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Capii che simili scene erano consuete, nell’Inghilterra del 1938.

Proprio allora, senza preavviso, il treno, che procedeva in discesa, entrò in una galleria. Si accesero due deboli lampadine elettriche, nella cui luce gialla rimanemmo seduti a guardarci tetramente.

— È una sotterranea? — chiesi. — Ci troviamo in una diramazione della metropolitana, immagino.

Apparentemente confuso, Filby rispose: — Suppongo che la linea abbia un numero…

— Almeno — Mosè fece per slacciarsi la maschera — possiamo sbarazzarci di questi arnesi tremendi…

Subito Bond gli posò una mano su un braccio: — No, non è sicuro.

— I gas arrivano ovunque — annuì Filby. Mi sembrò che fosse scosso da un tremito, ma non potei esserne sicuro a causa dell’uniforme ampia che indossava. — Finché non l’avrete passata…

Poi, con poche, vivide frasi ci descrisse un’incursione di cui era stato testimone all’inizio della guerra, a Knightsbridge, quando le bombe venivano ancora lanciate a mano dagli aerostati, e la popolazione non vi si era ancora abituata.

Ci rendemmo conto che simili spettacoli orrendi erano diventati comuni in quel mondo di guerra interminabile!

— Mi stupisce — osservai — che il morale non sia già crollato.

— Sembra che la popolazione resista. Naturalmente, non sono mancati i momenti duri — rispose Filby. — Ricordo, ad esempio, l’agosto del 1918… Vi fu un momento in cui sembrò che gli Alleati Occidentali fossero in procinto, dopo tanto tempo, di avere la meglio sui dannati tedeschi e di porre fine alla guerra. Poi vi fu la battaglia del kaiser, la Kaiserschlacht, la grande vittoria di Ludendorff, il quale si aprì la strada fra le linee inglesi e francesi… Dopo quattro anni di guerra di trincea, fu una grande avanzata per i tedeschi. Naturalmente, il bombardamento di Parigi, in cui perirono tanti generali dello stato maggiore francese, non ci fu d’aiuto…

— La rapida vittoria in occidente — annuì Bond — consentì ai tedeschi di volgere la loro attenzione ai Russi, in oriente. Poi, nel 1925…

— Nel 1925 — riprese Filby — i dannati tedeschi avevano ormai fondato la Mitteleuropa che avevano tanto sognato.

Insieme, Filby e Bond mi descrissero la situazione. La Mitteleuropa, l’Europa dell’Asse, era un unico grande mercato che si stendeva dalla costa atlantica fin oltre gli Urali. Entro il 1925, il kaiser aveva esteso il proprio dominio dall’Atlantico al Baltico, attraverso la Polonia russa fino alla Crimea. La Francia, indebolita, privata di gran parte delle proprie risorse, era diventata l’avanzo di se stessa. Il Lussemburgo era stato annesso alla federazione tedesca. Il Belgio e l’Olanda erano stati obbligati a porre i loro porti a disposizione dei tedeschi. Le miniere francesi, belghe e rumene erano state sfruttate per alimentare l’ulteriore espansione del Reich in oriente, gli Slavi erano stati scacciati, e milioni di non Russi erano stati “liberati” dal dominio di Mosca…

Il racconto continuò così, in tutti i suoi dettagli privi, per noi, di significato.

— Poi, nel 1926 — raccontò Bond — gli Alleati, ossia l’Impero Britannico e l’America, riaprirono il fronte occidentale. L’invasione dell’Europa: fu il più grande trasferimento di truppe e di materiali, per cielo e per mare, che si fosse mai veduto. All’inizio andò tutto bene. Le popolazioni della Francia e del Belgio insorsero, e i tedeschi furono respinti…

— Ma non per molto — intervenne di nuovo Filby. — In breve tempo, si ritornò alla situazione del 1915, con due eserciti immensi immobilizzati nei pantani della Francia e del Belgio.

Così era iniziato l’assedio all’Europa. Nel frattempo, le risorse disponibili per la guerra erano notevolmente aumentate: sia il sangue dell’Impero Britannico e del continente americano, sia quello della Mitteleuropa, erano stati interamente versati nella sentina terribile della guerra.

