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Tutti i pedoni, comunque, indossavano gli strani spallacci metallici e portavano, nonostante il calore estivo, pesanti borse di tela con le maschere antigas.

Mi accorsi che tutti i soldati della nostra scorta avevano le fondine aperte, ma non intendevano servirsi delle armi contro di noi: guardinghi, scrutavano la folla che ci circondava.

Svoltammo a oriente, in Queen’s Gate Terrace. Era una strada di Londra che conoscevo bene, ampia ed elegante, fiancheggiata da case alte che non erano cambiate molto dalla mia epoca: le facciate ostentavano ancora le decorazioni in stile greco-romano che ricordavo, come le colonne scolpite a motivi floreali, e lungo il marciapiede correvano le inferriate dipinte di nero.

Allorché giungemmo a metà della strada, Bond ci fermò dinanzi a una casa, salì un gradino, e con una mano guantata bussò alla porta, che fu aperta da un soldato semplice in uniforme da battaglia: — Tutte queste case sono state requisite qualche tempo fa dal ministero dell’aria — spiegò la capitana. — Avrete tutto ciò che vi occorre: non dovrete fare altro che chiedere ai soldati. E Filby rimarrà con voi.

Scambiai un’occhiata con Mosè: — Ma che cosa dobbiamo fare, adesso?

— Soltanto aspettare. Ristoratevi, riposate… Sa il cielo che ora sia, secondo i vostri organismi. Ho ricevuto disposizioni: il ministero dell’aria è molto interessato a conoscerla — mi disse Bond. — Uno scienziato del ministero è incaricato di occuparsi del suo caso: verrà domattina a incontrarla. Be’, buona fortuna. Forse ci rivedremo. — Ciò detto, strinse virilmente la mano a me e a Mosè, quindi chiamò Oldfield, e con lui si allontanò lungo la strada: erano due giovani guerrieri, coraggiosi e dal portamento eretto, nonché in tutto e per tutto tanto fragili quanto il derelitto ustionato che avevo visto in Kensington High Street.

4

La casa in Queen’s Gate Terrace

La casa, che Filby ci condusse a visitare, aveva stanze ampie, pulite e luminose, benché le tende fossero tirate. L’arredamento, confortevole, era in uno stile semplice, che si sarebbe adattato al 1891: la differenza principale stava nella dotazione di una gran quantità di nuovi apparecchi elettrici, come le lampade di diverso genere, la cucina, i refrigeratori, i ventilatori e i riscaldatori.

Quando scostai la tenda pesante, scoprii che la finestra della sala da pranzo era dotata di doppi vetri, nonché, al pari delle porte, di guarnizioni in gomma e cuoio. Fuori, nella sera inglese di giugno, si vedeva soltanto l’oscurità della Cupola, tagliata dai lontani raggi luminosi della volta. Sotto la finestra, in un vano chiuso da un pannello intarsiato, trovai alcune maschere antigas.

Nondimeno, con le tende tirate e le luci accese, era possibile dimenticare per un poco la tetraggine del mondo esterno.

La sala da fumo era ben fornita di libri e di giornali. Nebogipfel osservò con particolare attenzione questi ultimi, evidentemente incerto sulla loro funzione. Un armadio chiuso da griglie multiple rivelò, quando Mosè lo aprì, un assemblaggio sconcertante di valvole, rotoli e coni di carta annerita. Ci fu spiegato che si trattava di un apparecchio chiamato fonografo. Aveva la forma e le dimensioni di un orologio, ed era dotato di alcuni barometri, di un cronometro e di un calendario elettrici, oltre che di alcuni congegni promemoria. Era in grado di ricevere i discorsi e persino la musica trasmessi, con alta fedeltà di riproduzione, da una sofisticata estensione del telegrafo senza fili della mia epoca. Mosè ed io ci dedicammo per un poco a studiare e a sperimentare quell’apparecchio. Poteva essere sintonizzato in maniera tale da ricevere onde radio di frequenza diversa mediante un condensatore regolabile, che consentiva all’ascoltatore di scegliere la frequenza di risonanza dei circuiti sintonizzati. Per giunta, esisteva un numero notevole di stazioni di trasmissione: almeno tre o quattro!

