Il capitano si fece innanzi, zoppicando vistosamente. Quando si tolse la maschera, rivelando il proprio viso, vidi che era ancora giovane ed evidentemente ancora abbastanza sano, nonostante il pallore straordinario. Il suo volto attento, calmo, intelligente e onesto, che rivelava una competenza profonda, mi fece pensare a un ufficiale di marina. Si tolse un guanto e mi offrì la mano piccola. Stringendola come se fosse stata quella di un bambino, fissai l’ufficiale, incapace di celare il mio sbalordimento.
— Non mi aspettavo tanti passeggeri — dichiarò il comandante. — Per la verità, suppongo che non sapessimo che cosa aspettarci… Comunque, siete i benvenuti: vi garantisco che sarete trattati bene. — Aveva una voce dolce, ma era costretto a gridare per sovrastare il fragore dei motori. Con una sfumatura di divertimento negli occhi azzurri, osservò Mosè e Nebogipfel. — Benvenuti sul Lord Raglan. Il mio nome è Hilary Bond. Capitano del Nono Battaglione del Reggimento Corazzati Reali.
Era vero! Quell’ufficiale, protagonista di mille battaglie e al comando della più terribile macchina da guerra che avessi mai potuto immaginare, era una donna’.
8
Si rinnova una vecchia conoscenza
Rivelando una cicatrice sul mento, Bond sorrise: capii che non poteva avere più di venticinque anni.
— Ascolti, capitano… — dissi. — Esigo di sapere in base a quale diritto ci ha presi prigionieri.
Per nulla turbata, Bond rispose: — Sono impegnata in una missione che ha priorità di difesa nazionale. Mi dispiace…
In quel momento si fece innanzi Mosè, che con il suo sgargiante abito da damerino sembrava straordinariamente fuori posto nel tetro e severo interno militare: — Signora capitana, non esiste alcuna necessità di difesa nazionale nell’anno 1873!
— Però esiste nell’anno 1938. — Bond emanava un’autorità incrollabile: capii che era assolutamente irremovibile. — La mia missione consiste nel proteggere la ricerca scientifica che si sta svolgendo in quella casa di Petersham Road: in particolare, debbo dissuadere da qualsiasi interferenza anacronistica con il processo che vi si deve svolgere.
— Interferenza anacronistica… — Mosè fece una smorfia. — Se non sbaglio, si riferisce ai viaggiatori temporali…
Sorrisi: — Una bella definizione, “dissuadere”! Credete di avere abbastanza armi per compiere efficacemente questa operazione di “dissuasione”?
— Capitano Bond… — intervenne lentamente Nebogipfel. — Sicuramente si rende conto che la sua missione è assurda dal punto di vista razionale. Sa chi sono costoro? Come può proteggere la ricerca quando il suo iniziatore — e con una mano villosa indicò Mosè — viene rapito dall’epoca alla quale appartiene?
Allora Bond scrutò per un lungo istante il Morlock, poi volse la propria attenzione a Mosè e a me: in quel momento, mi sembrò che notasse, come per la prima volta, la nostra somiglianza. C’interrogò tutti, per ottenere conferma della veridicità della rivelazione di Nebogipfel, nonché per stabilire l’identità di Mosè. Ritenevo che comunque avessimo poco da guadagnare, però dissi la verità, pensando che forse saremmo stati trattati con maggiore considerazione, se ci fosse stata riconosciuta un’importanza storica. In ogni modo, minimizzai la mia identità con Mosè.
Alla fine, Bond sussurrò brevi istruzioni all’ufficiale, che si allontanò. Poi dichiarò: — Al nostro ritorno, informerò di tutto ciò il ministero dell’aria: sono certa che s’interesserà molto a voi, e che allora avrete ampia opportunità di discutere il problema con le autorità.
— Ritorno?! — sbottai. — Ritorno? Intende dire… nel 1938?
