— Ebbene — domandai — quando intendi pubblicare una relazione sulle tue sensazionali scoperte?
Prima di rispondere, Mosè si grattò la testa e si allentò il nodo della cravatta vistosa: — Non lo so ancora — rispose francamente. — Il mio è solo un catalogo di osservazioni sulle anomalie di una sostanza di provenienza ignota. Forse esistono persone più brillanti di me in grado di ricavarne qualcosa: magari di scoprire come produrre altra plattnerite…
— No — intervenne enigmaticamente Nebogipfel. — I mezzi per produrre sostanze radioattive verranno scoperti soltanto fra diversi decenni.
Incuriosito, Mosè guardò Nebogipfel, ma senza fare commenti.
— Comunque, tu non hai nessuna intenzione di pubblicare una relazione — dichiarai.
Abbandonandosi a un altro, spiacevole vezzo, Mosè mi strizzò l’occhio con aria da cospiratore: — Tutto a suo tempo. Per certi versi, non sono affatto un vero scienziato. Sa che cosa intendo, vero? Mi riferisco a quegli individui meschini e puntigliosi che finiscono con l’essere definiti dalla stampa “distinti scienziati”. Quando un tizio del genere tiene la sua piccola conferenza su qualche oscura proprietà degli alcaloidi tossici, nel buio che circonda la lanterna magica si sente leggere un brano strano, s’intravede il luccichio degli occhiali dalla montatura d’oro…
Esortai: — Ma tu…
— Oh, non intendo denigrare i lenti e pazienti sgobboni che esistono al mondo! E non temo di affermare che negli anni a venire dovrò anch’io procedere a rilento; però sono anche dotato di una certa impazienza: voglio sempre scoprire come va a finire. — Mosè sorseggiò il proprio brandy. — Ho già pubblicato alcuni articoli: uno persino nelle Philosophical Transactions. Ho scritto anche altri studi che molto probabilmente saranno pubblicati. Ma le ricerche sulla plattnerite…
— Sì?
— Ho una sensazione strana in proposito. Voglio scoprire fin dove riuscirò a…
Mi curvai in avanti a scrutare il volto entusiasta e vivace di Mosè. Era l’ora più tranquilla della notte. Vedevo il brandy nel bicchiere luccicare alla luce delle candele, e mi sembrava di poter osservare con una limpidezza sovrannaturale ogni dettaglio, e di udire il ticchettio di ogni orologio nella casa. — Spiegami che cosa intendi dire…
Mosè si rassettò la ridicola giacca da damerino e cominciò: — Credo che un raggio di luce filtrato dalla plattnerite subisca uno spostamento temporale. In altre parole, il raggio si muove fra due punti nello spazio senza alcun intervallo nel tempo. Ma ho l’impressione — continuò, più lentamente — che se la luce può muoversi in tal modo, allora forse anche gli oggetti materiali sono in grado di farlo. Ho pensato che se si mescolasse la plattnerite a qualche sostanza cristallina appropriata, come il quarzo, o il cristallo di rocca, allora forse…
— Sì?
D’improvviso, Mosè parve riscuotersi. Posò il bicchiere di brandy sul tavolino accanto alla sedia e si piegò in avanti, con gli occhi grigi, limpidi e ardenti, che sembravano scintillare alla luce delle candele: — Non sono certo di voler dire altro! Senta… sono stato tutt’altro che reticente, con lei. Adesso è tempo che sia lei a fornirmi qualche spiegazione con altrettanta franchezza. È disposto a farlo?
Per tutta risposta, lo scrutai negli occhi che, se anche appartenevano a un viso meno rugoso, erano indubitabilmente i miei: quelli che mi avevano sempre fissato ogni giorno dallo specchio mentre mi radevo.
Evidentemente incapace di distogliere lo sguardo, Mosè sibilò: — Chi sei?
— Sai già chi sono, vero?
Nel lungo attimo di silenzio che seguì, Nebogipfel fu una presenza spettrale di cui Mosè e io rimanemmo quasi inconsapevoli.