Dopo essersi servito un whisky con acqua, Filby osservò con indulgenza i nostri esperimenti: — Il fonografo è un apparecchio meraviglioso. Non credete anche voi che faccia di tutti noi un unico popolo? Naturalmente, tutte le stazioni sono midi.

— Midi?

— È un acronimo che indica il ministero dell’informazione. — Ciò detto, Filby tentò di suscitare il nostro interesse descrivendoci un nuovo tipo di fonografo capace di trasmettere immagini. — È stato di moda per poco tempo prima della guerra, poi gli effetti di distorsione delle Cupole ne hanno bloccato la diffusione. E se si desiderano immagini, c’è sempre la chiacchieratrice, no? Anche tutti i suoi notiziari e i suoi spettacoli sono midi, naturalmente, ma sono l’ideale per coloro che apprezzano i discorsi appassionanti dei politici e dei militari, oppure le omelie d’incoraggiamento dei religiosi. — Bevve un sorso di whisky e fece una smorfia. — Ma che cosa ci si può aspettare? Dopotutto, è la guerra!

In breve, stanchi dei notiziari tediosi e della fiacca musica d’orchestra trasmessi dalle varie stazioni, Mosè ed io spegnemmo il fonografo.

Ciascuno di noi, persino il Morlock, ebbe una camera da letto e un cambio di biancheria, ma si trattava d’indumenti inadatti, che erano stati evidentemente procurati in tutta fretta. Un giovane soldato dal viso lungo e magro, di nome Puttick, aveva l’incarico di rimanere con noi nella casa. Pur indossando sempre l’uniforme da battaglia, costui si dimostrò perfetto come cuoco e come domestico. All’esterno, la strada e i dintorni dell’edificio furono sempre pattugliati da altri soldati: con tutta evidenza, ci sorvegliavano, per garantire la nostra incolumità, o per tenerci prigionieri.

Verso le sette, quando Puttick ci chiamò a cena, Nebogipfel non si unì a noi: dopo avere chiesto un bicchiere d’acqua e un piatto di vegetali crudi, rimase nella sala da fumo, con gli occhiali aderenti sul volto villoso, ad ascoltare il fonografo e a leggere le riviste.

La cena fu semplice ma gustosa: un piatto di quello che sembrava arrosto, con contorno di patate, cavoli e carote. La sostanza che pareva carne era tenera, dalle fibre corte, che si separavano facilmente. — Che cos’è? — domandai.

— Soia.

— Cosa?

— Soia: una leguminosa che cresce in tutto il paese, fuori delle Cupole. Persino l’Ovale, il campo da cricket, è stato destinato alla sua coltivazione. La carne, infatti, non è facile da ottenere, di questi tempi: è difficile persuadere le pecore e i bovini a indossare le maschere antigas! — Filby tagliò una fetta di vegetale trattato e se la ficcò in bocca. — Assaggia! È abbastanza gustosa. La scienza gastronomica moderna è molto ingegnosa.

Il surrogato di arrosto mi parve secco e friabile, con un sapore che mi ricordò quello del cartone bagnato.

— Non è tanto male — aggiunse coraggiosamente Filby. — Ti ci abituerai.

Non sapendo che cosa rispondere, bevvi il vino. Benché avesse un sapore da Bordeaux decente, preferii non chiederne la provenienza. Il resto della cena fu consumato in silenzio.

Feci un breve bagno, approfittando dell’acqua calda che sgorgava a volontà dai rubinetti. Dopo avere brevemente fumato un sigaro e bevuto un brandy in compagnia, ci ritirammo tutti. Soltanto Nebogipfel rimase sveglio, perché i Morlock non dormono come noi, e chiese un taccuino e alcune matite: fu necessario insegnargli ad usare il temperino e la gomma.

Giacqui accaldato nel letto stretto, con l’aria che diventava sempre più soffocante nella stanza dalle finestre sigillate. All’esterno, i rumori della Londra devastata dalla guerra echeggiavano nella Cupola. Attraverso le fessure fra le tende vidi brillare nella notte le luci dei proiettori d’informazione del ministero.

Per quanto strano possa sembrare, i rumori dei passi felpati di Nebogipfel e della matita sulla carta, provenienti dalla sala da fumo, mi furono di conforto.