— Credo, purtroppo — rispose Bond, tesa — di non essere in grado di affrontare i paradossi del viaggio temporale. Ma senza dubbio i cervelli fini del ministero risolveranno tutto.
Con una sfumatura isterica, Mosè scoppiò a ridere fragorosamente: — Oh, questa è bella! Questa è proprio bella! Adesso non ho più nessun bisogno di preoccuparmi della costruzione della dannata macchina del tempo!
— Temo — Nebogipfel mi guardò cupamente — che questa successione di colpi alla causalità ci stia allontanando sempre più dal corso originale della storia, il quale esisteva prima che la macchina del tempo iniziasse il suo primo viaggio…
— Posso capire la vostra costernazione — interruppe la capitana. — Ma vi assicuro che non vi nuoceremo in alcun modo: al contrario, la nostra missione consiste nel proteggervi. Inoltre — aggiunse amabilmente — mi sono presa il disturbo di portare qualcuno che possa aiutarvi ad ambientarvi fra noi: lo si potrebbe definire un nativo dell’epoca.
Lentamente arrivò dal corridoio buio un uomo che, come tutti gli altri soldati, portava una maschera appesa sul petto, gli spallacci, e la pistola. L’uniforme, però, era nera, semplice, quasi sciatta, priva di distintivi. Sembrava vecchio, a giudicare dalla pancia prominente e dal passo dolorante.
Con voce fievole, udibile a stento nel fragore dei motori, costui mi disse: — Buon Dio! Sei tu! Sono armato fino ai denti per affrontare i tedeschi, ma sai… Non mi aspettavo di vederti ricomparire, dopo quell’ultima cena del giovedì… E di sicuro non in circostanze come queste!
Quando la luce illuminò quell’uomo, rimasi ancora una volta costernato, perché anche se restava appena una traccia di rosso nella chioma grigia, e la fronte era sfigurata da una brutta cicatrice, che sembrava la conseguenza di un’ustione, e gli occhi erano spenti, e le spalle curve, era inequivocabilmente Filby.
— Che io sia dannato!
Ridendo, Filby mi si avvicinò. Gli strinsi la mano fragile, macchiata dalla discromia, giudicando che non avesse meno di settantacinque anni.
— Forse sei dannato tu, e forse lo siamo tutti! Nondimeno, sono felice di rivederti. — Filby lanciò a Mosè un’occhiata alquanto strana, ciò che non mi parve affatto sorprendente.
— Filby! Accidenti! Ho tante domande da porti, che non so da quale incominciare!
— Ci scommetto! Ecco perché mi hanno ripescato dalla casa di riposo alla Cupola di Bournemouth. Sono incaricato dell’acclimatazione, come viene definita. Insomma, debbo aiutare voi nativi dell’epoca ad ambientarvi. Capisci?
— Ma, Filby… Mi sembra soltanto ieri… Come hai potuto diventare…?
— Così? — Filby indicò il proprio corpo decrepito con un gesto di cinica noncuranza. — Come sono diventato così? Per effetto del tempo, amico mio: il fiume portentoso su cui volevi farci credere di essere in grado di navigare. Ebbene, il tempo non è amico dell’uomo comune. Io ho viaggiato nel tempo nella maniera più difficile, ed ecco le conseguenze. Per me sono trascorsi quarantasette anni da quell’ultimo incontro a Richmond, e dalla tua piccola esibizione di magia con il modellino della macchina del tempo… Lo ricordi? E dalla tua successiva scomparsa nel futuro.
— Eppure sei sempre lo stesso vecchio Filby — risposi, con affetto, afferrandogli un braccio. — Persino tu devi ammettere, infine, che avevo ragione a proposito del viaggio temporale!
— Un gran bene ha fatto a tutti noi… — brontolò Filby.
— E ora — intervenne Bond — se volete scusarmi, signori… Ho un corazzato da comandare. Saremo pronti a partire fra pochi minuti. — Con un cenno della testa a Filby, tornò al suo equipaggio.