Poi erano iniziate le operazioni ai danni dei civili, per mezzo delle torpedini aeree e dei gas.

Trucemente, Mosè citò: — “Le guerre dei popoli saranno più terribili di quelle dei re.”

— Ma… E le popolazioni, Filby! Come hanno reagito le popolazioni?

Attutita dalla maschera, la voce del mio vecchio amico mi sembrò al tempo stesso familiare ed estranea: — Scoppiarono sommosse popolari: soprattutto sul finire degli anni Venti, ricordo. Poi fu emanata l’Ordinanza 1305, che rese illegali gli scioperi, le serrate e tutto il resto. E così, ogni opposizione cessò. Da allora… Be’, abbiamo sempre tirato avanti e sopportato, suppongo…

Intanto, mi accorsi che la galleria si allargava, come se il treno stesse entrando in un ambiente sotterraneo più spazioso.

Con evidente sollievo, Bond e Oldfield si slacciarono le maschere. Filby fece altrettanto, e quando la sua povera vecchia testa fu libera da quella prigione umida, vidi i segni bianchi che il facciale gli aveva lasciato sul mento: — Ora va meglio! — commentò.

— Siamo al sicuro, adesso?

— Dovremmo esserlo, per quanto è possibile!

A mia volta mi tolsi la maschera. Mosè si affrettò a imitarmi, quindi aiutò Nebogipfel. Quando il visino del Morlock rimase scoperto, Oldfield, Bond e Filby lo fissarono apertamente (e io non potei certo biasimarli), finché Mosè lo aiutò a risistemarsi il berretto e gli occhiali.

— Dove siamo? — domandai.

— Non la riconosci? — Filby accennò all’oscurità che si vedeva attraverso il finestrino.

— Io…

— È Hammersmith, vecchio mio. Abbiamo appena attraversato il fiume.

Allora Bond spiegò: — Ci troviamo ad Hammersmith Gate. Siamo entrati nella Cupola di Londra.

3

Londra in guerra

La Cupola di Londra!

Nulla di ciò che avevo conosciuto nella mia epoca mi aveva preparato a quella stupenda realizzazione architettonica. Immaginate una volta di cemento e d’acciaio del diametro di quasi due miglia, che copriva la città da Hammersmith a Stepney, e da Islington a Clapham, sostenuta da colonne, puntoni e contrafforti, conficcati nell’argilla londinese, che interrompevano ovunque le strade, dominando e imprigionando la popolazione come le gambe di una folla di giganti.

Proseguendo oltre Hammersmith e Fulham, il treno si addentrò nella Cupola. Quando la mia vista si fu adattata all’oscurità, scoprii che l’illuminazione stradale tracciava un’immagine di Londra che potevo ancora riconoscere. Individuai Kensington High Street, oltre una recinzione, e Holland Park, e così via.

Nonostante i nomi di strade e di luoghi che mi erano noti, quella era però una Londra nuova, di notte eterna, che non poteva più godere della luce del cielo estivo. Tuttavia, Filby mi spiegò che la città aveva accettato tutto ciò come prezzo per la sopravvivenza: le bombe e le torpedini rimbalzavano sulla Cupola, oppure esplodevano innocue nell’aria, lasciando illesa la sottostante e popolosa Cobbett.

Ovunque, le città un tempo splendenti di luci, che avevano trasformato l’emisfero notturno del mondo in un gioiello scintillante, erano state coperte con le Cupole: ormai, le persone si spostavano di rado dall’una all’altra, preferendo rimanere rintanate nell’oscurità artificiale.

La nuova linea ferroviaria che stavamo percorrendo attraversava le vecchie strade, le quali erano molto affollate, ma di pedoni o di ciclisti: a differenza di quanto mi ero aspettato, non vidi vetture a cavalli, né a motore. Vidi invece parecchi risciò trainati da magri e sudati Cockney, spesso costretti a girare intorno alle colonne della Cupola.