Alla fine, Mosè rispose: — Sì, credo proprio di sì…
Decisi di concedere a Mosè il tempo di assimilare la rivelazione: dopotutto per lui la realtà dei viaggi temporali, associata a qualunque oggetto più solido di un raggio luminoso, era ancora un’ipotesi fantastica. Trovarsi di fronte all’improvviso la prova fisica, anzi, peggio ancora, un altro se stesso proveniente dal futuro, gli aveva provocato sicuramente uno shock tremendo.
— Forse dovresti considerare la mia presenza qui come una conseguenza inevitabile delle tue ricerche — suggerii. — Un incontro del genere non sarebbe forse destinato ad avvenire, se tu seguissi fino in fondo il sentiero sperimentale che hai imboccato?
— Forse…
Allora mi resi conto che Mosè stava reagendo senza il timore reverenziale che mi ero aspettato: mi osservava in modo nuovo, esaminandomi la chioma, il viso, gli abiti.
Cercai dunque di vedermi con gli occhi di quel ventiseienne impetuoso, e assurdamente mi vergognai. Mi passai le dita fra i capelli, che non pettinavo da quando avevo lasciato l’anno 657.208, e contrassi i muscoli addominali, per cercare di rendere lo stomaco meno prominente. Tuttavia, ciò non fece scomparire la disapprovazione dal viso di Mosè. — Guardami bene! — sbottai. — È così che diventerai!
— Non fai molto esercizio, vero? — replicò Mosè, massaggiandosi il mento. — E lui? — Con un pollice, indicò Nebogipfel. — È…?
— Sì, viene dal futuro. Per essere precisi dall’anno 657.208, ed è molto evoluto rispetto a noi. L’ho portato qui con la mia macchina del tempo: la stessa che tu hai iniziato a concepire.
— Sono tentato di chiederti che cosa mi accadrà in futuro… avrò successo? Mi sposerò? E… Ma temo che mi convenga non saperne nulla. — Mosè osservò Nebogipfel. — Il futuro della specie, però, è tutt’altra questione.
— Mi credi, vero?
In silenzio, Mosè prese di nuovo il bicchiere, si accorse che era vuoto, e lo posò: — Non so… voglio dire, è fin troppo facile per un tizio qualsiasi presentarsi a casa mia dicendo di essere me stesso proveniente dal futuro.
— Ma tu stesso hai già concepito la possibilità di viaggiare nel tempo! E poi… guarda il mio viso!
— Ammetto che noto una certa superficiale somiglianza. È possibilissimo, però, che sia uno scherzo, magari organizzato con intento malevolo, per farmi fare la figura del ciarlatano. — Severamente, Mosè mi scrutò: — Se sei davvero colui che affermi di essere, vale a dire se sei me, allora sicuramente sei tornato qui con uno scopo…
— Sì. — Cercai di reprimere la collera e di ricordare che era di vitale importanza comunicare con quel giovane burbero e piuttosto arrogante. — In effetti, ho una missione da compiere.
Di nuovo, Mosè si massaggiò il mento: — Che dichiarazione melodrammatica… ma come può essere tanto importante? Sono uno scienziato… anzi, probabilmente non sono neppure questo: sono un pasticcione, un dilettante. Non sono un politico, né un profeta.
— È vero. Però sei, o diventerai, l’inventore dell’arma più potente che possa essere concepita: la macchina del tempo.
— Che cosa sei venuto a dirmi?
— Che devi distruggere la plattnerite e dedicarti a qualche altra ricerca. Non devi inventare la macchina del tempo: questo è il punto essenziale!
Unendo le punte delle dita, Mosè mi scrutò: — Be’, evidentemente hai una storia da raccontare… sarà lunga? Vuoi ancora un po’ di brandy, o magari un tè?
— No, grazie. Cercherò di essere il più sintetico possibile…
Iniziai il racconto con un breve riepilogo delle scoperte che mi avevano permesso di costruire la macchina del tempo, quindi narrai il mio primo viaggio nella dimensione di storia in cui esistevano gli Eloi e i Morlock, ciò che avevo scoperto al mio ritorno, il mio tentativo di ritornare in quello stesso futuro…