Quei pochi secondi sono ancora vividi nella mia memoria: l’ombra gettata dalla testa grande di Mosè nella luce incerta, la giacca e gli stivali che luccicavano, i passi silenziosi di Nebogipfel che mi seguiva, il nauseabondo e dolciastro fetore morlock che lo spazio chiuso accentuava…
Spostandosi fra i banchi, Mosè accese le candele e le lampade a incandescenza per illuminare il laboratorio. Le pareti erano imbiancate e prive di ornamenti, a eccezione di alcuni foglietti appuntati e una libreria zeppa di riviste, testi scientifici, volumi di tavole matematiche e dati di fisica. Era freddo, per me, che ero in maniche di camicia: tutto tremante, mi strinsi le braccia intorno al busto.
Avvicinatosi alla libreria, Nebogipfel si accosciò a osservare i dorsi malmessi dei volumi. Poiché sulla Sfera non avevo visto libri né carta, e non avevo riconosciuto nulla di familiare nelle lettere sugli schermi azzurri presenti ovunque, mi domandai se sapesse leggere l’Inglese.
— Non sono molto interessato — dichiarò Mosè — a fornirvi un resoconto succinto della mia vita. — Poi in tono più tagliente, aggiunse: — Inoltre, non capisco perché siete tanto interessati a me. Però sono disposto a stare al vostro gioco. Vi interessano i risultati dei miei esperimenti più recenti?
Sorrisi. Era davvero in accordo con il mio, e il suo, carattere, concentrare l’attenzione esclusivamente sull’ultimo problema che lo assillava.
— Vi sarei grato se non toccaste nulla — riprese Mosè, avvicinatosi a un banco su cui storte, lampade, reticoli e lenti sembravano disposti a casaccio. — Vi sembrerà una gran confusione, però vi assicuro che tutto è disposto in un ordine ben preciso. Posso aggiungere che fatico tremendamente a tenere alla larga da qui la signora Penforth, i suoi stracci e le sue scope.
La signora Penforth? pensai. Fui sul punto di chiedere che cosa ne fosse stato della signora Watchet, quindi rammentai che quest’ultima era stata preceduta appunto dalla signora Penforth. L’avevo licenziata una quindicina d’anni prima di partire per il primo viaggio nel tempo, dopo averla sorpresa a rubare dalla mia piccola riserva di diamanti industriali. Rinunciai a preavvisare Mosè, perché tutto sommato i furti non erano stati gravi. Inoltre, spinto da una sorta di strano sentimento paterno nei confronti del giovane me stesso, decisi che probabilmente avrebbe giovato a Mosè seguire maggiormente la conduzione della casa, una volta tanto, invece di lasciare tutto al caso.
— Il mio campo è la fisica ottica — proseguì. — Concerne le proprietà fisiche della luce, che…
— Lo sappiamo — interruppi gentilmente.
— Bene. — Mosè si accigliò. — Di recente, mi sono interessato a uno strano enigma: lo studio di un campione di un nuovo minerale, di cui entrai casualmente in possesso due anni fa. — Mostrò una comunissima fiala graduata da otto once, chiusa con un tappo di gomma, piena a metà di una finissima polvere verdastra, stranamente scintillante. — Guardate… vedete com’è insolitamente traslucida, come se brillasse dall’interno? — In verità, sembrava si trattasse di perline di vetro. — Ma qual è la fonte di tale luminescenza? Ho cominciato a compiere ricerche, dapprima nei ritagli di tempo, perché debbo anche lavorare. Dipendo da commesse e finanziamenti, che a loro volta dipendono dalla qualità e dalla regolarità dei risultati che sono in grado di offrire: non ho tempo per inseguire i miraggi. Poco a poco, però, la plattnerite — giacché ho deciso di chiamarla così, dal nome del tizio misterioso che me la procurò, e che si presentò come Gottfried Plattner — ha finito per assorbire gran parte del mio tempo. Non sono un chimico: anche ai livelli più semplici, la mia pratica è sempre stata piuttosto approssimativa. Nondimeno, mi sono messo all’opera: ho comprato provette, becchi a gas, cartine al tornasole, una provvista di gas, e tutto il fetido equipaggiamento. Versata la polvere verde nelle provette, l’ho fatta reagire con l’acqua e con gli acidi — solforico, nitrico e cloridrico — senza scoprire alcunché. Poi ne ho vuotato un poco sull’ardesia e l’ho collocata sul becco a gas. — Mosè si sfregò il naso. — Be’, l’esplosione ha fracassato il lucernario e ha semidistrutto una parete.
Poiché ricordavo che si trattava della parete sudoccidentale, non potei fare a meno di lanciarvi un’occhiata. La riparazione, tuttavia, era stata tale da cancellare ogni traccia dei danni.
Mosè s’incuriosì, perché non aveva indicato la parete danneggiata: — Dopo tale fallimento — proseguì, — non avevo neppure sfiorato i misteri della plattnerite. In seguito, però — il suo tono si caricò d’entusiasmo, — cominciai a procedere in maniera più razionale: dopotutto, la traslucidità è un fenomeno ottico. Così, pensai che il segreto della plattnerite non fosse nelle sue proprietà chimiche, bensì in quelle ottiche.
Provai una strana sensazione, una sorta di vago amor proprio, nell’udire quella sintesi del mio limpido ragionamento. E capii che Mosè godeva dell’impeto del proprio racconto; mi è sempre piaciuto narrare una buona storia, quale che fosse il pubblico, e credo che in me vi sia qualcosa dell’uomo di spettacolo.
— Accantonai dunque il mio ingombrante corredo da piccolo chimico — riprese Mosè — e iniziai una nuova serie di esperimenti. Molto rapidamente individuai alcune anomalie sbalorditive sull’indice di rifrazione della plattnerite che, come forse sapete, dipende dalla velocità della luce all’interno della sostanza. Insomma, ho scoperto che nell’attraversare la plattnerite, i raggi luminosi si comportano in maniera molto particolare. Ecco… guardate qui… — Indicò gli oggetti collocati sul banco. — Questa è la dimostrazione più chiara che sono riuscito a escogitare delle anomalie ottiche della plattnerite.
Sistemato fra uno schermo bianco e uno specchio curvo nel quale si rifletteva la luce di una lampadina elettrica, c’era un foglio di cartone con due fessure. La lampadina era collegata per mezzo di alcuni fili a un elettromotore situato sotto il banco.
Era un’apparecchiatura di semplice concezione: ho sempre cercato di fornire la dimostrazione più diretta possibile per ogni nuovo fenomeno, allo scopo di focalizzare meglio il fenomeno medesimo, anziché i difetti dell’apparecchiatura sperimentale o, come può sempre accadere, qualche trucco a vantaggio dello sperimentatore.